di Anna Messia
Lunghe liste d’attesa e la necessità, ove possibile, di ricorrere ai risparmi per curarsi in tempo utile. La pandemia ha avuto l’effetto di alzare l’attenzione sull’urgenza di investire sul sistema sanitario nazionale (dopo i tagli degli ultimi anni) colpito dall’emergenza sanitaria. Un tema che non poteva essere trascurato nei programmi elettorali in vista delle elezioni del 25 settembre anche se, passata la fase più acuta della pandemia, l’argomento sanità non sembra essere più in cima all’agenda politica. E non appare neppure molto chiaro quale sia l’impatto economico dei programmi presentati dalle varie forze politiche. Il Pd propone per esempio che il finanziamento al Fondo Sanitario Nazionale, non sia mai inferiore al 7% del pil. Mentre per Matteo Renzi e Carlo Calenda, il finanziamento al Servizio Sanitario Nazionale non deve scendere sotto la media europea, e va destinata una quota non inferiore al 3% del Fondo sanitario nazionale alla ricerca. Italia Viva e Azione propongono allo stesso tempo di riformare le competenza tra Stato e gli enti territoriali in tema di sanità, alla luce delle problematiche emerse durante la pandemia: nel caso le Regioni non siano in grado di garantire l’erogazione dei Lea, i Livelli essenziali di assistenza, andrebbe riconosciuta allo Stato la possibilità di intervenire, suggeriscono. Per M5s bisogna assicurare la gestione diretta dello Stato nella sanità mentre i partiti del centro destra propongono di estendere le prestazioni medico sanitarie esenti da ticket. «Numerosi partiti», rilevano da Gimbe, l’associazione presieduta da Nino Cartabellotta, «affrontano lo spinoso problema delle liste d’attesa, che si sono ulteriormente allungate dai ritardi accumulati dalla pandemia, ma solo due definiscono criteri quantitativi». In particolare Azione-Italia Viva propone di ridurre entro un anno i tempi di attesa fino a un massimo di 60 giorni per le prestazioni programmate e di 30 per tutte le altre, mentre il Partito democratico si impegna a dimezzarli entro il 2027, ma non ci sono indicazioni sulle modalità o sui fondi stanziati a tale scopo.

Ancora più in generale i partiti della coalizione di centrodestra propongono di ripristinare prestazioni ordinarie e procedure di screening rallentate dalla pandemia e di abbattere i tempi di attesa. «Nessun partito rileva che le difficoltà a recuperare le prestazioni ritardate a causa della pandemia sono prevalentemente da imputare alla carenza di personale, nonostante lo stanziamento di quasi 1 miliardo e il piano di recupero delle liste di attesa già varato dal ministro delle Salute, Roberto Speranza», aggiungono però da Gimbe. Un tema, quello della carenza di personale sanitario, che appare piuttosto trascurato nei programmi elettorali e in verità anche dal Piano Nazionale di ripresa e resilienza che pure prevede lo stanziamento di quindici miliardi per le infrastrutture sanitarie ma non investe nulla sui professionisti. Il centro-desta parla genericamente di incremento di organico di medici e di operatori nazionali, oltre che del riordino delle scuole di specializzazioni, e il Pd di un piano straordinario per il personale sanitario. La Lega vorrebbe inoltre consentire agli infermieri di svolgere la libera professione mentre Noi moderati (NM) di Maurizio Lupi, propone l’eliminazione del numero chiuso per medici e infermieri, oltre all’aumento della retribuzione degli infermieri. Tema caro, quest’ultimo anche a Luigi Di Maio e il Terzo polo che parla d una rapida ascesa di carriera e di remunerazione adeguata al carico di lavoro e M5S che arriva a proporre, oltre all’aumento salariale, anche l’indipendenza dalla politica nella nomina dei dirigenti sanitari.

Riguardo invece un’eventuale partnership tra sanità pubblica e sanità privata nei programmi elettorali non sembra esserci spazio per quest’ultima. Uniche eccezione sono Lupi, per il quale sarebbe necessario il coinvolgimento dei privati e del terzo settore nella sanità territoriale disegnata dal Piano Nazionale di Ripresa e resilienza, e Forza Italia che, molto genericamente, propone il bilanciamento tra sanità pubblica e privata. Ma per Avs di Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni ci sarebbe al contrario bisogno di un’azienda pubblica per la creazione di farmaci oltre che di «abolire i vantaggi fiscali che ci sono stati fino ad oggi per la sottoscrizione di una polizza assicurativa sanitarie e per la partecipazione ai fondi sanitari integrativi». Anche se a oggi le uniche agevolazioni fiscali per le polizze sanitarie riguardano la detraibilità dei premi aventi per oggetto il rischio di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana (con il premio che non deve superare complessivamente i 1.291,14 euro) e i contributi versati ai fondi sanitari integrativi del Servizio sanitario nazionale (Ssn) sono deducibili dal reddito complessivo non oltre i 3.615,20 euro l’anno. (riproduzione riservata)
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