VITTORIA PULEDDA

 

Una doccia fredda solo in parte inaspettata che ha un responsabile chiaro, la crisi dei mercati, e un’aggravante: proprio in quanto fattore esterno, rischia di essere in gran parte subìta dalla compagnia stessa. Sta di fatto che Fonsai ha dovuto far marcia indietro e rimangiarsi i target di bilancio che si era data nel gennaio scorso. Un budget per la verità elaborato da un management e un assetto azionario diverso da quello attuale, ma che tuttavia era stato confermato negli obiettivi in occasione della presentazione dei risultati semestrali.
Pochi giorni fa invece il gruppo ha dichiarato che al momento attuale non ritiene ragionevole ipotizzare di chiudere con un utile netto consolidato superiore a 50 milioni. In realtà è molto più probabile che il 2011 chiuda in perdita; magari meno di quanto si aspettino gli analisti di Standard and Poor’s, che hanno ipotizzato un rosso di 150 milioni (e sul mercato girano previsioni anche peggiori) ma comunque con il segno meno. Non è davvero un bel risultato per il gruppo, dopo un aumento di capitale da 450 milioni di euro appena concluso per Fonsai (che ora in Borsa ne capitalizza poco più di 600, oltre ad un altro centinaio delle risparmio) e da 350 per la controllata Milano Assicurazioni.
La settimana scorsa sono state comunicate rettifiche di valore per 250 milioni, di cui 172 da inizio anno. La partita più onerosa peraltro in vendita per “imposizione” dell’Antitrust è quella di Generali, il cui valore è stato abbattuto di 60 milioni proprio nell’ultimo trimestre, nonostante la quota sia stata in parte “coperta” recentemente. La crisi delle Borse ha avuto anche un altro effetto: ha spinto il Solvency margin giù fino a 115%; un indicatore che sarebbe probabilmente peggiore (stime di mercato si spingono fino a 105%) se non fosse intervenuta per tutto il settore la disposizione dell’Isvap per sterilizzare le minusvalenze latenti sui titoli di Stato. Basti pensare che nei primi giorni di agosto il Solvency era sceso a 112%: ancora sopra i minimi assoluti accettati dall’organo di vigilanza ma sotto l’obiettivo che la società aveva dichiarato quando aveva varato l’aumento di capitale, di 120%. Di sicuro, 115% non è un valore che possa essere considerato di tranquillità.
A tutto questo, per finire con le spine di Fonsai, si deve aggiungere l’endemica sottostima delle riserve. Gli analisti di Exane Bnp Paribas ritengono che da qui al 2014 il gruppo avrà bisogno di maggiori riserve per 498 milioni di euro, contro una stima di 290 fatta dalla compagnia; un fattore numeri a parte che rischia di erodere i margini di miglioramento che verranno, per Fonsai come per le altre compagnie, dal combined ratio in discesa.
Per questo per Fonsai è ora una corsa contro il tempo, una sfida titanica per schivare i colpi della crisi finanziaria ed evitare di dover ricorrere nuovamente al mercato per raccogliere mezzi freschi. Di sicuro, un nuovo bilancio in rosso (a questo punto il terzo consecutivo) non aiuta. Anche perché l’altra conseguenza forte della crisi oltre alle rettifiche sulle attività finanziarie è la paralisi o quasi delle attività di dismissione, che il gruppo aveva in animo di fare e che invece sono sempre più difficili.
Un ostacolo in più, sulla strada di una compagnia che dopo l’aumento di capitale e l’ingresso di Unicredit con una quota del 6,7% nel capitale (oltre che con tre consiglieri di sua nomina, un nuovo direttore generale, Piergiorgio Peluso, e un top manager che viene dalle stesse file, Gianandrea Perco) sta cercando di lasciarsi alle spalle gli errori della gestione Ligresti. I cambiamenti ci sono stati a partire dalla riorganizzazione di funzioni strategiche, con l’ingresso di nuovi responsabili nei settori clou dell’impresa (tra tutte la funzione di controllo sulle operazioni tra parti correlate) e il passo indietro chiesto (e ottenuto) dalla famiglia Ligresti: nelle deleghe (ad esempio di Jonella) e nei tanti contratti di consulenza che legavano la famiglia all’attività del gruppo.
La cartina di tornasole del nuovo corso sarà la presentazione del piano industriale, atteso per i primi mesi del 2012; ma con questi chiari di luna quel momento è lontano anni luce. La scommessa è riuscire a vendere qualche attività da qui a fine anno, per tenere sotto controllo il margine di solvibilità e contenere gli effetti della crisi. In pole position potrebbe esserci la vendita della compagnia serba Ddor: è stata annunciata da tempo, ma forse qualche spiraglio da questo fronte potrebbe arrivare. E poi c’è la partita Popolare Vita. E’ a mezzadria con il Banco Popolare (Fonsai controlla il 50% delle quote più un’azione) e assorbe molto capitale: difficile pensare che l’istituto guidato da Pierfrancesco Saviotti in questo momento abbia voglia di mettere mano al portafoglio, ma se Fonsai riuscisse a trovare forme di accordo tali da deconsolidare in tutto o in parte la quota (alleggerendo il peso sul solvency margin) sarebbe già contenta. Qualche altro immobile di pregio a Milano potrebbe passare di proprietà anche prima della fine dell’anno.
Il resto delle tante cose che vanno fatte sono numerose ma decisamente più lontane nel tempo. Ad esempio la Torre Velasca, sempre a Milano: nel medio periodo verrà sicuramente ceduta, ma la domanda che si sta ponendo il gruppo è se valga piuttosto la pena di ristrutturare e poi vendere (le offerte che erano state presentate in passato erano molto basse perché l’immobile è di prestigio ma non in ottime condizioni e attualmente poco redditizio). Una soluzione prima o poi andrà trovata anche per Ata hotel: non solo il polo alberghiero non è strategico, nel perimetro di un gruppo assicurativo, ma per di più perde soldi. La partecipazione, passata dalle società private del gruppo Ligresti alle società assicurative, è costata solo denari ai soci di Fonsai e della Milano, ma per il momento non si è riusciti a vendere la partecipazione. E’ possibile che la soluzione passi attraverso una fusione con altri partner del settore e con l’ingresso di un fondo di private equity che metta mezzi freschi. L’alternativa è un’acquisizione secca, magari da parte di un operatore estero: in questo caso il candidato quasi naturale sarebbe Nh, ma non è detto che davvero si faccia avanti. Di sicuro non in tempi brevi. Né troppo alla svelta verrà venduto il porto di Loano: per ora è stato nominato un tecnico del settore alla guida e si sta procedendo alla vendita dei posti barca, per valorizzare l’asset e poi incassare il più possibile dalla dismissione dell’area. In questo caso, come per altre partecipazioni di cui Fonsai si liberebbe volentieri, il problema è che i prezzi di carico per la società sono alti, più alti di quanto il mercato sia disposto a pagare (almeno in questo contesto) e quindi vendere con minusvalenze rischia di trasformarsi in un boomerang. Sempre che, ovviamente, le partecipazioni in questione non siano fonti di perdite.
Misure e interventi che richiedono tempo. Proprio quello che rischia di mancare a Fonsai.