La crisi di Dexia fa paura all’Europa (e all’Italia). Ieri, mentre assumeva consistenza l’ipotesi di uno smantellamento della banca franco-belga, con la creazione di una bad bank in cui far confluire 95 miliardi di asset deteriorati, e la vendita di un parte del gruppo (si parla della turca Denizbank e del segmento retail belga), la Borsa puniva con decisione tutti i titoli bancari, schiacciati dal timore di un contagio che possa estendersi all’intero settore in Europa.
Lo Stoxx europeo ha chiuso la seduta con un calo del 4% e Dexia ha lasciato sul terreno oltre 22 punti percentuali, dopo essere arrivata a cedere quasi il 40%. In Italia Intesa Sanpaolo ha guidato la classifica delle perdite bancarie, con un calo del 6,19 per cento.
Se Dexia – già salvata tre anni fa dall’intervento pubblico congiunto di Francia e Belgio, e oggi fortemente esposta sui titoli di stato greci – finisse gambe all’aria sarebbe, tutto il settore bancario sarebbe travolto. Il crac dell’istituto d’Oltralpe non sarebbe privo di conseguenze anche in Italia, dove opera la controllata Dexia Crediop, posseduta al 70% dai belgi e partecipata da tre popolari italiane: Banco Popolare, Bpm e Bper, ciascuna con una quota del 10 per cento. Dexia Crediop, capitale sociale 450 milioni e 200 dipendenti, è una banca fortemente focalizzata sulle operazioni di finanza pubblica e il project financing; è esposta soprattutto con enti locali, aziende di servizi pubblici e sanità, utilities, finanziati per lo più attraverso emissioni obbligazionarie.
Nel 2010 ha erogato finanziamenti per un miliardo di euro, con impieghi per il 66% nei confronti di governo ed enti pubblici, a fronte di 11 emissioni per un valore di 667 milioni di euro e durata media di 6,1 anni. Nello stesso esercizio la banca ha riportato un utile di 2 milioni di euro, su un margine di intermediazione di 66 milioni.
I legami con le comunità territoriali hanno creato alla banca qualche problema con la giustizia: i vertici sono stati indagati a più riprese da diverse procure italiane, per i derivati sottoscritti dagli enti locali (comune di Firenze, Regione Toscana, comuni di Tavarnelle Val di Pesa, Campi Bisenzio e San Casciano Val di Pesa; Regione Puglia; Provincia di Pisa). Nel suo portafoglio non spuntano invece pacchetti rilevanti in società quotate: nel bilancio si legge che le controllate sono Dcc-Dexia Crediop per la cartolarizzazione, Dexia Crediop Ireland, Crediop per le Obbligazioni Bancarie Garantite e Crediop Overseas Bank Limited (società in liquidazione, con sede alle Cayman). Tra le altre partecipate spiccano poi l’Istituto per il Credito sportivo (21,7%) e i fondi Dimensione Network (Oicr) e Mid-Capital Mezzanine.
Cosa ne sarà della banca (e delle popolari che la partecipano) se la casa-madre viene smembrata? Difficile a dirsi, anche perché in teoria Dexia Crediop sarebbe già in vendita da oltre un anno e mezzo (il gruppo franco-belga ne aveva annunciato la dismissione entro ottobre 2012). «Noi in Italia produciamo utili», ha obiettato Mario Sarcinelli, presidente di Dexia Crediop, secondo il quale la nuova crisi che affligge la controllante «è un problema a livello di direzione di gruppo e di governi»; e la banca in Italia potrebbe andare meglio, «se gli enti locali non avessero i vincoli del patto di stabilità e noi trovassimo più fondi sul mercato». In un comunicato Dexia Crediop ha confermato «la sua solidità patrimoniale», con un Tier 1 ratio consolidato del 16,40% al 30 giugno. Ed ha definito la qualità degli asset «molto buona, con solamente 0,8 milioni di euro di sofferenze nette». Inoltre gli azionisti, popolari comprese, «hanno riaffermato la loro unità e la loro solidarietà».