Selezione di notizie assicurative da quotidiani nazionali ed internazionali

 

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L’effetto Covid si abbatte sui conti di Exor, che chiude la prima semestrale del 2020 con una perdita di 1,3 miliardi. Di fatto registrando un calo di 3,7 miliardi rispetto al corrispondente periodo 2019 in termini di risultato netto, visto che l’anno scorso la holding di casa Agnelli aveva fatto segnare un utile di 2,4 miliardi. Segno evidente di come la pandemia abbia pesato sulla performance delle controllate. Il net asset value (nav) al 30 giugno scorso si attestava sui 21 miliardi di dollari, in diminuzione del 20% rispetto 26 miliardi del 31 dicembre 2019 (va anche detto che lo stesso nav negli ultimi due mesi ha in parte recuperato terreno attestandosi ora a un valore di circa 23 miliardi di dollari). A pesare sul valore degli attivi sono state ovviamente le performance di mercato delle società quotate durante la pandemia (Fca, Ferrari, Cnh Industrial) ma anche dall’aggiornamento del valore al ribasso di PartnerRe, la società di riassicurazione controllata interamente dalla holding, che dopo una perizia da parte di una società indipendente specializzata (a seguito dell’annuncio di Exor di non vendere più la società a Covea) ha svalutato PartnerRe da 9 miliardi (il prezzo che era stato convenuto per la cessione, poi saltata) a 7,6 miliardi di euro. La posizione finanziaria netta della holding al 30 giugno 2020 è risultata negativa per 3 miliardi.
Car Server, la società di noleggio a lungo termine comprata nel 2019 per 96 milioni di euro dal gruppo Unipol, cambia nome. Nell’operazione di rebranding la nuova società si chiama UnipolRental. L’obiettivo del gruppo assicurativo di Bologna guidato da Carlo Cimbri è di far crescere UnipolRental per diventare leader del settore Noleggio a Lungo Termine (Nlt) per il target retail e diventare punto di riferimento nel segmento corporate per le aziende già clienti UnipolSai. L’intenzione è in particolare di raddoppiare l’attuale quota di mercato che conta 50 mila contratti in portafoglio. Per raggiungere l’obiettivo, la società lavorerà in sinergia con le 2.400 agenzie assicurative UnipolSai e i network di servizi e assistenza rappresentati dalle altre società facenti parte dell’ecosistema mobility come, tra le altre, le carrozzerie Auto Presto&Bene e i centri cristallo MyGlass. Ad annunciare che la compagnia di Bologna era intenzionata a debuttare in questo comparto è stato lo stesso group ceo, Cimbri a maggio dello scorso anno, durante la presentazione a Milano del nuovo piano industriale Mission Evolve, che guarda al 2021. «La mia generazione puntava al possesso dei beni, come l’auto, mentre ora i giovani preferiscono usare e condividere, a partire proprio dall’automobile. Per questo motivo nel nostro piano punteremo molto sul noleggio a lungo termine, dove stiamo programmando un’acquisizione e prevediamo di assicurare 60 mila auto a fine piano», aveva detto il numero uno del gruppo assicurativo di Bologna.

Nell’emergenza Covid-19, fra marzo e aprile, l’importo medio degli affidamenti diretti nel settore sanitario è stato di 719 mila euro e per le procedure negoziate di 1,4 milioni; il 41,1% della spesa è stata gestita dal commissario straordinario e dal dipartimento per la Protezione civile; la spesa media pro-capite per contagiato è stata di 42,61 euro. Sono questi alcuni dei principali dati dell’articolata e dettagliata analisi dell’Autorità nazionale anticorruzione che nei giorni scorsi ha emesso il report di seconda fase dell’indagine conoscitiva sugli affidamenti effettuati nel periodo marzo-aprile 2020.
Nel report l’Anac ha evidenziato il ruolo chiave svolto dal commissario straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica, che ha gestito procedure per un valore pari a poco più di un terzo (35%) della spesa nazionale. L’Anac osserva che se si somma a questo dato l’importo delle procedure svolte dal dipartimento per la Protezione civile, il 41,1% della spesa nazionale (circa 2,38 mld di euro) è passata attraverso questi due soggetti i cui affidamenti, seppur effettuati a livello centralizzato, hanno avuto impatto sulle esigenze di tutta la popolazione italiana.
  • Il Covid manda Exor in rosso
Exor ha chiuso il primo semestre con una perdita consolidata di 1,3 miliardi di euro, «dovuta», ha spiegato la società, «all’impatto negativo che la pandemia da coronavirus ha avuto sulla performance delle controllate». Il valore netto degli asset (Nav) ammontava a 21 miliardi di dollari (17,7 mld euro), in calo del 19,9% rispetto a fine 2019. Attualmente il Nav «ha in parte recuperato terreno, attestandosi a quasi 23 miliardi». La performance «deriva principalmente dalla performance di mercato delle società quotate e anche dall’aggiornamento del valore di PartnerRe da parte di un esperto indipendente, dopo l’annuncio di Exor di mantenere la proprietà della società per la decisione di Covea a maggio di non onorare gli accordi presi». La posizione finanziaria netta era negativa per 3,08 miliardi di euro. La variazione negativa di 450 milioni è dovuta soprattutto all’investimento in Via Transportation e in Gedi (391 mln) e al pagamento dei dividendi agli azionisti (100 mln), parzialmente compensati dai dividendi ricevuti dagli investimenti (95 mln).

