NONOSTANTE IL MANCATO RECEPIMENTO DELLA DIRETTIVA, IL CODICE PENALE È GIÀ INTRANSIGENTE

Italia al 90% già al passo con la direttiva (Ue) 2018/1673: la maggior parte delle condotte che l’Unione europea impone di sanzionare sono già idonee a far scattare il reato di riciclaggio e autoriciclaggio.

Come sottolineato anche nella relazione illustrativa allo schema di decreto legislativo esaminato le scorse settimane dal consiglio dei ministri, l’ordinamento interno è già largamente conforme alle disposizioni contenute nella direttiva, essendo il riciclaggio già duramente represso sul piano penale, grazie a un legislatore che si è rivelato negli anni molto rigoroso nella lotta al fenomeno e a una giurisprudenza ancor più intransigente.

L’adeguamento imposto dalla direttiva. L’intervento normativo sottoposto al vaglio del consiglio dei ministri è imposto dalla necessità di adeguare la normativa italiana alla direttiva (Ue) 2018/1673 del parlamento europeo e del consiglio del 23 ottobre 2018, sulla lotta al riciclaggio mediante il diritto penale. Tale esigenza, come sottolineato dalla relazione illustrativa allo schema di decreto legislativo, è ancor più attuale alla luce della avvenuta comunicazione da parte della Commissione europea dell’avvio, nei confronti della Repubblica italiana, di una procedura di infrazione ex articolo 258 Tfue per mancato recepimento della direttiva predetta.

La direttiva, che consta di 16 articoli, mira a introdurre un livello minimo di armonizzazione delle norme penali previste dagli ordinamenti degli Stati membri in materia di riciclaggio, sia con riguardo alla tipizzazione delle condotte, sia in relazione al trattamento sanzionatorio (art. l, par. 1).

L’ordinamento interno già conforme. Come anticipato, il fatto che questa direttiva non sia stata ancora recepita dall’Italia ha comportato l’apertura di una procedura d’infrazione a carico del Paese per mancata adozione di una nuova legislazione conforme ai considerando della direttiva.

Tuttavia, nella summenzionata relazione illustrativa, si è ritenuto di evidenziare come l’ordinamento interno sia già largamente conforme alle disposizioni contenute nella direttiva (Ue) 2018/1673 e che, pertanto, la trasposizione di quest’ultima richieda soltanto interventi di dettaglio, volti a estendere il campo di applicazione di alcune norme nazionali già esistenti. Peraltro, a una norma già rigorosa per precetto e trattamento sanzionatorio si somma una prassi applicativa che rafforza ulteriormente la lotta al riciclaggio mediante il diritto penale, e di cui non si può non tenere in doverosa considerazione.

Autoriciclaggio, concorso e tentativo. Tra le previsioni europee già da tempo in vigore nel nostro ordinamento, l’Italia è sin dal 2015 rispettosa dell’invito a considerare reato anche l’autoriciclaggio, oltre che il riciclaggio, avendo dunque da tempo superato l’impostazione tradizionale di chi riteneva che le operazioni volte a ostacolare la provenienza delittuosa di proventi illeciti fossero «fisiologiche» da parte dell’autore del reato (già perseguibile per il reato presupposto) e quindi costituenti un cosiddetto post factum non punibile.

Ancora, se l’articolo 4 della direttiva impone agli stati membri di adottare le misure necessarie per punire come reato di riciclaggio e autoriciclaggio anche il concorso, l’istigazione e il tentativo, il nostro codice penale non ha mai lasciato dubbi circa la perseguibilità di tali condotte.

L’elemento soggettivo. La direttiva qualifica come reato di riciclaggio anche «l’acquisto, la detenzione o l’utilizzazione di beni nella consapevolezza, al momento della loro ricezione, che i beni provengono da un’attività criminosa» (art. 3, par. 1l, lett. c): tali condotte, secondo il nostro ordinamento, sono riconducibili al delitto di ricettazione di cui all’art. 648 cp. Più precisamente, come rimarcato dalla relazione illustrativa, la disposizione qui esaminata della direttiva sembra chiaramente doversi intendere nel senso che le condotte successive di detenzione e utilizzazione possono acquisire rilevanza penale se e nella misura in cui il detentore o l’utilizzatore abbia previamente acquistato il bene nella consapevolezza della sua provenienza delittuosa.

