L’economia cinese è cresciuta lo scorso anno di oltre il 9%

Da una parte la Cina è indicata come il nuovo Eldorado. Dall’altra ci si lamenta che essa possa divenire un concorrente temibile. Non c’è giornale che non parli in qualche modo della Cina.

Le basi della Cina moderna sono state poste nella seconda metà degli anni ’70. Dopo la morte di Mao, l’accento è stato posto sistematicamente su un approccio di economia di mercato. Ma i principi della dottrina comunista di un’economia pianificata conservano la loro esistenza parallela e lo si è visto nella realizzazione di progetti enormi, come una serie di dighe gigantesche, o la realizzazione, un anno prima del previsto, dell’ultimo collegamento ferroviario a grande velocità.

Allo stesso tempo le iniziative private sono fortemente stimolate dal governo.

A fine 2001, una tappa importante è stata raggiunta con l’ingresso della Cina nell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), grazie al quale  i competitor stranieri hanno potuto mettere piede nel paese in maniera più decisa..

L’occidente e gli USA hanno così avuto modo di scoprire la Cina.

Diversi studi dimostrano che, l’anno scorso, la Cina si è riconfermata il paese più attrattivo per gli investitori. Non è un caso che le dieci principali imprese giapponesi abbiano trasferito da tempo le proprie unità produttive in Cina. Anche numerose imprese europee hanno seguito la stessa strada. Una delle prime è stata la francese PSA, che ha prodotti automobili.

La Cina ha conosciuto lo scorso anno una crescita stupefacente, di oltre il 9%, cifra che l’Europa deve accontentarsi di sognare. Quest’anno si stima che la crescita potrebbe avvicinarsi al 10%.

Il paese dispone di una quantità enorme di valute straniere, cosa che lo mette in condizione di incidere notevolmente sull’economia mondiale. Il primo ministro cinese, non molto tempo fa, aveva rivelato che la Cina aveva acquisito una quantità importante di debiti pubblici spagnoli e greci. Inoltre i cinesi continuano a convertire una parte delle loro riserve in debiti di stato americano e a sostenere così il mercato dei tassi americano.

Nel 2000 la Cina era ancora al settimo posto dell’economia mondiale, nel 2011 è preceduta solo (e fino a  quando?) dagli USA.

Questo exploit non è senza conseguenze per il livello di vita del cinese medio. A inizio del secolo, il reddito medio per abitante era ancora inferiore a 1000 dollari, oggi è superiore a 3mila dollari.

Attualmente la popolazione è costituita da 1,3 mld di abitanti (circa un quinto della popolazione mondiale), di cui una gran parte è poco scolarizzata (e costituisce quindi una mano d’opera poco costosa). Le imprese occidentali installate nel paese sono sempre più stupite dall’evoluzione delle mentalità. Un operaio cinese apprende in maniera straordinariamente veloce e ora la Cina è in grado di produrre una gamma di prodotti a valore aggiunto relativamente elevato.

Per poter far fronte alla domanda crescente di personale qualificato, le autorità cinesi hanno realizzato un gigantesco programma che mira a stimolare i cinesi ad intraprendere studi orientati. Ogni anno escono dalle Università cinesi più di 600.000 diplomati di alto livello.

Diventare ricco non è più un’ingiuria nella Cina di oggi. Di conseguenza, si assistono a migrazioni spettacolari: famiglie intere lasciano le campagne per raggiungere le città alla ricerca di un’esistenza migliore. I terreni industriali sono disponibili in abbondanza. Business park chilometrici spuntano come i funghi.

Non è tutto così idillico però. La maggioranza delle banche cinesi è in realtà insolvibile e sopravvive solo grazie all’aiuto pubblico. Anche se le autorità sono già intervenute e hanno fatto chiudere molti istituti deficitari, il problema rimane come una spada di Damocle a minacciare il mecato. Fino a poco tempo fa i crediti venivano concessi senza limite. Per prevenire un crac immobiliare le banche ora sono tenute a rispettare regole più strette per concedere un prestito. Le persone che vogliono ottenere un mutuo per comprarsi una seconda casa devono avere una quota del capitale necessario su un conto in banca.

Un recente rapporto di Ernst & Young rivela che il mercato cinese delle IPO è un po’ meno attivo dello scorso anno, ma che mostra comunque delle belle cifre. Nel corso del secondo trimestre di quest’anno, la Cina ha contato non meno di 108 IPO. Le imprese coinvolte sono riuscite a raccogliere poco più di 20 mld di dollari. Le IPO cinesi hanno rappresentato il 28,6% dell’offerta mondiale di introduzioni in Borsa. Nei primi sei mesi dell’anno la Borsa di Hong Kong ha raccolto 23,6 mld di dollari attraverso 35 IPO. La Borsa di Shenzen ha accolto 144 nuove imprese.

Chi vuole investire nel mercato azionario cinese deve sapere che non esiste un solo mercato. Hong Kong è probabilmente il mercato più conosciuto dagli investitori. Le azioni cinesi che vi sono quotate (H-shares)sono negoziate in dollari americani o in dollari di Hong Kong.

Oltre ad Hong Kong le imprese cinesi sono quotate sul continente, nella Borsa di Shanghai e in quella di Shenzen. Ognuno di questi mercati ha un suo segmento A, riservato agli investitori cinesi (salvo averne accesso i grandi operatori istituzionali in possesso di licenza) e un segmento B. Il mercato A è più liquido; il problema è che le imprese sono meno ben controllate rispetto al mercato di Hong Kong. Sul mercato B gli stranieri possono vendere e acquistare azioni. Le quotazioni sono espresse in renminbi cinesi nel mercato A e in dollari americani quelle del mercato B.

È chiaro: in un portafoglio ben diversificato c’è spazio per un investimento in Cina. La questione che si pone è non se si debba investire in Cina, ma come. Non con un investimento diretto. Molte imprese occidentali sono presenti in Cina. Per il loro tramite si può investire. Dai produttori di elettrodomestici, alle imprese farmaceutiche, ai costruttori automobilistici, al settore del personal care.

Fonte: Le Monde de l’assurance