Unicredit, Mps, Banco e Ubi chiederanno che siano conteggiati come capitale anche i prestiti ibridi e convertibili come Cashes e Fresh. L’Eba punta i piedi ma apre agli aumenti coi Coco bond 

di Andrea Di Biase

Le banche italiane, a partire da Unicredit e Mps, non ci stanno a pagare il conto della crisi del debito sovrano dei paesi periferici dell’Eurozona al posto degli istituti tedeschi e francesi che, pur avendo una forte esposizione sui bond della Grecia, sono usciti dallo stress test dell’European banking authority (Eba) con deficit patrimoniali limitati e in alcuni casi addirittura nulli.

 

Sia la banca di Piazza Cordusio, che secondo i calcoli dell’Eba al 30 giugno scorso, avrebbe una carenza di capitale di 7,37 miliardi, sia quella di Rocca Salimbeni, che necessiterebbe di ulteriore patrimonio per 3,09 miliardi, si preparano a un duro negoziato con l’autorità di vigilanza europea e con la Banca d’Italia per ribaltare, o per lo meno a rendere meno pesante il risultato dello stress test. E su questo punto avrebbero il sostegno anche del vertice di Intesa Sanpaolo. Nonostante l’Eba ritenga che Ca’ de Sass, pur a fronte di un adeguamento a mark to market dei titoli di Stato italiano, non necessiti di ulteriore capitale, essendo uscita dallo stress test con un Core Tier 1 al 30 giugno del 9,2% (dunque superiore al 9% richiesto), ai piani alti della banca milanese continuano a considerare eccessivamente punitivo per le banche italiane il metodo di calcolo utilizzato dai regolatori europei.

 

Non per niente, martedì 26 ottobre, parlando nel corso della Giornata Mondiale del Risparmio, il ceo di Intesa, Corrado Passera, aveva stigmatizzato la «possibilità che fossero penalizzate le banche italiane che non hanno avuto aiuti pubblici e si sono dedicate a famiglie e imprese». Una posizione paradossalmente condivisa anche nelle istituzioni europee, dove tuttavia il peso di Germania e Francia ha avuto la meglio su quello degli altri partner. «Basilea 3 nel vostro caso è vista come una punizione perché le vostre banche se la sono cavata» nella crisi, ha detto il commissario europeo per il Bilancio, Janusz Lewandowski, in un’audizione di fronte alle commissioni Bilancio e Politiche Ue di Camera e Senato, lodando in particolare l’atteggiamento poco speculativo degli istituti italiani. Parole che tuttavia l’Eba ha dato prova di ignorare, visto che le banche francesi e tedesche (ma anche quelle inglesi), che dopo il fallimento di Lehman Brothers avevano beneficiato di consistenti aiuti pubblici e che recentemente avevano speculato sul debito della Grecia, sono uscite praticamente indenni dallo stress test (vedere tabella in pagina).

La strategia delle banche italiane è dunque evitare di essere costrette a procedere con consistenti aumenti di capitale, negoziando con le autorità in modo da poter computare nel capitale di base anche quegli strumenti convertibili emessi negli anni scorsi e che invece l’Eba non ha preso in considerazione per il calcolo del Core Tier 1 ratio a fronte della svalutazione dei titoli sovrani in portafoglio.

Se nel computo del capitale di base di Unicredit fosse stato ad esempio ricompreso anche il Cashes da 3 miliardi emesso nel 2009 e i cui termini sono stati rivisti nel giugno scorso proprio per andare incontro alle richieste della Vigilanza, il deficit patrimoniale di Piazza Cordusio scenderebbe a 4,39 miliardi. «Una cifra gestibile» a detta del ceo di Unicredit, Federico Ghizzoni, che già da alcuni mesi ha avviato una riflessione sulle esigenze patrimoniali della banca.

 

Il problema è che finora la Banca d’Italia, ferma su una linea di intransigenza, non ha ancora acceso semaforo verde al nuovo regolamento del Cashes. C’è dunque il rischio che Via Nazionale e la stessa Eba possano avere il medesimo atteggiamento anche nei confronti delle altre banche italiane, come Mps, Ubi Banca e Banco Popolare, che ieri hanno comunicato di voler computare nel capitale di base anche i prestiti ibridi o convertibili emessi negli anni scorsi.

La banca senese non dovrebbe avere problemi a vedersi riconosciuto come patrimonio aggiuntivo i 318 milioni del prestito Freshes del 2003, considerato che la Fondazione Mps si è impegnata a convertirlo in azioni entro la fine del 2011. Rocca Salimbeni dovrà invece cercare di convincere le authority a computare nel patrimonio anche i 950 milioni del Freshes del 2008, il cui regolamento potrebbe pertanto essere modificato per adeguarlo alle regole sul capitale europee. Allo stesso modo la banca guidata da Giuseppe Mussari intenderebbe chiedere una riduzione di 1,8 miliardi dal deficit di 3,09 miliardi calcolato dall’Eba, considerato che i tecnici dell’autorità avrebbero effettuato una svalutazione di analogo importo sui titoli di Stato italiani in portafoglio a Mps. Ma si tratterebbe di titoli riferibili a operazioni di asset swap a copertura del rischio di tasso e che quindi non comporterebbero una perdita analoga nemmeno in caso di default dell’Italia. Se Rocca Salimbeni dovesse riuscire a convincere le autorità di vigilanza delle proprie ragioni il deficit patrimoniale calcolato dall’Eba sarebbe di fatto annullato.

Un discorso analogo vale per il Banco Popolare, la cui necessità di capitale aggiuntivo è stata stimata in 2,81 miliardi, e Ubi, che secondo l’Eba necessita di nuovo patrimonio per 1,48 miliardi. Sia il Banco sia Ubi, oltre ad altre azioni di capital management diverse da un aumento di capitale, puntano infatti a evitare di chiedere nuove risorse ai soci, ottenendo il pieno computo come capitale dei prestiti convertibili emessi negli anni scorsi. Proprio per questo il Banco proporrà all’assemblea del 26 novembre prossimo una modifica del regolamento del bond, in modo da consentirne l’eventuale integrale conversione. La negoziazione con l’Eba dovrebbe partire subito, visto che il deficit patrimoniale definitivo per ciascuna banca verrà indicato a metà novembre. Anche se in tema di convertibili l’authority ha già fatto sapere che potranno essere ricompresi nel capitale a condizione che vengano trasformati in azioni entro l’ottobre 2012. È invece consentito il ricorso ai nuovi Coco bond per raccogliere nuovo capitale. (riproduzione riservata)