L’Italia è tra le più importanti potenze pescherecce del Mediterraneo, con circa il 50% della produzione totale. A questo comparto che è stato dedicato il “Secondo Rapporto Pesca”, illustrato oggi dall’INAIL a Civitavecchia presso il Centro storico culturale della Capitaneria di porto Forte Michelangelo. Il documento fa riferimento al periodo 2004-2008 (ultimi dati disponibili), esaminandone l’andamento infortunistico e analizzando la tipologia dei sinistri marittimi. 

In complesso circa 28mila occupati. 
Le informazioni relative agli infortuni sul lavoro registrati nel comparto in Italia provengono quasi esclusivamente dai due Istituti assicuratori, INAIL ed ex Ipsema, che – fino all’entrata in vigore della L. n. 122/2010, che li ha unificati – avevano ambiti di “copertura” distinti: l’INAIL la pesca in acque interne, la piccola pesca marittima (lavoratori autonomi o cooperative con natanti fino a 10 tonnellate di stazza lorda) e le attività complementari di vallicoltura, miticoltura e ostricoltura e l’ex Ipsema la pesca in mare aperto condotta con natanti di stazza lorda superiore alle 10 tonnellate e, in generale, i lavoratori dipendenti. Tra piccola pesca – ambito in decremento occupazionale del 3% nel quinquennio 2004-2008, considerata l’esigua presenza di pescatori dipendenti (in media 50 l’anno) rispetto ai lavoratori autonomi (2.700) e ai soci di cooperative (15.700) – ed esposti in mare aperto (circa 10mila unità) sembra accettabile una valutazione media complessiva dell’intero settore prossima alle 28mila unità impiegate a tempo pieno per tutto l’anno. Tuttavia, va tenuto conto che probabilmente si tratta di una sottostima dovuta anche all’impossibilità di conoscere la consistenza dei lavoratori non regolari e degli addetti alla vallicoltura, miticoltura e ostricoltura. 

Un settore complesso da monitorare.
Per quanto riguarda gli infortuni di stretta competenza dell’INAIL del quinquennio 2004-2008, appare confortante l’andamento del fenomeno infortunistico che vede, a fronte del già annunciato calo degli esposti del 3%, una contrazione ben più consistente degli incidenti denunciati all’Istituto, che sfiora quasi l’8%: dai 405 del 2004 ai 374 del 2008, dei quali 17 sono mortali. La media degli episodi di esito fatale – circa tre casi registrati ogni anno – costituisce un valore troppo esiguo per poter consentire qualsiasi tipo di analisi. Comunque, si rileva che le cadute dall’alto – tra le cause più comuni di incidenti mortali a terra – sono ancora più frequenti a bordo dei pescherecci. La scarsa numerosità degli infortuni occorsi dai lavoratori autonomi, ai quali afferisce solo il 5% delle denunce pur rappresentando questa forza lavoro circa il 14% del complesso degli assicurati, fa pensare che anche questo settore sia interessato dal fenomeno della sottodenuncia. Come accade nella quasi totalità degli altri settori di attività economica, è proprio questa la tipologia di lavoratore che tende a non denunciare i casi più lievi di infortunio per non interrompere la propria attività lavorativa. A essere interessate dal fenomeno probabilmente anche le altre categorie lavorative della pesca, vista l’esiguità dell’indice di incidenza infortunistica. Esiguità in contraddizione con la nota rischiosità del settore, identificato a livello europeo come uno dei più pericolosi con un rischio di infortunarsi di 2,4 volte maggiore della media europea. 

Mare aperto: il calo scende al 18,6% nel biennio 2009/2010. 
Gli infortuni di competenza dell’ex Ipsema risultano tra il 2004 ed il 2008 in calo del 32% – da 253 a 172 denunce (35 dei quali per casi mortali) -, anche se la scarsità dei numeri e il peso che possono assumere le oscillazioni casuali del fenomeno suggeriscono di considerare tale flessione con le opportune cautele. Da segnalare che – se al periodo di analisi considerato nel Rapporto si aggiungono gli anni 2009 e 2010 – il calo degli infortuni nella pesca in mare aperto diventa meno consistente e risulta pari al 18,6%. La diminuzione degli infortuni si abbina a una flessione del numero stimato di “addetti anno”. Il rapporto di gravità (rapporto tra infortuni gravi e totale dei casi indennizzati) nella pesca assicurata con l’ex Ipsema risulta quasi sempre (tranne nel 2008) inferiore a quello delle altre categorie, ma decisamente più elevato di quello rilevato da INAIL nella piccola pesca. 

