Pagine a cura di Franco Ricca
I costi del welfare aziendale non superano il test dell’inerenza agli effetti dell’Iva: secondo la risposta n. 338/2020 dell’Agenzia delle entrate, il datore di lavoro non può detrarre l’imposta sulle prestazioni di servizi acquistate per erogarle gratuitamente ai dipendenti, ai sensi delle disposizioni dell’art. 51, secondo comma, del Tuir, trattandosi di costi che non presentano, agli effetti dell’Iva, il necessario nesso con l’attività economica. La società interpellante sosteneva invece che tali spese rientrassero tra le spese generali dell’impresa in quanto concernenti l’acquisizione di «prestazioni accessorie rispetto alle esigenze dell’impresa» e che, conseguentemente, la relativa Iva fosse detraibile, indipendentemente dalla irrilevanza delle operazioni a valle statuita dall’art. 3, terzo comma del dpr 633/72.

Tale disposizione, al primo periodo, prevede l’imponibilità delle prestazioni di gratuite di valore superiore a 50 euro rese per finalità estranee all’esercizio dell’impresa, «sempreché l’imposta afferente agli acquisti di beni e servizi relativi alla loro esecuzione sia detraibile», a esclusione delle somministrazioni nelle mense aziendali e delle prestazioni di trasporto, didattiche, educative e ricreative, di assistenza sociale e sanitaria, a favore del personale dipendente.

L’irrilevanza impositiva di tali specifiche prestazioni gratuite ai dipendenti, secondo l’interpellante, non implica l’indetraibilità dell’Iva assolta «a monte» ai fini della loro erogazione. Sul piano dell’interpretazione letterale, la tesi non appare priva di fondamento, in quanto gli elementi costitutivi della previsione normativa, tanto nella prima parte della disposizione, recante la previsione di assoggettamento all’imposta, quanto nella seconda parte, recante l’eccezione per talune specifiche prestazioni ai dipendenti, sono (i) la gratuità della prestazione, (ii) il valore unitario superiore a 50 euro, (iii) la detraibilità dell’Iva «a monte» e (iv) l’estraneità alle finalità dell’impresa. Potrebbe quindi sostenersi che l’eccezione prevista per le prestazioni ai dipendenti non avrebbe ragion d’essere qualora l’imposta assolta per l’acquisto dei beni e servizi occorrenti per erogare tali prestazioni non fosse detraibile, giacché in tale ipotesi il non assoggettamento scaturirebbe, in via generale, dall’assenza di uno degli elementi necessari per l’assoggettamento, ossia la detraibilità dell’imposta «a monte».

