Le aziende più virtuose registrano migliori rendimenti
di Michele Damiani

Il welfare migliora i risultati di business. Così come aumenta i livelli occupazionali nelle imprese. Le aziende con i livelli di welfare più elevati sono quelle che hanno registrato i migliori tassi di crescita in termini di fatturato e utile, correlati a un aumento del numero di lavoratori impiegati. È quanto emerge dalla quinta edizione del rapporto «Welfare index Pmi», promosso da Generali Italia e realizzato in collaborazione con Cerved e la partecipazione di cinque confederazioni nazionali di categoria (a Confprofessioni, Confindustria, Confagricoltura e Confartigianato quest’anno si è aggiunta Confcommercio). Il rapporto monitora le iniziative di welfare delle imprese di tutti i settori produttivi e tutte le classi dimensionali (da sei fino a mille dipendenti) in dodici aree: previdenza integrativa, sanità integrativa, servizi di assistenza, polizze assicurative, conciliazione vita-lavoro, sostegno economico, formazione, sostegno all’istruzione di figli e familiari, cultura e tempo libero, sostegno ai soggetti deboli, sicurezza e prevenzione, welfare allargato al territorio e alle comunità.
Una sezione del rapporto è dedicata ai riflessi sui risultati aziendali delle politiche di welfare. «Il punto di partenza dell’analisi sono le 4.024 Pmi che hanno partecipato all’edizione 2020 di Welfare Index Pmi», si legge nel report. «Si è proceduto ad integrare le risultanze delle loro interviste con le informazioni di bilancio dei sistemi informativi di Cerved, aggiornati all’esercizio 2018 (gli ultimi disponibili al momento dell’analisi, nel luglio 2020)». Vengono fatte due considerazioni in premessa: la prima è che la correlazione non deve essere letta in una logica di rapporto causa-effetto, ovvero senza pensare che il welfare produca direttamente un impatto di business «ma concorre, insieme ad altri fattori, al suo conseguimento».

In secondo luogo, si parla di processi che non portano risultati nell’immediato ma nel medio-lungo periodo. Per realizzare la correlazione sono stati presi come indicatori di bilancio il livello di fatturato per addetto, il Mol (margine operativo lordo, utile al netto di tasse, ammortamenti, svalutazioni e interessi) per addetto, il rapporto tra utili e perdite, cash flow e Roi (Return on investment, il ritorno atteso del capitale investito), rapporto di indebitamento, propensione all’export e numero di addetti. Per misurare i livelli di welfare è stato utilizzato il Welfare index Pmi «con un algoritmo che considera oltre cento variabili rilevate tramite il questionario». Le imprese analizzate sono state raggruppate a seconda del volume degli investimenti effettuati; quelle con il rating più alto sono definite welfare champion, seguite dalle welfare leader, promoter, supporter e accredited. Le imprese welfare champion sono quelle che hanno registrato le migliori performance nelle voci di business individuate nel periodo che va dal 2016 al 2018: in termini di fatturato medio per addetto, ad esempio, le hanno avuto un tasso di crescita del 10,7%, contro il 3,9 delle welfare leader e l’1,8 del gruppo delle ultime (promoter, supporter e accredited). Stesso discorso per quanto riguarda il Mol (+17,8% contro il -2,6% delle leader e il -2,2% delle ultime). Nel rapporto si evidenzia come le aziende più impegnate sul welfare siano generalmente quelle più grandi: le champion hanno in media 517 addetti, mentre le leader ne hanno 245 e le tre classi inferiori 50,8. «L’aspetto più interessante», si legge nel rapporto, «riguarda però non tanto la dimensione (il numero di addetti) quanto la sua variazione: nel periodo 2016-2018 questa cresce in maniera lineare salendo da una classe di rating all’altra: +2,5% tra i welfare accredited, +4,4% tra i welfare supporter, +10,1% tra i welfare promoter, + 10,7% tra i welfare leader e infine +12,8% tra i welfare champion. Il welfare aziendale pare quindi», evidenziano gli analisti, «contribuire in senso positivo alla dinamica occupazionale, sostenendo la crescita dell’azienda, fidelizzando i lavoratori già impiegati e facilitandone l’attrazione di nuove risorse».

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