Se l’economia cresce a fatica il capitale accumulato dagli iscritti Inps non si rivaluta. Così la copertura rispetto all’ultimo stipendio può scendere anche di un quarto. Ecco perché ci vuole uno scatto del pil 

di Roberta Castellarin e Paola Valentini

La crisi economica preoccupa i lavoratori vicini alla pensione. Perché l’esigenza di tenere i conti in ordine potrebbe spostare avanti nel tempo il loro addio al lavoro. Ma non possono stare tranquilli nemmeno i trenta-quarantenni che ricadono nel regime contributivo. Perché i loro contributi vengono rivalutati in base alla media del pil.

Una stagnazione prolungata dell’economia italiana taglierebbe l’assegno futuro dei lavoratori fino al 25%. Tanto più che i lavoratori devono già fare i conti con l’eredità del biennio 2008-2009, due anni di profonda recessione che ancora pesano sulle medie quinquennali del pil utilizzate per rivalutare i contributi. Per coloro che rientrano nell’applicazione del metodo contributivo (gli assunti dopo il 1° gennaio 1996) e per una quota parte del calcolo di chi ricade nel metodo misto (coloro che al 31 dicembre 1995 erano già occupati ma non aveva maturato più di 18 anni di contributi) la pensione si calcola moltiplicando il montante dei contributi versati per un coefficiente di trasformazione rapportato all’età dell’assicurato al momento del pensionamento. Il montante è costituito dalla quantità di contributi che il dipendente ha versato assieme al datore di lavoro. L’importo contributivo viene poi rivalutato al 31 dicembre di ogni anno in base a un tasso di capitalizzazione virtuale che è pari alla media del pil nominale degli ultimi cinque anni: è quindi evidente che un pil in recessione riduce la media quinquennale perché il valore negativo si ripercuote per i cinque anni successivi alla crisi, tenendo comunque molto basse le percentuali di rivalutazione. «Dal 2010 al 2012 le medie appaiono negative in termini reali per via del biennio 2008-2009 (-6,3% complessivo): con le piccole crescite degli altri anni, la media quinquennale non basta infatti ad assorbire tali eccezionali annate.

 

Ciò significa che, con l’eccezione del sistema retributivo, i montanti contributivi perdono valore rispetto all’inflazione, e dunque la prestazione pensionistica attesa crescerà meno di quanto potrebbe. Tale situazione permarrà probabilmente fino al 2015, anno nel quale il valore del 2009 non sarà più incluso nella media», spiega Andrea Carbone di Progetica. L’entità del taglio dipende dai singoli casi. Proprio Progetica ha calcolato per MF Milano Finanza una stima di come potrebbe cambiare il tasso di sostituzione al variare delle previsioni del pil. Nell’ambito del regime contributivo gli effetti della recessione sono differenti, a seconda che il lavoratore sia più o meno vicino all’età della pensione. «Le oscillazioni, per i dipendenti che hanno di fronte a sé lunghi periodi, possono sfiorare 25 punti percentuali di tasso di sostituzione. Come dire che una settimana su quattro di copertura del proprio tenore di vita mensile può dipendere dall’andamento del pil». Per esempio per un dipendente di 25 anni la percentuale dell’ultimo stipendio che percepirà scende dal 71% al 48% se il pil anziché crescere del 2% in media resta al palo. Uno scenario preoccupante, quello della bassa crescita economica prolungata, che però oggi non appare così irrealistico: «Complici le considerazioni sulle potenzialità economiche di un Paese in via di invecchiamento come il nostro, il pil dei prossimi anni difficilmente potrà tornare ai livelli degli anni Settanta o Novanta. Per tutti coloro che investono i propri contributi nell’Inps, sembrerebbe pertanto opportuno valutare la possibilità di diversificare il proprio portafoglio pensionistico su forme previdenziali alternative, al fine di minimizzare il rischio finanziario legato al pil», conclude Carbone. Ecco perché la tanto invocata crescita economica è fondamentale anche per mettere le basi per il welfare futuro. Come ha più volte ricordato Alberto Brambilla, il presidente nucleo valutazione della spesa previdenziale: «Senza sviluppo avremo prima lavoratori poco pagati e poi pensionati deboli». (riproduzione riservata)