di Andrea Ciociola
Il rapporto annuale dell’Area Studi di Mediobanca fa una fotografia confortante delle 2.120 principali imprese italiane analizzate, che affrontano l’attuale crisi causata dalla pandemia con numeri migliori e un profilo patrimoniale più solido rispetto alla crisi finanziaria del 2008. Secondo l’indagine, che analizza i bilanci aggregati delle principali imprese industriali e di servizi del Paese, alcuni indicatori congiunturali mostrano una rapida ripresa dell’attività economica. Per il 2021, in assenza di peggioramenti del quadro pandemico, si prospetta una ripresa del fatturato manifatturiero del 5,9% (+7,7% nel 2010) e del 7,5% per l’industria (+7,4% dieci anni fa).

Per quest’anno si delinea una caduta del fatturato dei maggiori gruppi industriali nell’ordine del 13%, con una contrazione più contenuta al 9% per la manifattura. Uno scenario lontano dal calo in doppia cifra attorno al 20% anticipato durante la fase acuta del lockdown.

Al di fuori della manifattura i settori in maggiore flessione dovrebbero essere l’immobiliare (-22%), l’edilizia (-20% circa). Nel commercio alimentare risentono maggiormente le imprese legate all’industria alberghiera e alla ristorazione. Nel manifatturiero si riscontrano segnali positivi per il farmaceutico (+4%) e l’alimentare (+2%).

Si sono registrati cali contenuti per i comparti che hanno avuto un ruolo strumentale delle produzioni nella gestione della pandemia. L’impatto della crisi sanitaria ha danneggiato meno le produzioni di comparti come il chimico (-7%), il cartario (-7%) e la produzione di vetro per uso medico (-5%).

Lo studio di Piazzetta Cuccia compara i risultati del 2020 con la recessione scatenata dal fallimento di Lehman Brothers. Nel 2009 il fatturato crollò del 14,7%, il valore aggiunto del 6,1%, l’occupazione del 2,3%. Il consumo energetico perse il 5,7%. 
Ne emerge che, se lo scenario presente fosse confermato, quest’anno non si configurerebbe peggiore del 2009. Il valore aggiunto dell’industria potrebbe perdere nel 2020 meno del 5% rispetto al -6,1% di 11 anni fa, tenuto conto della sospensione dei costi operativi durante il lockdown, delle moratorie dei debiti, delle misure di sostegno pubblico al costo del lavoro e alla liquidità e del ricorso allo smartworking che hanno contribuito a ridurre ulteriormente i costi.

Le maggiori aziende italiane sono state colpite dalle crisi attuale in relativo vantaggio rispetto al passato, più sul piano della dotazione di liquidità e dell’indebitamento che del ritorno sugli investimenti. Merito anche della caduta del tax rate, passato dal 27,4% del 2015 al 19,4% del 2019.

I diversi settori fronteggiano la crisi da condizioni diseguali. A fine 2019 il settore pubblico ha visto ristagnare il proprio fatturato dal 2010 e presenta un livello d’indebitamento relativamente più alto (108,5%) rispetto a quello privato (68,7%) che nel decennio ha inoltre messo a segno una crescita importante dei ricavi (+14,6%). Tuttavia, il pubblico vanta un triennio di investimenti relativamente più intensi (19,7% del fatturato, 12,4% le imprese private).

Nel 2019 complessivamente l’industria ha segnato margini inferiori del 5,6% rispetto al 2010, con un impatto più pesante sul comparto pubblico (-13,5%) rispetto al privato (-2,6%). Alla dinamica molto positiva della manifattura (+31,5%) si contrappone quella negativa del terziario (-32,5%).

In forte flessione le imprese a controllo estero (-24,6%), mentre è ancora positivo il consuntivo delle medie imprese familiari italiane (+55,7%). (riproduzione riservata)

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