GIURISPRUDENZA

Autore: Mario Riccardo Oliviero
ASSINEWS 367 – Ottobre 2024

Con l’importante ordinanza n. 19078 emessa l’11 luglio
2024 dalla Terza Sezione Civile, la Cassazione ribadisce che anche eventuali comportamenti del danneggiato, fino alla distrazione, non possono escludere la responsabilità dell’ente

Per graduare correttamente la responsabilità, ai sensi dell’art. 2051 del codice civile per danno cagionato da cose in custodia, nel tempo la giurisprudenza ha oscillato tra la responsabilità oggettiva del proprietario del bene che ha causato il danno e la responsabilità soggettiva di chi ha contribuito, in qualche modo, al verificarsi dell’evento. Più che un confronto fra distinti orientamenti giurisprudenziali è forse possibile attribuire queste interpretazioni alle differenti sensibilità giuridiche, ma anche economiche e sociali, che hanno accompagnato le diverse epoche storiche.

Con l’importante ordinanza n. 19078 emessa l’11 luglio 2024 dalla Terza Sezione Civile della Cassazione, la giurisprudenza della Suprema Corte vira, ancora una volta, verso
la piena responsabilità oggettiva del custode, proprietario del bene. Considerando irrilevante ogni possibile concorso di colpa del danneggiato alla causazione dell’evento, ai sensi dell’art. 1227 del codice civile, come ad esempio: la disattenzione, l’utilizzo improprio di un veicolo su strada dissestata e aver indossato calzature non adeguate alla morfologia del terreno.

Il caso

Per consentire il transito di un veicolo, mentre passeggiava verso sera con il coniuge e alcuni amici su una strada interpoderale, il danneggiato scivolava con una gamba in un tombino posto ai margini della strada, ma non visibile perché coperto da foglie e rami e comunque non segnalato. Per ottenere il congruo risarcimento delle lesioni fisiche riportate nella rovinosa caduta, il danneggiato conveniva in giudizio il Comune, proprietario della strada. Il tribunale territoriale di primo grado accoglieva la domanda riconoscendo un risarcimento di €39.000 per i danni subiti. La Corte d’Appello confermava la pronuncia di primo grado inducendo il Comune a ricorrere in Cassazione per i seguenti motivi: 1. Secondo l’ente pubblico ricorrente la presunzione di responsabilità [ai sensi dell’Art. 2051 per cose in custodia] non è applicabile nei confronti della Pubblica Amministrazione cosicché la circostanza che sia esigibile in concreto la custodia del bene è a carico del danneggiato e, nella specie, risultava indimostrato che la strada sulla quale si era verificata la caduta rientrasse nell’ambito del territorio del Comune e fosse, comunque comunale e aperta al pubblico uso; 2. La scarsa attenzione prestata dal danneggiato durante la passeggiata e dunque sull’abnormità della sua condotta [In molte sentenze di segno diverso l’imprudenza e la negligenza del danneggiato sono invece prese in considerazione dai giudici per valutare il grado di responsabilità da attribuire al custode, proprietario del bene NDR].

La pronuncia

In punto di fatto e diritto, anche la Corte di Cassazione conferma le precedenti sentenze, rigettando il ricorso del Comune e condannandolo al pagamento delle spese processuali. Le motivazioni Come già sentenziato dalla Corte di Appello, ricalcando il giudice di primo grado, è pacifico che la strada sia Comunale. L’ente pubblico, pertanto, era tenuto alla custodia del bene e, quindi, a far sì che il tombino posto sulla banchina non rimanesse scoperchiato e fosse segnalata la circostanza che era privo di copertura, rispondendo dei danni, ai sensi dell’art. 2051 nel caso di prova di omessa custodia, come affermato dai giudici di merito. Anche il secondo motivo è inammissibile, poiché di carattere fattuale e non avente una adeguata prospettazione di critica argomentata, in quanto contesta la valutazione delle prove compiuta dai giudici di merito, affermando puramente e semplicemente che i due testimoni escussi erano inattendibili e richiede, comunque, una rivalutazione complessiva delle circostanze di fatto, adeguatamente vagliate dai giudici di merito.

La Disamina

La disattenzione del pedone su strada pubblica è, pertanto, irrilevante e non può escludere la responsabilità dell’ente proprietario della strada, salva l’ipotesi della sua condotta abnorme, in adesione all’orientamento di questa Corte (Cass. n. 15761 del 29/07/2016, Rv. 641162), che è condiviso dal Collegio, secondo il quale: «L’ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito si presume responsabile, ai sensi dell’art. 2051 c.c., dei sinistri riconducibili alle situazioni di pericolo immanentemente connesse alla struttura ed alla conformazione della strada e delle sue pertinenze, indipendentemente dalla loro riconducibilità a scelte discrezionali della P.A.; su tale responsabilità può influire la condotta della vittima, la quale, però, assume efficacia causale esclusiva soltanto ove sia qualificabile come abnorme, cioè estranea al novero delle possibilità fattuali congruamente prevedibili in relazione al contesto, potendo, in caso contrario, rilevare ai fini del concorso causale ai sensi dell’art. 1227 c.c. […] salva l’ipotesi che il danneggiato fosse pienamente a conoscenza dell’esistenza dell’insidia (nella specie, una buca sul manto stradale): Cass. n. 23919 del 22/10/2013 Rv. 629108 – 01)». Secondo questa pronuncia della Cassazione, che sposta il baricentro nella graduazione delle colpe, in assenza di un comportamento volontario e molto particolare del danneggiato, il proprietario del bene deve sempre essere ritenuto responsabile, rispondendo di eventuali danni causati.

C’è da chiedersi se la rigorosa interpretazione oggettiva della responsabilità possa valere anche per chi non presta particolare attenzione continuando, ad esempio, a camminare con gli occhi incollati al telefonino (per chi lo utilizza alla guida è già prevista una pesante sanzione fino a €660), senza che si possa attribuire a questa condotta una minima corresponsabilità.


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