Incostituzionale il divieto di corrispondere la maggiorazione del compenso per le perizie collegiali nelle cause di responsabilità medica. Contrasta in tal senso con la Costituzione il comma 4 dell’art.15 della legge 8 marzo 2017 n. 24 (Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie).

Lo afferma la Corte costituzionale con la sentenza n.102/2021. Il caso di specie trae origine dall’ordinanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale emanata da parte del tribunale di Verona in composizione monocratica ed avente ad oggetto il comma 4 dell’ art.15 della legge 8 marzo 2017, n. 24. Tale norma, nella sua formulazione antecedente alla sentenza qui in commento vietava l’aumento nella misura del 40% del compenso spettante al singolo per ciascuno degli altri compenti del collegio che è invece previsto dall’art. 53 del dpr 115/2002 per la quasi totalità degli incarichi peritali. Tale diversità di trattamento lederebbe, ad avviso dei giudici remittenti, in maniera palese il principio di uguaglianza previsto dall’art. 3 della Costituzione.

Il divieto di maggiorare il compenso per i componenti del collegio contrariamente a quanto avviene per i membri dei collegi peritali costituti per la valutazione di altre forme di responsabilità significherebbe trattare in maniera diversa due situazioni di fatto identiche e meritevoli di un trattamento normativo omogeneo tanto da violare il principio di uguaglianza espresso dall’art. 3 della Costituzione. Tale principio è uno dei pilastri dell’attuale ordinamento costituzionale e impone al legislatore ordinario di trattare in maniera identica situazioni di fatto identiche, pena una dichiarazione d’illegittimità costituzionale. A sostegno della tesi circa l’incostituzionalità della norma oggetto del procedimento, il giudice remittente cita un ulteriore disposizione. Si tratta del comma 2 dell’art. 5 del decreto del ministero della salute 19 luglio 2016, n.165 (Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolamentate ai sensi dell’art. 9 del decreto legge n.1 del 24 gennaio 2012, convertito nella legge 24 marzo 2012 n.27 medici, veterinari, farmacisti, psicologi, infermieri, ostetriche e tecnici di radiologia medica).

La norma consente, nel caso di perizia collegiale, di aumentare gli emolumenti dovuti per l’attività peritale sino alla misura del doppio rispetto al compenso che spetta al singolo consulente. La disposizione indiscutibilmente riconosce il maggior impegno che comporta una perizia collegiale rispetto a quella effettuata da parte di un singolo perito con la necessità di retribuirla pertanto in misura diversa e maggiore.

Il ragionamento del giudice remittente viene ritenuto fondato da parte dei giudici della Consulta. I quali osservano sul punto l’evidente irrazionalità del comma 4 dell’ art. 15 della legge 8 marzo 2017, n.24; non trova alcuna giustificazione razionale il divieto di maggiorare il compenso nel caso di perizia collegiale. Non solo ma ulteriori aspetti d’irragionevolezza derivano altresì da una considerazione circa la particolare complessità della responsabilità sanitaria che non può che riverberarsi anche sull’attività di consulenza che in tali casi si rivela come particolarmente complessa e meritevole di una maggiore considerazione economica.

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