di Andrea Bassi

Meglio fermarsi un attimo, tirare il fiato e guardarsi bene attorno. L’introduzione della Tobin tax, la tassa sulle transazioni finanziarie, va anche bene, ma la versione all’italiana rischia di fare danni. Seri. A lanciare l’allarme è stato ieri il presidente della Consob, Giuseppe Vegas, ascoltato in commissione Finanze alla Camera che ieri ha anche ricordato il ruolo attivo dell’autorità nella vicenda FonSai che ha «consentito di far emergere tempestivamente una serie di criticità». Vegas ha anche escluso possibili riverberi dell’inchiesta e delle perquisizioni all’Isvap sulla Consob. Ma il suo intervento è stato dedicato soprattutto alla Tobin tax italiana che prevede un prelievo dello 0,05% sul controvalore delle operazioni sui titoli azionari e sul valore nozionale dei derivati. E già c’è una differenza, per esempio, con la proposta della Commissione europea, che invece applica due aliquote diverse, una dello 0,1% sulle azioni e una dello 0,01% sui derivati. Questo, ha spiegato Vegas, «determina una forte penalizzazione per l’operatività in strumenti derivati». Non solo. Sempre rispetto alla proposta di Bruxelles, ha proseguito il presidente della Consob, «vi è un esplicito riferimento alla nazionalità dell’emittente, mentre manca il riferimento al principio di residenza in Italia dell’intermediario quale ulteriore elemento di definizione dell’ambito di applicazione dell’imposta». È un punto delicato. Se i non residenti possono operare liberamente dall’estero senza dover pagare la Tobin italiana, secondo Vegas ci sono «rischi di elusione, attraverso la delocalizzazione di importanti comparti dell’industria finanziaria nazionale». Meglio sarebbe utilizzare un modello diverso. In Francia, dove pure l’imposta è stata introdotta in anticipo rispetto alle scadenze di Bruxelles, le cose sono state fatte con più giudizio. La Tobin tax di Parigi, per esempio, si applica alle operazioni su titoli emessi da società francesi indipendentemente dalla residenza degli intermediari. In questo modo, insomma, si evita che l’industria finanziaria decida di emigrare in massa in porti franchi. Il governo Hollande, poi, ha limitato l’applicazione della tassa sulle transazioni finanziarie ai titoli emessi da società con una capitalizzazione superiore a 1 miliardo di euro, evitando così di penalizzare i titoli meno liquidi. Infine, la Tobin francese non si applica alle singole operazioni di borsa, ma solo alle posizione nette a fine giornata, con una conseguente forte riduzione dell’impatto negativo sugli scambi e sulla liquidità. Far debuttare la tassa italiana in questo contesto rischierebbe di trasformarla comunque in una «norma ponte» che comunque, secondo Vegas, «potrebbe determinare effetti di spiazzamento anche irreversibili sui mercati». Del resto le stesse previsioni della relazione tecnica predisposta dal ministero dell’Economia parlano chiaro. Con la Tobin tax italiana le transazioni sul mercato azionario calerebbero del 30%, quelle sui derivati crollerebbero dell’80%. Anche la commissione Finanze della Camera, che ieri ha esaminato in sede consultiva la legge di stabilità, ha chiesto al governo una modifica della Tobin tax. Con riferimento all’imposta di bollo, con aliquota dello 0,05%, sulle compravendite di azioni ed altri strumenti partecipativi emessi da soggetti residenti nel territorio dello Stato e sulle operazioni sui cosiddetti «strumenti derivati», nelle quali almeno una delle due controparti sia residente in Italia e che siano diverse da quelle relative ai titoli di Stato emessi da Paesi dell’Unione Europea o aderenti all’accordo sullo spazio economico europeo, si legge nel parere, «si sottolinea la necessità di distinguere, a parità di gettito complessivo, l’aliquota d’imposta applicabile alle transazioni relative ad azioni e quella concernente gli strumenti derivati, nonché di differenziare, all’interno della stessa categoria degli strumenti finanziari derivati, tra quelli stipulati per finalità meramente speculative e quelli il cui utilizzo è direttamente connesso all’operatività di soggetti imprenditoriali, a copertura dei rischi di fluttuazione della quotazione di materie prime o beni necessari per il processo produttivo ». (riproduzione riservata)