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  • Smart working, svolta forzata. In remoto oltre 1,5 milioni
E’ stato il trampolino di lancio dello smart working anche nel settore privato. I dipendenti che a causa del Covid 19 hanno usufruito almeno per un giorno del lavoro da casa sono passati dai 480mila della fase pre lockdown (novembre-2017/marzo 2020) ai 1,5 milioni del periodo metà marzo/16 giugno. Il quadro generale è stato tracciato da uno studio del ministero del Lavoro e dell’Inail. «L’emergenza ha rotto un tabù di resistenza all’uso diffuso di questa modalità. L’Italia ne usufruiva al 2% contro l’11% della media Ue», fa notare il profondo divario Sergio Iavicoli, direttore dipartimento medicina, epidemiologia e igiene del lavoro e ambientale Inail e membro del Cts. Ci sono ancora margini per rompere il tabù. Secondo l’Istat, quasi un terzo delle forze lavoro (7 milioni di occupati) potrebbero «stare in ufficio» a distanza: 4,1 milioni nelle professioni che richiedono supervisione e 2 milioni tra quelle ad elevata autonomia. «I rischi maggiori sono l’isolamento e il mancato coinvolgimento aziendale ma anche quello di non porre un limite fra orari di lavoro, tempo libero e diritto alla disconnessione. Vi è poi un tema legato alla disponibilità di strumentazioni informatiche e connettività adeguate che possono creare disuguaglianze. Nel complesso il bilancio è positivo e di grande prospettiva. Il tabù faceva sì che l’Italia avesse fino al 2019 solo il 2 percento di lavoratori in smart working cioè meno di un quinto della media europea».
  • Lavoratori, il caso della quarantena. Vietato accendere il computer dell’ufficio
Sono alcune migliaia. Ma potrebbero diventare molti di più. Parliamo dei cosiddetti «asintomatici», gli italiani che hanno trovato il modo di convivere con il Covid senza grattacapi per la salute. Non appena il tampone dà esito positivo scatta la quarantena per evitare la diffusione del contagio. Quarantena con le mani in mano. Per i positivi al Covid 19, infatti, è vietato lavorare. Sempre. Anche da casa. Anche per chi è del tutto senza sintomi. A disciplinare la questione sono i decreti Cura Italia e Rilancio, poi convertiti in leggi, oltre al «messaggio» Inps 2584 del 24 giugno e al dpcm 7 agosto del 2020. «Aziende con dipendenti asintomatici disponibili a lavorare da casa si sono rivolte a noi per avere chiarimenti ma la nostra risposta stante la normativa attuale non può che essere “no, non si può fare”», racconta Cesare Pozzoli, partner dello studio legale milanese Chiello-Pozzoli. Stessa risposta ha dato Assolombarda alle imprese che chiedevano chiarimenti. «Tra l’altro — continua l’avvocato Pozzoli— il decreto Agosto ha stabilito che le persone di ritorno da vacanze in zone a rischio debbano stare in isolamento in attesa del tampone. Bene, anche questo isolamento è equiparato alla malattia quindi implica il divieto di lavorare». «Oltre al danno causato all’azienda dalla mancanza del lavoratore bisogna considerare l’impatto sulle casse di Inps — fa notare Pozzoli —. Forse si potrebbe valutare la possibilità di fare lavorare in smart working gli asintomatici quando c’è il consenso del lavoratore». Il governo ha appena inviato le convocazioni per affrontare con sindacati e imprese la questione smart working. Anche questo potrebbe essere tra i temi all’ordine del giorno.
  • Muore intossicato nel silos. Grave il fratello che lo soccorreva
Il mais era tagliato di fresco, bisognava spianarlo e renderlo compatto. Per questo motivo i fratelli Davide e Francesco Gennero, 22 e 25 anni, ieri mattina sono saliti in cima al silos della fattoria di famiglia e si sono messi al lavoro. Ieri però qualcosa è andato storto. Intorno alle 8,30 Francesco ha cominciato a sentirsi male per le esalazioni sprigionate dal granoturco trinciato la sera prima. Davide, che si era fermato sul ballatoio superiore, è sceso più in basso per cercare di aiutarlo, ma anche lui è stato investito dai gas tossici che gli hanno fatto perdere i sensi. Quando papà Claudio si è accorto di quello che stava succedendo ha lanciato l’allarme. Il fratello Vittorio, contitolare dell’azienda, ha attraversato di corsa il cortile per soccorrerli, mentre uno dei figli più piccoli ha chiamato il 112. Sono trascorsi minuti interminabili, forse addirittura 40, durante i quali il padre e lo zio si sono calati nel silos e sono riusciti a raggiungere i due ragazzi e a portarli all’aria aperta. Hanno provato disperatamente a rianimarli e poi li hanno consegnati agli infermieri del 118, ma le condizioni di Davide erano disperate e il giovane agricoltore è morto prima di essere caricato in ambulanza. Francesco è stato invece ricoverato nel reparto di rianimazione dell’ospedale Santissima Annunziata di Savigliano dove ora lotta fra la vita e la morte. Sull’ennesimo incidente sul lavoro in un’azienda agricola ha aperto un fascicolo il procuratore aggiunto di Cuneo Gabriella Viglione e le indagini sono state affidate ai carabinieri di Savigliano e agli ispettori dello Spresal dell’Asl Cn1. Il silos è stato messo sotto sequestro in attesa di una perizia sui sistemi di ventilazione.
  • Effetto Covid e Partner re, Exor va in rosso per 1,3 miliardi
L’impatto del coronavirus si fa sentire sui conti di Exor. La holding che fa capo alla famiglia Agnelli (nella foto John Elkann) e che controlla Fca ha chiuso il primo semestre 2020 con una perdita di 1,318 miliardi di euro. Nello stesso periodo del 2019 Exor aveva registrato un utile netto di 2,427 miliardi. L’impatto sul futuro non è però stimato. «La gravità dell’epidemia di Covid-19 in questa fase è al momento incerta — spiega una nota — e pertanto Exor non può ragionevolmente stimare l’impatto che avrà sulle sue operazioni e sui risultati e sulle operazioni e sui risultati delle sue controllate operative». Comunque Exor non fornisce di solito una guidance sui propri risultati e per il 2020 ricorda che Ferrari l’ha rivista e le controllate Fca e Cnh Industrial l’hanno al momento ritirata e ancora non ne hanno fornita una nuova. Il Nav di Exor al 30 giugno 2020 ammonta a 20,955 miliardi di dollari, in calo del 19,9% (-5,2 miliardi) dai 26,155 miliardi di dollari al 31 dicembre 2019. La performance del Nav deriva principalmente dalla performance di mercato delle società quotate e anche dall’aggiornamento del valore di PartnerRe da parte di un esperto indipendente (in seguito all’annuncio di Exor della decisione di mantenere la proprietà della società dopo la decisione di Covea a maggio di non rispettare gli accordi presi). Il Nav per azione è pari a 88,75 dollari, in calo di 22,02 dollari rispetto ai 110,77 dollari al 31 dicembre 2019. La posizione finanziaria netta consolidata è negativa per 3,081 miliardi e riflette un peggioramento di 450 milioni da -2,631 miliardi al 31 dicembre 2019, per effetto degli investimenti per 391 milioni, pagamento di dividendi per 100 milioni e altri effetti negativi per 54 milioni, in parte bilanciati dai 95 milioni ricevuti da alcune controllate come dividendo.

