Di Laura Magna

«Allungare la durata di un debito non è un palliativo perché avere un debito di durata media di sette anni sta permettendo in questa fase all’Italia di proteggere i conti pubblici dal rialzo dei tassi. Il fondo salva-Stati è sia un deterrente che uno strumento per accompagnate i Paesi nel corso dei piani di riduzione del deficit». A dirlo a B&F è Paolo Balice, presidente dell’Aiaf. 
Dunque lei ritiene che l’ampliamento di poteri e dotazione dell’Efsf sia la strada maestra per risolvere i problemi del debito sovrano in Europa?
L’ampliamento sarebbe la dimostrazione della risolutezza dell’Europa e potrebbe solo per questo convincere i mercati e ridurre il costo complessivo dell’operazione di aiuto ai Paesi in difficoltà.
Ma non sarebbe una soluzione…
La soluzione può scaturire da tre componenti: la continuazione nei vari Paesi periferici delle manovre di contenimento fino al pareggio di bilancio (è la premessa per ammorbidire nel tempo la posizione tedesca); un monitoraggio attivo del mercato secondario dei titoli di Stato da parte della Bce; una soluzione definitiva della crisi greca.
Intanto, la situazione anche nel resto del mondo è compromessa: Usa e Giappone hanno debiti elevati. 
Dobbiamo capire il ruolo in questi casi delle banche centrali nel consentire la sostenibilità del debito tramite massicci acquisti. Se non c’è inflazione la monetizzazione del debito è un’arma potente per difendere i conti pubblici dal costo appunto del debito pubblico, evitando o frenando avvitamenti. Ma non può continuare all’infinito.
L’onda, intanto, si sta abbattendo anche sui mercati emergenti, fino a oggi roccaforti dei bilanci di Stato sani: pare che anche nei mercati in via di sviluppo l’indebitamento pubblico stia assumendo le proporzioni di una bolla. Cosa ne pensa?
Si tratta di realtà eterogenee ma il problema non sono spesso i conti pubblici ma eccessi sul mercato immobiliare, tensioni inflazionistiche. Poi quando scatta il panic selling globale come successo qualche settimana fa i Paesi emergenti pagano pesantemente la minor profondità e liquidità dei loro mercati finanziari.
Da un punto di vista degli investimenti, come deve muoversi un investitore retail per proteggersi?
Se mi permette un paradosso per un risparmiatore italiano che non ha deciso di espatriare per paura del default rinunciare ai buoni rendimenti dei titoli di Stato si potrebbe annoverare tra i sacrifici inutili. 
Un paradosso che equivale a dire che sarebbe stato meglio stare del tutto fuori dal mercato domestico?
Più seriamente diversificherei il portafoglio obbligazionario su più emittenti sia Stati sovrani che corporate. Ma approfitterei nel tempo dei progressi fatti dai Paesi caduti in difficoltà con titoli di Stato ad alto rendimento. Da seguire per esempio il caso irlandese. Sull’azionario procederei nello stesso modo con una particolare attenzione al fattore tempo, considerando che passata la bufera molte quotazioni appariranno a quel punto estremamente interessanti.