Nessun danno biologico è più grave di quello che — trovando causa nelle lesioni che sfociano nella morte — temporalmente le precede, essendo in tal caso compromessa ogni capacità recuperatoria o quanto meno stabilizzatrice della salute: l’entità di tale pregiudizio biologico di natura psichica non dipende dalla durata dell’intervallo tra lesione e decesso, bensì dall’intensità della sofferenza provata dalla vittima dell’illecito che abbia percepito lucidamente l’approssimarsi della morte: sofferenza la quale, rientrando nel danno biologico, non potrà essere liquidata come danno morale, in quanto si perverrebbe a una duplicazione del risarcimento.

Cass. civ., 18 gennaio 2011, n. 1072