Lettura che appare pienamente in linea con la consolidata interpretazione giurisprudenziale dell’art. 648 cp, la quale risulta anzi ancor più repressiva: si presume infatti, ferma la possibilità di prova contraria, che il soggetto scoperto nel possesso ovvero nella detenzione di un bene di provenienza illecita, in presenza di indici obiettivi che portino a inferire la consapevolezza della medesima provenienza illecita, si sia reso responsabile delle presupposte condotte di «acquisto» o «ricezione».

Si pensi ai casi, piuttosto ricorrenti in giurisprudenza, del soggetto che venga sorpreso nel possesso di un’arma o di un motorino di provenienza delittuosa. A titolo esemplificativo, possono richiamarsi le recenti Cass. pen., sez. I, sentt. 28 maggio 2019, n. 37016 e 28 marzo 2019, n. 17415.

Pena e confisca. Nessuna impasse neanche per la cornice edittale: se la direttiva, pur salvando la decisione del singolo stato di prevedere «sanzioni o misure aggiuntive», suggerisce la comminatoria di una pena detentiva massima non inferiore a quattro anni, il legislatore italiano attualmente prevede addirittura come sanzione massima dodici anni di reclusione per il riciclaggio (art. 648-bis cp) e otto anni per l’autoriciclaggio (art. 648-ter.1 cp), oltre a pene pecuniarie.

Ancora, la richiesta di congelamento e confisca dei beni strumentali e dei proventi è già prevista dall’art. 648-quater cp, così come l’opportunità segnalata dalla direttiva di pene più severe per gli esercenti una attività professionale, considerato che tale aggravamento è nel nostro codice penale già contemplato espressamente sia per il riciclaggio che per l’autoriciclaggio dall’art. 648-bis , c. 2, cp e dall’art. art. 648-ter.1, c. 5, cp.

Società e «231». Quanto alle persone giuridiche, l’art. 7 della direttiva richiede che anche le società siano responsabili per i reati commessi dalle persone fisiche e l’art. 8 indica quali siano le sanzioni applicabili, lasciando tuttavia al legislatore nazionale la decisione se la natura delle sanzioni debba essere penale o meno.

Precisazione, quest’ultima, fondamentale per il legislatore italiano, posto che il dlgs n. 231/2001, all’art. 25-octies, già ricollega agli enti nel cui interesse sia stato commesso il reato di riciclaggio o autoriciclaggio sanzioni pecuniarie e interdittive allineate alle richieste europee, seppur dopo aver preferito qualificare come amministrativa (dipendente da reato) la natura della responsabilità dell’ente.

A completamento, anche i reati tributari, con il decreto fiscale 2020 conv. in legge 157/2019, nonché con il dlgs 74/2020 di attuazione della direttiva Pif, rientrano tra gli illeciti idonei a far scattare la suddetta responsabilità degli enti ex dlgs 231.

Cosa manca. A richiedere un adeguamento rispetto a quelli contemplati dalla direttiva rimaneva soltanto il novero dei reati presupposto del riciclaggio: nessuna carenza sul piano dei delitti dolosi, in quanto già rientranti nel campo di applicazione della fattispecie per espressa previsione del legislatore, ed essendo peraltro ormai pacifico per la giurisprudenza della Cassazione che anche i reati fiscali relativi a imposte dirette e indirette (che la direttiva richiama espressamente) sono idonei a fungere da reato presupposto del riciclaggio, essendo provento anche il mero risparmio di imposta.

Unica penuria restava la mancata previsione dei delitti colposi, nonché delle contravvenzioni, posto che il legislatore europeo impone di includere nel catalogo dei reato presupposto l’attività criminosa idonea a costituire reato ogniqualvolta siano puniti con una pena detentiva o con una misura privativa della libertà di durata massima superiore a un anno, ovvero (per gli stati membri il cui ordinamento giuridico prevede una soglia minima di pena) di durata minima superiore a sei mesi.

Tale ampliamento è stato realizzato con il dlgs in esame, che, oltre a rendersi perfettamente conforme al dettato europeo, ha scelto di tener conto del suddetto limite solo se il reato presupposto sia una contravvenzione (il che connota di minor disvalore la fattispecie) e non se si tratta di delitti.

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