di Anna Messia
È guerra aperta a Trieste, con il mercato che solleva dubbi sul futuro di Generali Assicurazioni. I due principali soci privati della prima compagnia assicurativa italiana, ossia Francesco Gaetano Caltagirone e Leonardo Del Vecchio, in fondo sono azionisti come gli altri – si ragiona – e hanno quindi a cuore le crescita e soprattutto la profittabilità della loro partecipata. Anzi, per loro la partita Generali vale decisamente di più, visto che sulla compagnia in questi anni hanno investito complessivamente più di 6 miliardi di euro. Allo stesso tempo – si aggiunge – si fa però fatica a comprendere come i due azionisti vorranno effettivamente spingere sullo sviluppo di Generali e quale super-manager potrà realizzare i loro piani prendendo il posto dell’attuale ceo Philippe Donnet, che pure in questo anni – lo dicono i numeri – ha ben gestito la compagnia, il cui total shareholder ratio (cioè il ritorno netto per gli azionisti tra dividendo e quotazione del titolo) nonostante la crisi pandemica è stato migliore di quello dei diretti concorrenti europei, a partire da Axa e Allianz

Sono questi in sintesi i commenti espressi in questi giorni dagli analisti su Generali dopo che la battaglia tra gli azionisti, combattuta da mesi in maniera più o meno sotterranea, è venuta improvvisamente alla luce nel giro di un week end. Con la pubblicazione sabato 11 settembre del patto di consultazione tra Caltagirone e Del Vecchio gli equilibri in gioco si sono finalmente chiariti. Da una parte ci sono i due imprenditori, il costruttore romano e Mister Luxottoca, che, allontanando ogni rischio di concerto e possibili censure Consob, hanno fatto sapere al mercato che nella contesa per la nuova governance di Trieste giocano dalla stessa parte e chiedono all’unisono un nuovo amministratore delegato che sostituisca Donnet. L’intenzione, hanno dichiarato, è appunto di accelerare su profittabilità e m&a e in mano, per contare, hanno l’11,068% delle azioni del Leone più un altro 0,03% che Caltagirone ha comprato il 15 settembre salendo al 6,16%. Il patto è quindi all’11,09% e ad esso potrebbero aggiungersi i Benetton (con il 3,9%) e Crt (1,4%). Dall’altra parte della barricata c’è Mediobanca (che tra gli azionisti, ma solo finanziari, ha lo stesso Del Vecchio con il 19% e Caltagirone, pronto a salire al 5%) che di Generali controlla poco meno del 13%. Piazzetta Cuccia (con il probabile sostegno dei Boroli-Drago, proprietari dell’1,5%) difende a spada tratta l’operato del manager francese, che tra l’altro nel frattempo è diventato sempre più italiano, visto che prima dell’estate ha ottenuto la cittadinanza dal sindaco di Venezia. Ma i pattisti vogliono spingere ancora di più sull’italianità delle Generali e la spaccatura è stata ancora una volta evidente quando, a pochi giorni di distanza dalla firma del patto, si sono riuniti i 12 consiglieri non esecutivi di Generali (di fatto tutti tranne Donnet) per discutere dell’eventuale presentazione di una lista del consiglio di amministrazione in vista del rinnovo di primavera. Ad oggi non c’è nessun accordo. Anzi, è guerra aperta e a votare contro la lista del consiglio oltre a Caltagirone (vicepresidente della compagnia) sono stati anche Romolo Bardin e Paolo Di Benedetto, con Sabrina Pucci astenuta. In pratica tutti i consiglieri vicini ai due imprenditori si sono opposti e lo scontro si è riproposto con la successiva riunione del comitato nomine, del 16 settembre, che aveva una funzione tecnica in vista del prossimo consiglio del 27 che deciderà definitivamente sulla lista. Il comitato si è chiuso con un nulla di fatto e un rinvio alla prossima settimana.

La tensione è palpabile e la sensazione è che lo scontro durerà a lungo. All’assemblea di primavera per il rinnovo della governance, con la presentazione delle liste (a questo punto presumibilmente tre, considerando quella di Assogestioni), mancano del resto più di sei mesi e la compagnia non può permettersi di rallentare per le incertezze legate al futuro assetto, proprio quando dovrebbe accelerare per sfruttare al meglio la ripartenza post-pandemia e il Pnrr. In ballo c’è prima di tutto l’opa su Cattolica Assicurazioni, che proprio venerdì 17, come anticipato da MF-Milano Finanza, ha ottenuto il via libera Ivass e che dopo la pubblicazione del prospetto Consob potrà prendere il via tra fine settembre e inizio ottobre. Un’operazione da 1 miliardo che potrebbe prevedere un rilancio considerando che il titolo Cattolica quota intorno ai 7 euro rispetto ai 6,75 offerti da Generali. E poi c’è il nuovo piano industriale, cui Donnet, come annunciato al mercato, ha da tempo iniziato a lavorare con tutta la squadra, incurante dello scontro in atto tra i soci, con l’obiettivo di presentarlo a dicembre. Il rischio è che i manager della compagnia vengano identificati con uno dei due schieramenti in competizione, provocando una sorta di spoils system quando la guerra sarà finita. Pericoli che per ora il mercato non sembra cogliere, visto che il titolo Generali dalla notizia del patto è cresciuto dell’1,46%, con il Ftse MIb a +0,9%%. (riproduzione riservata)

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