Se la guerra si intensifica, nel 2023 sarà +0,5%. Ricci: abbiamo risorse e competenze per affrontare le crisi globali
di Andrea Pira
Il fattore prezzi, più dei volumi, spinge a doppia cifra l’export italiano. Nel 2022 le esportazioni Made in Italy cresceranno del 10,3% e nel 2023 raggiungeranno quota 600 miliardi di euro, proseguendo il trend positivo con un +5%. Questo risultato beneficia di condizioni di domanda ancora relativamente favorevoli a livello globale e delle risorse messe a disposizione dal programma Next Generation Eu, si legge nell’ultimo rapporto export di Sace. «Abbiamo risorse, strumenti e competenze per affrontare le sfide globali e tenere alta la bandiera dell’export italiano nel mondo», ha commentato l’amministratore delegato, Alessandra Ricci. «Con un approccio sempre più strategico, un’attenzione a nuovi mercati e grazie a tutto il sostegno assicurativo-finanziario che il nostro gruppo è in grado di offrire, le aziende italiane possono rafforzare la loro competitività anche in un momento complesso». In questo quadro il conflitto in Ucraina «ha avuto soprattutto un impatto indiretto. Per quello diretto, guardando i numeri del 2021, circa 10 miliardi di euro verso la Russia e l’Ucraina su un totale di 500 miliardi rappresentano un contraccolpo gestibile a livello macro. Diverso è se si guarda ai settori più esposti», spiega il capo economista di Sace, Alessandro Terzulli. «Serve inoltre fare dei distinguo tra settori che hanno pricing power, che quindi possono ribaltare il prezzi sugli acquirenti, e altri che per essere competitivi devono intaccare i margini. Altro fattore da considerare è il tasso di cambio effettivo reale con il quale la competitività del Paese tiene». Sace ha elaborato due scenari alternativi in base all’andamento del conflitto in Ucraina. Con l’intensificarsi della guerra le esportazioni crescerebbero quest’anno del 9,1% e di +0,5% nel 2023. Meno probabile quello di una soluzione del conflitto in tempi brevi: +11% nell’anno in corso, +8,3% nel 2023. Stilando una mappa dell’export,«i Paesi dell’Est Europa soffrono maggiormente gli effetti del conflitto. In difficoltà anche i Paesi avanzati, per contraccolpi energetici e difficoltà lungo le catene globali, benché meglio attrezzati per gestire il colpo. La Cina è ancora un mercato cui guardare, pesa la politica dello zero Covid, nel 2022 l’export si assesterà attorno allo zero, qualcosa meglio si vedrà nel 2023, ma va considerato anche l’anno record 2021», aggiunge Terzulli. «Altre opportunità da cogliere sono i programmi di sviluppo degli Emirati Arabi e dell’Arabia Saudita, nonché dell’inserimento nelle catene d’approvvigionamento di player nazionali in Messico o Colombia. Gli Usa sono un evergreen. Negli ultimi dieci anni l’export è andato sempre meglio delle attese e la politica di Biden mantiene anima infrastrutturale, che dà spazi soprattutto nelle rinnovabili. Bene anche il Canada, nel quinto anniversario del Ceta. Guardando all’Europa, infine, in Spagna le imprese italiane possono soddisfare in diversi ambiti la domanda legata alla transizione energetica. (riproduzione riservata)
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