Confermate le preoccupazioni dei banchieri: ci saranno più ricapitalizzazioni in Italia rispetto a Germania e Francia, nonostante la minore esposizione ai Pigs. I gruppi di Parigi e Berlino volano più di tutti in borsa 

di Francesco Ninfole

La paura espressa dai banchieri italiani nei giorni scorsi si è materializzata dopo il conteggio dell’Eba sul fabbisogno di capitale degli istituti europei. Le ricapitalizzazioni previste per i gruppi italiani (per 14,77 miliardi totali) dovranno essere inferiori soltanto a quelle in Grecia (30 miliardi) e Spagna (26,2 miliardi), ma saranno superiori a quelle delle banche francesi (8,8 miliardi) e tedesche (5,2), per non parlare delle britanniche, che grazie anche alle iniezioni di capitale pubblico, non dovranno aggiungere neppure una sterlina ai patrimoni.

Eppure, come noto, gli istituti di Parigi, Londra e Berlino svolgono un business più rischioso (più orientato all’investment banking e meno al credito alle imprese) e possiedono una maggiore quantità di titoli greci, gli unici che per il momento causeranno perdite nei bilanci degli istituti, oltre che una maggiore esposizione complessiva ai Pigs. Come si spiegano allora i risultati dell’Eba? L’analisi ha adeguato ai valori di mercato al 30 settembre i titoli di Stato europei in portafoglio: effettuata la svalutazione (che è solo teorica e non ha conseguenze reali per i bilanci e gli utili), le banche devono poi raggiungere il 9% di Core Tier 1. Questa procedura, tuttavia, per quanto possa apparire una fotografia, fornisce una rappresentazione molto parziale dei bilanci bancari. Gli organi Ue, ad esempio, hanno svalutato soltanto i titoli di Stato e non altri asset che pure hanno maggiori probabilità di una perdita definitiva (non solo teorica).

 

Ma anche concentrando l’attenzione sui bond statali, le banche italiane sono state penalizzate rispetto alle altre. A oggi l’unico haircut è quello per i titoli greci: nessun altro Paese, neppure Irlanda e Portogallo, valuta misure simili. Né tantomeno l’Italia: «Il Tesoro onorerà gli impegni», ha ribadito Mussari.

Eppure, la grande quantità di titoli italiani (concentrata nei portafogli delle banche) è tale per cui anche una piccola svalutazione produce un effetto significativo in valore assoluto. E la svalutazione non è comunque di poco conto: al 30 settembre i prezzi di Bot e Btp erano vicini ai minimi dall’introduzione dell’euro (lo sono tuttora): per esempio, i Btp italiani a dieci anni sono arrivati quel giorno a un rendimento del 5,5%, con uno spread sui titoli tedeschi di 365 punti base. Ma è difficile pensare che questi livelli così depressi siano mantenuti nel tempo, se l’Europa dimostrerà di avere una soluzione credibile alla crisi. Nel frattempo, però, l’effetto mark to market ha già avuto un impatto concreto sul conteggio delle ricapitalizzazioni. Che al contrario ha graziato le banche gonfie di titoli di Atene. Il presidente francese, Nicolas Sarkozy ieri ha detto: «Se avessimo lasciato cadere la Grecia, dopo sarebbe toccato all’Italia. E poi sarebbe stata la fine dell’Europa». Un’altra versione sul default greco è stata data dal presidente Acri Giuseppe Guzzetti alla Giornata Mondiale del Risparmio: «È abbastanza comprensibile che dettando le regole per l’uscita dalla crisi della Grecia, Germania e Francia vorranno penalizzare il meno possibile il loro sistema bancario».

La distorsione tra Paesi è rappresentata dal fabbisogno di capitale che secondo l’Eba servirà soltanto al mark to market del debito sovrano: il valore relativo alle italiane (9,5 miliardi su 14,8 totali) è il maggiore in assoluto in Europa ed è quasi il triplo di quello francese. Non a caso i rialzi sui listini ieri non sono stati di analoga entità: Intesa è salita del 10% e Unicredit del 7,5%; ma hanno fatto molto meglio SocGen e Credit Agricole (+22%), Commerzbank e Deutsche Bank (+16%). In tutte le stime degli analisti il buffer di capitale atteso era più gravoso per Parigi e Berlino; persino le previsioni del governo francese erano più alte, così come quelle dell’associazione bancaria tedesca. L’obiettivo dell’Eba è stato quello di scacciare i timori dei mercati: ma così facendo ha messo da parte la struttura dei bilanci delle banche, il modello di business, la presenza di asset più rischiosi dei bond statali. Le conseguenze potrebbero farsi sentire sui prestiti: le banche italiane, che impiegano una fetta più ampia del bilancio per il credito, avranno il prossimo anno più vincoli delle concorrenti francesi e tedesche nelle erogazioni del credito. Un effetto che i banchieri nei giorni scorsi non hanno esitato a definire «paradossale». Questo handicap si aggiunge a quello (strettamente collegato) del più alto costo della raccolta pagato dai gruppi italiani, anche questo legato esclusivamente al rischio-Paese. Per favorire l’accesso delle banche al funding di medio-lungo termine, l’ultimo vertice Ue ha proposto un sistema di garanzie, il cui funzionamento è però ancora da definire. (riproduzione riservata)