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  • Exor, la pandemia pesa sulle partecipate Investimenti confermati
Sono questi i due fattori principali che emergono dalla relazione sull’andamento nel primo semestre 2020 di Exor, la holding presieduta da John Elkann. In una holding come Exor, il dato che riassume da vicino le difficoltà della pandemia è quello che in inglese si chiama “net asset value” (Nav), ovvero il valore delle partecipazioni detenute, al netto dei debiti della holding stessa. Tra il 31 dicembre 2019 e il 30 giugno scorso, questo valore per Exor è sceso di 5,2 miliardi di dollari (4,5 miliardi di euro), a 20,9 miliardi di dollari (18,7 miliardi di euro). Essendo gran parte delle aziende controllate quotate, si tratta di un numero largamente atteso, dove l’unica novità è l’effetto della mancata vendita della società di riassicurazioni PartnerRe, con sede a Bermuda. Lo scorso marzo Exor aveva firmato un memorandum d’intesa con il gruppo francese Covéa, che si era impegnato ad acquistare PartnerRe al prezzo di 9 miliardi di dollari. In maggio, però, i francesi si erano tirati indietro e Exor aveva deciso di riaffermare il proprio impegno nello sviluppo della compagnia. Non essendo quest’ultima quotata, ai fini della stesura della relazione semestrale Exor ha fatto valutare la società a un esperto indipendente, che ha stabilito in 7,6 miliardi di euro il valore corrente di PartnerRe. Va detto che a fine luglio, dopo la chiusura della semestrale, fra i due gruppi è stata firmato un accordo di collaborazione, una sorta di “pace”: Covéa ha deciso di investire 1,5 miliardi di euro in attività selezionate da Exor, 750 milioni dei quali saranno in veicoli di riassicurazione di PartnerRe stessa. Per Exor il bilancio del semestre si chiude con una perdita consolidata di 1,31 miliardi di dollari, a fronte di un profitto di 2,42 miliardi a giugno 2019.

  • Dati sul web a lungo? Il Comune viola la privacy