di Lucio Berno

Cassazione Civile Ord. Sez. 6 Num. 18076 anno 2020

Con l’Ordinanza sopra citata la SC si esprime su un tema di enorme interesse per l’intero mondo assicurativo compresi gli intermediari che spesso escono maldestramente da situazioni come quelle oggetto della decisione.

Ma se andiamo per ordine ed entriamo nel merito della pronuncia, comprenderemo appieno il tema affrontato e le ragioni per le quali gli Ermellini si sono così espressi.  Sarà sufficiente riportare parti dell’Ordinanza che chiarisce:

“… l’assicurato … ove commetta un fatto illecito dal quale scaturisca una lite giudiziaria, può andare incontro a tre diversi tipi di spese processuali:

  1. Le spese di soccombenza, cioè quelle che egli è tenuto a rifondere alla parte avversa vittoriosa, in conseguenza della condanna alle spese poste a suo carico dal giudice;
  2. Le spese di resistenza, cioè quelle sostenute per remunerare il proprio difensore ed eventualmente i propri consulenti, allo scopo di resistere alla pretesa attorea;
  3. Le spese di chiamata in causa, cioè quelle sostenute per convenire in giudizio il proprio assicuratore, chiedendogli di essere tenuto in caso di accoglimento della pretesa del terzo danneggiato”

Si converrà che è estremamente difficile essere più sintetici e chiari di così. Eppure, Emilio IANNELLO relatore, continua e ci fornisce anche le ragioni alla base della decisione, affermando:

Le spese di soccombenza non costituiscono che una delle tante conseguenze possibili del fatto illecito commesso dall’assicurato e perciò l’assicurato ha diritto di ripeterle dall’assicuratore, nei limiti del massimale.

Le spese di resistenza non costituiscono propriamente una conseguenza del fatto illecito, ma rientrano nel ‘genus’ delle spese di salvataggio (art. 1914 cod. civ.), in quanto sostenute per un interesse comune all’assicurato ed all’assicuratore. Tali spese perciò possono anche eccedere il limite del massimale, nella proporzione stabilita dall’art. 1917, comma terzo, cod. civ..

Le spese di chiamata in causa dell’assicuratore, infine, non costituiscono né conseguenza del rischio assicurato, né spese di salvataggio, ma comuni spese processuali, soggette alla disciplina degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ..”

C’è poco altro da aggiungere a tanta chiarezza!  La SC ha ritenuto pertanto fondato il motivo di ricorso con cui il ricorrente (assicurato) “Lamenta che il giudice di secondo grado si è limitato a condannare l’assicuratore a rifondere all’assicurato le sole spese di soccombenza, senza accordare anche quelle di resistenza, così violando la sumenzionata (art. 1917 ndr) norma codicistica.”

 Ma soprattutto, aggiunge: “Afferma che la mancata condanna dell’assicuratrice alla rifusione delle spese e competenze professionali in favore dell’assicurato è ingiusta ed erronea anche in relazione alla regola chiovendiana – racchiusa nella citata disposizione processuale – secondo la quale ‘la necessità di ricorrere al giudice non deve tornare a danno di chi abbia ragione’”.

Una osservazione ed un auspicio ci siano permessi. L’osservazione è dettata dall’analisi dell’Ordinanza, attraverso la quale apprendiamo, con buona pace di tutti coloro che sul tema hanno pontificato a sproposito, che l’art. 1914 cod. civ. per la parte che attiene alle spese di salvataggio, si applica anche al ramo della responsabilità civile e non solamente ai rami danni.

L’auspicio, invece, è che la SC si esprima, sempre sul tema, anche quando l’assicurato non abbia commesso alcun fatto illecito ma sia comunque oggetto di pretese da parte di terzi e conseguentemente sia costretto a difendersi.  Il ricorso al professionista non è forse, anche in questo caso, interesse reciproco tanto dell’Assicurato quanto dell’Assicuratore? Crediamo sommessamente di si!

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