di Giulio Zangrandi
Un laboratorio all’avanguardia che possa contribuire a colmare il gap tecnologico tra l’Italia e il resto d’Europa. Questo il ruolo che si è impegnata a ritagliare per la città di Milano la giornata di apertura della Milano Finanza Digital Week, l’evento organizzato da Class Editori in collaborazione con Osservatorio fintech e insurtech del Politecnico di Milano, Associazione blockchain Italia, Bebeez e Netcomm per parlare a 360 gradi dello stato dell’arte della digitalizzazione nella Penisola. Un obiettivo ribadito ieri a inizio lavori da Paolo Panerai, editor in chief e ceo di Class Editori, che ha spiegato come il capoluogo meneghino debba «trarre ispirazione da Paesi come Israele, Lituania ed Armenia per diventare un laboratorio all’avanguardia della finanza sviluppando una conoscenza pratica di settore divenuto ormai fondamentale». «L’Armenia, come la Lituania, è diventata l’avamposto della ricerca nel campo del digitale finanziario» ha aggiunto Panerai, introducendo l’intervento del Presidente della Repubblica armena, Armen Sarkissian, che ha ricordato come «oggi il mondo non è più dominato dal petrolio ma dai dati, che dunque andrebbero protetti in quanto fonte del nostro sviluppo al pari delle altre risorse». Da qui anche l’auspicio di nuove collaborazioni con l’Italia, che anche a suo dire «può contare sullo sviluppo già avanzato dei settori dell’Information technology e del Finance da cui partire per le nuove iniziative comuni».

Ma a dare la dimensione di quanto l’obiettivo sia alla portata dell’Italia e di Milano sono stati anche gli altri ospiti del convegno, a partire da Filippo Maria Renga, direttore dell’Osservatorio fintech ed insurtech del Politecnico di Milano, che ha sottolineato come, complice la pandemia, «sta crescendo in maniera sempre più rapida la domanda degli italiani per servizi fintech legati non solo alla sfera dei pagamenti digitali ma anche a quelle della gestione del risparmio, del robot advisory e del commercio elettronico». In un contesto come questo, in cui a innovare sono anche operatori di altri settori come il retail, l’automotive, il big tech, gli energetici e persino le società sportive, ha spiegato in particolare Renga, occorre dunque per i player tradizionali «lasciarsi guidare dal mercato e guardare a 360 gradi alle sinergie che si possono creare tra il mondo bancario e quello assicurativo». Da qui, secondo il ceo di Fineco, Alessandro Foti, l’opportunità del sistema bancario di valorizzare il patrimonio di dati a disposizione che è il più ricco in termini di quantità e qualità ma che non è ancora sfruttato adeguatamente. La sfida è allora: «Riammodernare le infrastrutture core oppure soccombere». Un’opinione condivisa da Tommaso Mancini Griffoli, direttore della divisione pagamenti, valute, infrastrutture del dipartimento capital market del Fondo Monetario Internazionale, convinto che il fintech potrà sì erodere parte del mercato degli istituti di credito ma anche che questi sapranno difendersi offrendo tassi di interesse più alti e servizi migliori, comprando ed integrando startup innovative, facendo valere soprattutto in economie tradizionali come l’Italia il loro brand value e l’engagement.

Più espliciti nel citare le criticità che l’ecosistema nostrano deve affrontare per poter emergere su scala internazionale Marco Ferrero, direttore della divisione commerciale di Nexi, e Marco Carrai, console onorario di Israele per Lombardia, Emilia-Romagna e Toscana. Il primo in particolare ha sottolineato la duplice esigenza di «attrarre e sviluppare talenti e competenze e di favorire un consolidamento nel settore per fare in modo che crescano scala e capacità di investimento dei soggetti coinvolti» non solo tramite m&a ma anche sfruttando partnership tra banche e sviluppatori di nuovi sistemi di pagamento. Il secondo si è invece soffermato su due limiti storici nostrani: «La tendenza tutta italiana a lasciare che sia la regolamentazione a dare il là all’innovazione, quando invece dovrebbe seguirla così da non imbrigliarla» e «la mancanza di quella vocazione ad avere come riferimento il mercato geografico, industriale e commerciale mondiale anziché locale propria di realtà storicamente proiettate ad una dimensione internazionale come Singapore e la stessa Israele».

A margine del panel l’intervento della consulente per il fintech della Banca Centrale di Lituania, Jekaterina Govina, che ha raccontato l’esperienza del suo Paese spiegando come il primo passo per la costruzione di un hub tecnologico sia stato quello di «rendere più fluido il processo di licensing per operare sui mercati finanziari con servizi innovativi, soprattutto per le startup, riducendo burocrazia ed aumentando l’efficienza» e concentrarsi su sistemi di pagamento alternativi al contante. (riproduzione riservata)

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