La Cina dovrebbe contribuire all’Efsf, il fondo salva stati europeo, fino a 100 mld di dollari (70,7 mld euro), ma la portata del suo coinvolgimento dipenderà dal fatto che i leader Ue soddisfino alcune condizioni. È quanto si legge in un articolo del Financial Times, che cita due consiglieri del governo cinese, Li Daokui e Yu Yongding. In particolare, i due funzionari sostengono che qualsiasi supporto da parte di Pechino dipenderà dai contributi degli altri stati e da un forte impegno sulla sicurezza dell’investimento. «È nell’interesse intrinseco e di lungo termine della Cina aiutare l’Europa, visto che è il nostro maggiore partner commerciale», spiega Li, riconoscendo però che «l’ultima cosa che la Cina vuole è gettare la ricchezza del paese». Li ha poi spiegato che Pechino potrebbe anche chiedere ai leader del Vecchio continente di ridurre le proprie critiche sulla politica valutaria del paese, da tempo uno dei motivi chiave di attrito tra la Cina e gli Stati Uniti.

Nell’articolo si cita inoltre una fonte in contatto con la leadership cinese, per la quale Pechino potrebbe contribuire con investimenti tra i 50-100 mld di dollari all’Efsf o a un nuovo fondo creato in collaborazione con il Fmi. Prima di impegnarsi a investire nel fondo salva stati, la Cina deve però attendere i dettagli del nuovo veicolo speciale (Spiv): lo hanno spiegato il viceministro delle finanze cinese, Zhu Guangyao, e Liu Mingkang, presidente della Commissione di regolamentazione bancaria. Zhu ha affermato che comunque, al prossimo vertice del G20 in Francia, non si discuterà degli investimenti nel fondo con i paesi membri.

Quanto scritto dal Financial Times arriva proprio nel momento in cui l’a.d. dell’Efsf, Klaus Regling, si trova in Cina per discutere con Pechino dell’eventuale coinvolgimento. Regling ha tuttavia detto di non aspettarsi «alcun esito preciso» dalla visita cercando, con le sue parole, di ridurre le aspettative sul suo viaggio. «Non sono qui per discutere concessioni», ha dichiarato l’a.d. dell’Efsf, osservando comunque che il principale paese emergente ha bisogno di investire i surplus delle partite correnti, con i bond del fondo che hanno un buon interesse commerciale.