Le cinque principali banche italiane escono allo scoperto sull’ammontare individuale delle ricapitalizzazioni richieste dalla Ue, che complessivamente si attestano a 14,7 miliardi. E lo fanno a mercati chiusi, dopo una giornata euforica a Piazza Affari, con il Ftse/Mib in rialzo del 5,49%, trainato proprio dai titoli bancari, guidati da Intesa Sanpaolo (+10%) e da Unicredit (+7,49%). Delle cinque top five, l’unica che non presenta un fabbisogno di ulteriore capitale è Intesa Sanpaolo, che al 30 giugno 2011 aveva un core tier 1 del 10,2 per cento. Come dalle attese, l’istituto più esposto è Unicredit, che ha un deficit di capitale preliminarmente stimato in 7,379 miliardi. «Non ci sorprende», ha commentato l’ad Federico Ghizzoni, che poi ha spiegato: «Sono 7,3 miliardi, però senza considerare i cashes. È quindi gestibile». Considerando i cashes per il computo del core tier 1, il buffer di capitale si riduce a 4,396 miliardi. Il banchiere, però, non si sbilancia sull’importo di un eventuale nuovo aumento di capitale, che sarebbe il terzo, dopo i circa 7 miliardi chiesti con l’operazione cashes del 2009 e con l’aumento del 2010. «Non posso anticipare nulla», si è limitato a dire l’ad. In giornata però il sindaco di Verona, Flavio Tosi, interpellato sul tema aveva risposto: «Devo confrontarmi con il presidente di fondazione Cariverona, Paolo Biasi (azionista di riferimento di Unicredit, ndr), perchè l’entità dell’aumento di Unicredit è pesante: ho sentito cifre dell’ordine di oltre 5 miliardi». Insomma, l’entità esatta si conoscerà con la presentazione del piano industriale. Presentazione che potrebbe slittare dopo il 14 novembre (giorno della diffusione dei dati del terzo trimestre). Interrogato proprio sulla tempistica Ghizzoni ha detto : «Non posso anticipare le tempistiche andiamo avanti e poi vediamo». Ma leggendo il comunicato diffuso da Unicredit sui risultati Eba test, tra le righe si intuisce che i tempi potrebbero essere più lunghi. L’importo di 7,3 miliardi «è preliminare e indicativo», si legge nella nota, e «sarà rivisto sulla base dei dati di fine settembre e sarà questo secondo importo a costituire il riferimento per i piani di rafforzamento». Quanto agli altri istituti, per Mps il buffer di capitale individuato dall’Eba è di 3,091 milioni. Rocca Salimbeni, però, rileva come, considerando anche la conversione del prestito Fresh e l’esclusione dell’effetto negativo sulla riserva Afs (attività disponibili per la vendita) del rischio tasso sulle coperture del portafoglio titoli di stato, queste mosse «annullerebbero sostanzialmente l’esigenza temporanea di capitale connessa al solo rischio sovrano». Dura la reazione della Fondazione Mps, che in una nota ha detto che «vista la non definita determinazione delle effettive necessità, si riserva di valutare le opportune decisioni da prendere» e «sottolinea che tali necessità sono date esclusivamente dall’esposizione sui debiti sovrani delle banche europee, esposizione fino a ieri considerata priva di rischio, e che, per quanto riguarda l’Italia, continuiamo a considerare priva di rischi». E proprio il giorno prima, il presidente Gabriello Mancini si era tirato indietro («abbiamo già dato e in abbondanza», aveva detto) in caso di un nuovo aumento del Monte. L’Eba ha quantificato, invece, in 1,48 miliardi il fabbisogno di capitale di Ubi Banca, che ieri ha detto che non ricorrerà al mercato. Ubi Banca si dice infatti fiduciosa, «grazie alla combinazione della riserva costituita dal prestito convertibile», all’azione di «deleveraging in corso» e a un «coerente autofinanziamento», di «essere in grado di soddisfare il nuovo requisito di core tier 1 del 9% senza ricorrere al mercato». Infine, il deficit del Banco Popolare è di 2,8 miliardi. E come Ubi, anche il Banco ritiene che non farà ricorso al mercato. Tra le mosse, che l’istituto metterà in atto ci sono la conversione del prestito «soft mandatory» e ulteriori azioni di capital management. Il 26 novembre si terrà un’assemblea straordinaria per modificare il regolamento del prestito «2010/2014 al 4,75%» , al fine di consentirne l’eventuale integrale conversione.