A conclusione diversa si arriva se si accantona l’infelice formulazione della disposizione per inquadrare la questione nel sistema dell’imposta, come delineato dalla direttiva Iva e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia Ue: l’imponibilità di quelle che, per semplificare, definiamo prestazioni gratuite, introdotta nell’ordinamento interno solo nel 1995, trova riscontro nell’articolo 26 della direttiva Iva. Tale disposizione, infatti, assimila le seguenti operazioni alle prestazioni di servizi a titolo oneroso, accordando però agli stati membri la facoltà di derogarvi a condizione di non causare distorsioni della concorrenza: a) l’utilizzazione di un bene dell’impresa per l’uso privato del soggetto passivo o per l’uso del suo personale o, più generalmente, per fini estranei alla sua impresa, qualora detto bene abbia dato diritto a una detrazione totale o parziale dell’Iva; b) la prestazione di servizi a titolo gratuito effettuata dal soggetto passivo per il proprio uso privato o per l’uso del suo personale o, più generalmente, per fini estranei alla sua impresa; va evidenziato che, diversamente dalla previsione dell’art. 3, terzo comma, del dpr 633/72, la disposizione unionale non subordina l’assoggettamento alla condizione che l’Iva sugli acquisti impiegati per effettuare dette prestazioni sia detraibile. Qualora lo stato membro, avvalendosi della cennata facoltà di deroga, scelga, come ha fatto il legislatore italiano, di non assoggettare dette prestazioni, occorre interrogarsi sulla detraibilità o meno dell’imposta «a monte», interrogativo al quale si deve rispondere sulla base delle norme e dei principi di carattere generale, in considerazione dell’assenza di specifiche disposizioni. Nella recente risposta l’Agenzia rammenta che, ai sensi dell’art. 168 della direttiva, recepito dall’art. 19 del dpr 633/72, il diritto alla detrazione dell’imposta sui beni e servizi acquistati o importati è riconosciuto al soggetto passivo nella misura in cui impiega tali beni e servizi a fini di sue operazioni soggette all’imposta. Secondo i chiarimenti della Corte di giustizia, il diritto in parola presuppone «la sussistenza di un nesso diretto e immediato tra una specifica operazione a monte e una o più operazioni a valle, che conferiscono il diritto a detrazione» e, conseguentemente, che le spese effettuate per acquistare i beni e servizi «facciano parte degli elementi costitutivi del prezzo delle operazioni tassate a valle che conferiscono il diritto a detrazione». La Corte ha tuttavia riconosciuto sussistente il diritto alla detrazione «anche in mancanza di un nesso diretto e immediato tra una specifica operazione a monte e una o più operazioni a valle…, qualora i costi dei servizi in questione facciano parte delle spese generali del soggetto passivo e, in quanto tali, siano elementi costitutivi del prezzo dei beni o dei servizi che esso fornisce. Spese di tal genere presentano, infatti, un nesso diretto e immediato con il complesso delle attività economiche del soggetto passivo». Di contro, «qualora beni o servizi acquistati da un soggetto passivo vengano impiegati a fini di operazioni esenti o non rientranti nell’ambito di applicazione dell’Iva, non è possibile né riscossione dell’imposta a valle né detrazione dell’imposta a monte». Ai fini del diritto alla detrazione occorre verificare la sussistenza del nesso diretto e immediato tra le operazioni di acquisto e una specifica operazione imponibile (o assimilata) a valle; in mancanza di un nesso del genere, occorre verificare, in seconda battuta, se le spese per l’acquisto dei beni e servizi rientrino tra le spese generali e, in quanto tali, siano elementi costitutivi del prezzo finale delle operazioni imponibili «a valle». Ad avviso dell’Agenzia, il nesso che legittima il diritto alla detrazione, nel caso in esame, non sussiste, in quanto i servizi di welfare aziendale acquistati dal datore di lavoro, essendo utilizzati per l’erogazione gratuita dei benefit ai lavoratori dipendenti in regime di esclusione dall’imposta (limitatamente alle specifiche prestazioni menzionate dal suddetto terzo comma dell’art. 3, dpr 633/72), non sono elementi costitutivi del prezzo di vendita delle operazioni a valle; né possono inquadrarsi tra le spese generali, «atteso che gli stessi servizi di welfare aziendale non sono caratterizzati da un nesso diretto e immediato con il complesso delle attività economiche esercitate dal mandante, tale da configurare un elemento costitutivo del prezzo di vendita delle operazioni a valle». Nella fattispecie, il datore di lavoro acquista i servizi da erogare ai dipendenti attraverso un’impresa mandataria senza rappresentanza, che provvede, sulla base delle scelte espresse dai beneficiari su una piattaforma digitale, ad acquistare i vari servizi presso i diversi fornitori e a riaddebitarli poi al mandante, con lo stesso trattamento Iva, secondo il principio di omologazione delle prestazioni acquistate e trasferite nell’ambito di un mandato senza rappresentanza. Ciò è irrilevante ai fini della questione, la cui soluzione sarebbe identica, nel senso dell’indetraibilità dell’imposta, anche nel caso in cui il datore acquistasse i servizi direttamente.

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