PRIVATE EQUITY/2 Il mondo del private equity ha cominciato a dare segnali di risveglio sul fronte degli investimenti, con oltre 159 operazioni realizzate nel primo semestre 2011 per un controvalore di 1,5 miliardi di euro. «Sono numeri che confermano il ruolo fondamentale del private equity nell’economia del nostro Paese», ha commentato Mara Caverni, partner di Pwc, in occasione della presentazione dei dati semestrali diffusi dall’Aifi. E le prospettive sulla seconda parte dell’anno sono altrettanto positive, soprattutto considerando le diverse operazioni in pipeline. D’altronde, i private equity hanno ancora a disposizione circa 10 miliardi da investire. Soldi che potrebbero confluire nel mondo dei servizi finanziari, tra i settori che oggi stanno catalizzando l’attenzione degli operatori attivi nel capitale di rischio. Come ha tra l’altro confermato il presidente dell’Aifi, Giampio Bracchi, a margine della conferenza di presentazione della semestrale del private e venture capital. In particolare, oggetto di interesse potrebbero essere le case di asset management, «come già avviene in molti Paesi – ha spiegato Bracchi – In particolare, in Europa il mondo del risparmio gestito si sta concentrando in poche centrali di grandi dimensioni, che non sono a controllo italiano. E il fatto che il risparmio mobiliare italiano non sia gestito da italiani rappresenta un grosso rischio per il Paese. Il private equity che decide di investire nel mondo dell’asset management, invece, può assicurare un mantenimento italiano della gestione. Quindi, rappresenta sicuramente una grande opportunità, oltre a consentire alle banche proprietarie delle Sgr di centrare, attraverso la dismissione di asset no core, gli obiettivi patrimoniali». Gli fa eco Paolo Mascaretti, partner e responsabile private equity di Kpmg: «Sicuramente i fondi di private equity devono inventarsi qualcosa, perché non è facile trovare target e finanziare operazioni. Dall’altro le banche hanno bisogno di recuperare patrimonializzazione di cassa, cedendo appunto i business no core». Esempi potenziali in tal senso sono la vendita da parte di Intesa di Banca Fideuram, più volte ventilata, e la cessione da parte di Unicredit di Pioneer Investments. «Per un private equity può essere interessante investire nel mondo dell’asset management – continua Mascaretti – perché non è un business capital intensive. Inoltre, il capitale netto di vigilanza è basso. Insomma, è possibile comprare una Sgr attraverso un veicolo, mettendo della leva e senza fare iniezioni significative di capitale. E ancora, bisogna sottolineare che, in un Paese dove non cresce nulla quello del risparmio gestito è un settore ancora sottopenetrato. Nel senso che l’investitore italiano va allo sportello e investe in titoli di Stato o obbligazioni della banca». In altri Paesi, invece, la percentuale dedicata dai risparmiatori al mondo del gestito è molto più alta. «Dunque, c’è un forte potenziale di crescita – aggiunge il partner di Kpmg – anche attraverso aggregazione. Il rovescio della medaglia, però, è quello della distribuzione». Un tema negozialmente critico. «Anche perché – sottolinea a B&F Jonathan Willcocks, managing director global sales di M&G Investmens – senza la rete distributiva diventa difficile dare un valore alle Sgr». Fatto è, comunque, che i fondi di private equity devono trovare qualche sbocco nuovo. «Oggi sul mercato non è facile trovare deal interessanti – fa notare ancora Mascaretti – E il settore finanziario potrebbe essere uno sbocco». Anche dal punto di vista delle banche commerciali in senso stretto. La dimostrazione è il recente interessamento di alcuni private equity a entrare nel capitale di Bpm. «In passato era impensabile avere un private nel capitale di un istituto di credito – conclude Bracchi – soprattutto perché visto come un operatore che non assicurava continuità nel lungo termine. Ma oggi c’è un grosso problema di aumenti di capitale che le banche dovranno fare nei prossimi mesi. E il private equity ha sicuramente masse da poter investire. Infine, va anche detto che trattandosi in alcuni casi di istituti quotati, una partecipazione di minoranza può risolvere un problema immediato di sottoscrizione di capitale. Inoltre, l’eventuale disinvestimento può avvenire senza creare traumi sia dismettendo direttamente in Borsa sia tramite collocamento privato».