MARIANO MANGIA

 

I fondi pensione non convincono i lavoratori italiani. Da gennaio a giugno si sono iscritti alle diverse forme di previdenza complementare solo in 142 mila, portando il totale a quota 5,4 milioni che equivale al solo 23% dei potenziali aderenti. In questo mercato asfittico brillano i piani individuali pensionistici assicurativi, i Pip, che hanno visto aumentare il numero di aderenti di quasi il 30% nel 2010 e dell’11,4% nei primi sei mesi del 2011; in contrazione gli iscritti ai fondi negoziali e crescita stentata per i fondi pensione aperti. A sorpresa, i lavoratori dipendenti preferiscono i prodotti assicurativi: li hanno scelti in oltre 700 mila, contro i 400 mila dei fondi pensione aperti, mentre gli autonomi si dividono equamente tra le due forme di previdenza. Nella relazione annuale della Covip si legge «nel segmento delle adesioni individuali le scelte dei singoli sembrano orientate soprattutto dalle modalità di offerta dei prodotti; la maggiore o minore economicità della forma sembra invece svolgere un ruolo secondario». Ma verosimilmente assume un ruolo maggiore per chi questi prodotti li colloca, visto che i Pip sono i prodotti più costosi e, di conseguenza, più «ricchi». E’ un mercato guidato dall’offerta, la domanda latita, al punto che, per far decollare la previdenza complementare, c’è chi propone l’adesione obbligatoria ai fondi pensione al momento dell’assunzione. L’impressione è che i lavoratori italiani più che domandarsi a quanto ammonterà la futura pensione, si chiedano se poi sia conveniente lo strumento della previdenza complementare in sé. 
«Al di là della necessità di integrare la pensione pubblica anche in presenza di una ridotta crescita dei salari, resta l’esigenza di diversificare il rischio, che è di natura politica sul primo pilastro, l’esempio è la riforma del 1992, e di natura finanziaria per quanto riguarda il secondo, gestito a capitalizzazione», è il commento di Giancarlo Morcaldo, commissario della Covip, la commissione di vigilanza sui fondi pensione.
L’andamento dei mercati dell’ultimo decennio non gioca a favore dell’investimento previdenziale. «Certamente sul secondo pilastro si inserisce il problema delle attuali turbolenze dei mercati finanziari, innescate da una crisi di natura epocale, simile a quella del ‘29» concorda Morcaldo della Covip. «C’è la necessità di fronteggiare i riflessi di dette turbolenze e noi stiamo suggerendo, tra l’altro, una revisione dell’obbligo di valorizzare l’intero patrimonio a prezzi di mercato: i prezzi di mercato, quando oscillano in misura rilevante, forniscono indicazioni sul rendimento spesso fuorvianti rispetto agli andamenti di lungo periodo». 
Ma sono gli andamenti di breve periodo, invece, a finire sotto la lente d’ingrandimento, con l’immancabile raffronto con la rivalutazione del Tfr. «L’insieme dei fondi pensione italiani è caratterizzato da un’ampia eterogeneità per quanto concerne politiche di investimento e tecniche di gestione. Per scegliere l’alternativa più adatta a soddisfare i propri obiettivi previdenziali, non è corretto soffermarsi unicamente sull’esame dei rendimenti realizzati nelle ultime settimane o negli ultimi mesi», osserva Dario Portioli, fund analyst di Morningstar. «Dato il legame fiduciario e di lungo termine che si instaura tra sottoscrittori e fondi pensione, è necessario prendere in esame anche aspetti più immateriali, qualitativi, che possono contribuire al successo di un investimento. A tal riguardo, coloro che devono scegliere un fondo pensione, dovrebbero concentrare la propria attenzione anche sull’esperienza dei team di gestione, sul posizionamento di portafoglio, sul grado di trasparenza, sull’organizzazione della società e sui livelli commissionali. Per gli investitori meno esperti, può esser necessario ricorrere a un consulente indipendente, ma la scelta previdenziale è davvero importante per poter essere trattata con sufficienza». 
Ci sono altri aspetti dei fondi pensione che non piacciono: la rinuncia al Tfr o il dover attendere l’età pensionabile per ottenere la prestazione, erogata, in tutto o in parte, sotto forma di rendita, strumento tradizionalmente indigesto ai risparmiatori italiani. Il regime fiscale, basato su un sistema ETT, ovvero deducibilità dei versamenti, tassazione dei rendimenti in fase di accumulo, tassazione, con un’aliquota agevolata delle prestazioni, dovrebbe controbilanciare questi vincoli e limitazioni, ma non convince del tutto: da una parte c’è il rischio politico, il timore che lo Stato cambi idea prima che si arrivi alla pensione, dall’altra i benefici, distribuiti sul lungo periodo, appaiono progressivamente meno attraenti. 
Da più parti si richiede di migliorare il regime fiscale, ma per la Covip occorre agire anche sull’efficienza degli operatori, come sottolinea Morcaldo: «Al di là dell’eventuale ampliamento delle agevolazioni fiscali, quello che possiamo fare nella nostra responsabilità è richiamare i fondi pensione a gestire in modo più efficiente, rispetto ad oggi, le risorse loro assegnate. Mi riferisco all’analisi della gestione finanziaria dei fondi che abbiamo illustrato nell’ultima relazione annuale e anche al documento che abbiamo posto di recente in consultazione, attinente la politica di investimento: è necessario che essa sia articolata in modo più razionale, definendo un processo di programmazione, realizzazione e verifica dei risultati». 
Numerose le aree di inefficienza riscontrate dall’organismo di sorveglianza, si va da un’elevata rotazione del patrimonio, non accompagnata da un extra rendimento, a una limitata duration di portafoglio, non supera i 3,5 anni, a un rapporto rendimento — rischio insoddisfacente in termini relativi. «E’ necessario che ci sia, come in tutto il resto del mondo, una correlazione più stretta tra la durata degli impieghi e la durata degli impegni. Una maggiore efficienza nella gestione finanziaria può assicurare un guadagno in termini di rendimento e questo è sicuramente un modo per attrarre nuovi aderenti e consolidare la fiducia degli iscritti nell’operato dei fondi».