Pescatori afflitti da patologie muscolo-scheletriche. 
Sul versante delle malattie professionali, è da sottolineare la forte prevalenza di patologie muscolo-scheletriche nella popolazione dei pescatori. Infatti, dai dati sulle malattie comuni registrati dall’ex Ipsema per gli anni 2004-2008, è evidente la netta predominanza di pratiche relative a quest’ambito (circa il 60%), che in parte potrebbero essere dovute ad una fisiologica degenerazione dell’apparato, in parte potrebbero invece essere “disturbi da stress fisici ripetuti”, cioè risultare l’effetto di specifiche attività svolte a bordo delle imbarcazioni da pesca (come ad esempio la movimentazione dei carichi pesanti a mano o con la forza del corpo). 

Carico e scarico merci tra le attività pericolose. 
L’INAIL individua per la piccola pesca quali luoghi principali di infortunio non quelli sull’acqua (29%) bensì quelli a terra (71%), dove si concentrano le principali operazioni di carico e scarico merce (16%). In base all’attività fisica specifica – che descrive l’attività svolta dalla vittima al momento dell’infortunio – risulta che l’80% degli infortuni avviene per il trasporto manuale (28%): attività che comprende tanto il carico/scarico merci quanto lo spostamento di oggetti sull’imbarcazione; la manipolazione di oggetti e il lavoro con utensili a mano (rispettivamente il 22% e il 10%); i/la movimenti/presenza (20%): attività che vanno dal compiere movimenti al semplice essere presenti sul posto di lavoro. 

Tra i 35-50 anni aumenta il rischio di fratture e lussazioni. 
A prevalere come modalità di infortunio sono le cadute, l’urto con oggetti contundenti e i movimenti del corpo durante il trasporto manuale e la manipolazione di oggetti, resi ancora più rischiosi e frequenti dalla pavimentazione spesso bagnata, ingombra di reti e funi e dalla minor stabilità dovuta alla fluttuazione dell’imbarcazione. Oltre il 90% degli infortuni provoca ferite, contusioni, lussazioni e fratture, che si distribuiscono per età evidenziando una maggior concentrazione nella classe 35-49 anni. Circa la metà degli infortuni interessa la mano, il piede, il ginocchio e la caviglia e un infortunio su quattro interessa la colonna vertebrale o la parete e il cingolo toracico. 

Alta percentuale di traumi dalle gravi conseguenze. 
L’ex Ipsema individua come maggiore luogo di infortunio la navigazione in mare aperto, circa l’86% (dati 2007). Le parti del corpo più colpite sono mani e dita – in generale gli arti – che risultano le più vulnerabili (56,4% degli eventi). Dal punto di vista della gravità degli infortuni, si noti che il 16,4% ha provocato delle conseguenze gravi (grado di inabilità compreso tra 6 e 100 o morte). Le lesioni a mani e dita sono in gran parte riconducibili al maneggio di cavi e attrezzature da pesca, soprattutto all’uso di verricelli e cavi in trazione. Oltre il 60% degli eventi è avvenuto per “schiacciamento in movimento verticale o orizzontale”. Nel complesso, dunque, si può affermare che circa la metà degli infortuni accade a seguito di una caduta, dovuta prevalentemente a scivolamento o inciampamento. Dal punto di vista delle misure di prevenzione il Rapporto suggerisce di porre attenzione al problema della sicurezza delle pavimentazioni e delle scale, che spesso sulle navi da pesca sono scivolose a causa della presenza di residui del pescato e anche ricche di ingombri e cime nelle quali impigliarsi. 

