L’esplosione dell’epidemia e le conseguenti misure di lockdown hanno dimostrato i limiti delle attuali soluzioni residenziali per gli anziani. Gli ospiti delle RSA si sono ritrovati al centro di focolai e, spesso, isolati per mesi, impossibilitati a incontrare i propri famigliari. Ma anche chi è rimasto a casa propria ha dovuto affrontare problemi come l’isolamento, la solitudine, la difficoltà a reperire generi alimentari, a ricevere cure e assistenza. Spesso, inoltre, le abitazioni si sono dimostrate “insalubri”: troppo grandi e vecchie per essere adeguatamente riscaldate, con conseguenze negative sulla salute. Un’ulteriore conferma di come il luogo in cui si vive sia infatti una variabile determinante per il proprio livello di salute e il benessere personale, emotivo, economico e sociale. Su questo tema Homes4Life project, Housing Europe, il Centre for Ageing Better e l’European Social Network hanno tenuto un webinar sull’abitare age-friendly durante il COVID-19.

L’emergenza Covid ha fatto esplodere una situazione che era già fortemente compromessa, ha spiegato Alice Pittini, Research Director di Housing Europe. L’obbligo di “restare a casa” ha reso più che mai evidenti numerosi problemi che caratterizzano molte abitazioni odierne: insalubri; troppo piccole per consentire, ad esempio, ai bambini di frequentare le lezioni e contemporaneamente ai genitori di lavorare in smart working; senza spazio all’aperto; sovraffollati o abusivi. In tanti casi proprio gli alloggi sono divenuti luogo di contagio a causa dell’impossibilità di rispettare precauzionali forme di distanziamento, a dimostrazione della relazione tra casa e rischio Covid di cui molto si è parlato nei mesi scorsi. Eppure già nel 2017 inoltre il 10% delle famiglie europee spendeva più del 40% del proprio reddito in spese abitative, percentuale pari al 38% per i nuclei a rischio povertà. Un’incapacità, quella di trovare una casa accessibile, che non colpisce solo i più poveri ma anche altri gruppi, come i giovani che si trasferiscono nelle grandi città per motivi di lavoro e, appunto gli anziani, oggetto del webinar.

In questo contesto è stato sottolineato come sia urgente adeguare le attuali abitazioni all’invecchiamento della popolazione. Ad oggi il 70-80% delle case in Europa non è adeguato a favorire un contesto di vita indipendente degli anziani. Considerando che l’incremento annuale di nuove costruzioni “idonee” costituisce solo per l’1% del totale, si evince che la vera sfida è come adattare lo stock abitativo esistente ai bisogni degli anziani, più che come costruire nuove abitazioni. Nel 2017, circa la metà degli over 65 europei viveva in un alloggio sotto-occupato, cioè un alloggio più grande rispetto alle proprie necessità, con impatto negativo sul rischio di povertà energetica e sulla salute – ad esempio per chi vive in una casa così grande da non potersi permettere di riscaldarla adeguatamente. I bisogni degli anziani in materia di housing sono molto differenziati e comprendono fattori relazionali, salute, efficienza energetica, mobilità, digitalizzazione ecc. Per questo è importante offrire soluzione diversificate che possano integrare casa e servizi, favorendo un approccio che coinvolga l’anziano nella progettazione attiva della propria abitazione. Una tendenza che, sebbene lentamente, molti housing providers non esclusivamente privati, stanno già sperimentando. In particolare nell’ambito dell’edilizia sociale ci si sta già muovendo verso un’offerta abitativa che integri appunto all’offerta di un alloggio anche ulteriori servizi, facendo della casa un vero e proprio hub. A questo scopo è importante favorire la collaborazione tra gli housing providers e i provider di servizi sociali e di cura. Un approccio olistico, illustrato da Silvia Urra – coordinatrice di Homes4Life – che parte dal presupposto che l’autonomia non dipende solo dalle condizioni personali di salute fisica e mentale, ma anche dall’ambiente circostante.

Invecchiare a casa propria nell’era del Covid

La maggior parte delle persone vorrebbe invecchiare nella propria abitazione, ma ci sono grossi gap a livello territoriale relativamente all’offerta di servizi domiciliari, ha spiegato Alfonso Lara Montero, Chief Executive Officer dell’European Social Network. L’offerta di servizi di cura domiciliari varia infatti molto tra Paesi europei, spaziando dal 4% al 30%. Inoltre durante l’epidemia le difficoltà di erogare servizi domiciliari sicuri – in particolare per la mancanza di dispositivi di protezione individuale appropriati – è stata una problematica ricorrente, tanto da determinare un calo di tali attività proprio per la paura del contagio. Al contempo si sono però sviluppate anche buone pratiche, come le Unità Covid in supporto a pazienti dimessi dagli ospedali. Inoltre nell’ambito della digital technology e tele-care, è aumentato il ricorso a forme di supporto remoto (via telefono o tablet).

Quali prospettive

Il webinar ha permesso di sottolineare come in questo contesto, fortemente influenzato dall’impatto del Covid, per promuovere l’ageing in place occorra pensare a un nuovo modello di cura “home-based”, orientato al potenziamento del benessere della persona e della sua famiglia. In tal senso occorrerà non solo ripensare i luoghi, ma anche formare una forza lavoro sempre più qualificata, che comprenda figure “tradizionali”, come assistenti sociali, infermieri, mediatori culturali ma anche nuovi profili che permettano di affrontare i cambiamenti in atto, esperti di nuove tecnologie e in grado di offrire supporto a distanza.

Fonte: Percorsi di Secondo Welfare

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