Il presidente dell’Associazione ascoltato alla Camera in un’audizione sulla riforma della tassazione Ha chiesto anche di regolamentare l’abuso di diritto che è già costato centinaia di milioni agli istituti 

di Andrea Bassi

Più che il fisco che verrà, a preoccupare le banche è il fisco che già c’è. Soprattutto quello introdotto con le due manovre estive che hanno aumentato le imposte sui bolli, l’Iva e la tassazione sulle rendite finanziare facendola salire fino al 20%.

Proprio su quest’ultima misura il presidente dell’Abi Giuseppe Mussari, ascoltato ieri in audizione in commissione Finanze alla Camera, è stato particolarmente duro. Non tanto o non solo per l’innalzamento dell’aliquota sui capital gain, ma soprattutto per il fatto che il governo ha voluto sottrarre il risparmio postale alla stretta. «Il mantenimento del regime agevolato del 12,5% non solo per i titoli italiani e esteri, ma anche per i buoni postali, ormai non più riconducibili alla nozione di titoli pubblici dopo la trasformazione delle Poste in società per azioni», ha spiegato il numero uno dell’Abi, «rappresenta un’alterazione della concorrenza tra emittenti non giustificata e che non corrisponde a principi comunitari». Insomma, le banche sono anche disposte a ingoiare il boccone amaro del trattamento di favore dei titoli di Stato, visto il contesto economico attuale. Ma avvantaggiare anche Poste, che compete nella raccolta proprio con le banche, è un po’ troppo. Anche considerando che gli istituti già devono pagare il dazio dell’aumento dei bolli sui conti titoli. Ma non c’è solo questo aspetto da considerare, secondo Mussari. Va anche spiegato con attenzione il concetto di piani di investimento di lungo termine, altra categoria di investimento che, secondo la delega, sarà tassata al 12,5%. La loro definizione potrebbe avere conseguenze per i nuovi ratios di liquidità delle banche, perché i clienti, è la tesi di Mussari, «potrebbero essere indotti a spostare i propri investimenti verso asset agevolati fiscalmente».

Altro tema delicato per il presidente dell’Abi è quello dell’abuso di diritto, ossia le operazioni considerate lecite dalla legge ma sanzionate dal Fisco perché utilizzate solo per avere risparmi d’imposta. Al momento è, in pratica, la fattispecie elusiva che viene maggiormente contestata alle banche durante gli accertamenti fiscali. Molti istituti hanno già effettuato transazioni con l’amministrazione guidata da Attilio Befera per centinaia di milioni. Mussari ieri ha chiesto un «intervento normativo esplicito che definisca l’abuso del diritto e la relativa procedura di contestazione per rendere chiaro il confine tra l’indebito vantaggio fiscale e il legittimo risparmio d’imposta». Del resto, ha spiegato il presidente dell’Abi, «gli investitori esteri rifuggono da situazioni di incertezza». Non è solo il caso dell’abuso del diritto, ma anche quello della retroattività delle norme fiscali (nell’ultimo anno i casi si sprecano, dalle norme sui fondi immobiliari alla riapertura degli accertamenti sui condoni del 2002).

 

La delega, ha comunque spiegato Mussari, è un buon punto di partenza se viene attuata in tempi brevi. Una spinta alla competitività delle imprese, per esempio, potrebbe arrivare da una graduale riduzione dell’Irap, a cominciare dall’esclusione dalla sua base imponibile del costo del lavoro. Come conseguenza invece dell’aumento dell’Iva di un punto percentuale, i costi per l’acquisto di beni e servizi da parte delle banche, si è lamentato Mussari, sono immediatamente saliti. (riproduzione riservata)