Un settore vitale per l’economia italiana. 
L’Italia, con circa il 50% della produzione totale, è tra le più importanti potenze pescherecce del Mediterraneo. La produzione ittica, compresa l’acquacoltura, dopo un significativo periodo di flessione dal 2003 al 2008 – pari al 10,8% – nel 2009 ha registrato un lieve incremento toccando quota 475mila tonnellate (rispetto alle 464mila dell’anno precedente). In generale, la contrazione complessiva sarebbe stata anche superiore senza l’apporto dell’acquacoltura: quest’ultimo comparto rappresenta il 51,1% della produzione del 2008 ed è cresciuto dal 2003 del 23,9%. La pesca marittima (senza l’allevamento) la cui produzione nel 2008 è stata pari a circa 227.000 tonnellate, nello stesso anno, il 2008 ha subito di contro una diminuzione di oltre il 31% e, se si trascura l’incremento del 5% registrato tra il 2005 ed il 2006, le catture, nel periodo, sono sempre risultate in calo. Nel 2008 – ultimo anno di osservazione considerato – il decremento va ricondotto principalmente alla riduzione della flotta peschereccia, alla diminuzione delle giornate di lavoro conseguenti al rincaro del costo del carburante. Il costo del carburante, per esempio, nel 2008 ha inciso mediamente per il 57% sui costi intermedi e per il 38,1% sui costi complessivi. A tutto ciò va aggiunto che la diminuzione delle catture non è stata accompagnata da un aumento dei prezzi alla produzione che sono risultati stabili o addirittura in diminuzione. Il 2010 secondo l’Ismea dovrebbe segnare un nuovo più per la produzione ittica nazionale, è stimato un rialzo del 2,2% a fronte però di un calo dei consumi del pesce fresco del 5%. 

La catena produttiva in Ue vale 20 miliardi di euro. 
L’Unione europea – che conta 251.685 (dato riferito al 1997) occupati nel comparto della pesca marittima – è il primo mercato di prodotti trasformati e di prodotti dell’acquacoltura. Nel 1998 il valore dell’intera catena produttiva (comprendente la pesca, l’acquacoltura, la trasformazione e la commercializzazione) ammontava a 20 miliardi di euro, pari allo 0.28% del Pil comunitario. Nello stesso tempo appare diminuita la redditività della flotta peschereccia. Il Rapporto annuale 2010 sulla flotta per la pesca comunitaria mostra infatti una riduzione negli ultimi anni delle prestazioni economiche del settore, le cause vengono individuate nell’elevato costo del carburante e nella bassa redditività del settore.  Per affrontare queste problematiche la Commissione europea ha stilato una proposta per la riforma della politica comune per la pesca. I contenuti della bozza presentata il 13 luglio a Bruxelles sono improntati alla sostenibilità degli stock del pescato, quindi al rapporto tra conservazione e sfruttamento delle risorse ittiche; al regolamento sull’organizzazione comune dei mercati della pesca e dell’acquacoltura. La Grecia (21% sul totale delle imbarcazioni), la Spagna (20%) e l’Italia (17%) sono i paesi con la flotta più numerosa anche se in termini di stazza la Spagna (34%) sopravanza nettamente l’Italia (12,5%) e tutti gli altri paesi; in generale le flotte pescherecce europee hanno una spiccata prevalenza di piccole imbarcazioni (il 76% non supera le 25 tonnellate di stazza lorda) con una elevata età di esercizio (il 32% supera i 25 anni), a scapito quindi dell’efficienza e della economicità (Ismea, 1996). 

Nel mondo 17 kg di consumo procapite all’anno. 
Nel 2009 la produzione ittica mondiale si è attestata a circa 144,6 milioni di tonnellate, il 61,5% delle quali proveniente da attività di pesca attraverso cattura, la restante parte, il 38,5%, dall’acquacoltura. La produzione 2009 è risultata in crescita di appena il 2,2% su un 2008 particolarmente critico, per un valore complessivo che ha superato di poco 1,8 miliardi di euro (+5,3%) e per un consumo procapite di 17 Kg annui a persona. Il consumo mondiale di prodotti presenta un andamento in crescita da anni: dal 2004 al 2009 il consumo di pesce è aumentato di 13 milioni di tonnellate, 2,7 milioni solo nel 2009. Si stimano in circa 43.5 milioni le persone che partecipano direttamente, a tempo pieno o parziale, ad attività di pesca da cattura o di acquacoltura. La maggior parte di esse (86%) vive in Asia. Altri 4 milioni sono impiegate nel settore su base occasionale. Considerando insieme l’occupazione nei settori della lavorazione, della commercializzazione e dei servizi legati ai prodotti ittici, e aggiungendo le famiglie di tutti coloro che sono impiegati direttamente o indirettamente nelle attività di pesca e dell’acquacoltura, oltre mezzo miliardo di persone nel mondo dipende dal settore ittico. I principali produttori ittici sono Cina (51 milioni di tonnellate, dati 2004) Perù e Giappone (8 milioni).

Fonte: INAIL