di Anna Messia
Nonostante sia opinione diffusa quella secondo cui la previdenza complementare italiana non sia mai decollata, sulla base dei dati Ocse elaborati dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, presieduto da Alberto Brambilla, l’Italia è al 14° posto su 36 per dimensioni patrimoniali dei fondi pensione. Una posizione molto vicino a Israele, subito dopo la Germania e prima del Cile. Considerando anche i Paesi non Ocse, l’Italia risulta al 17° posto su 44. Numeri che emergono dal settimo report di Itinerari Previdenziali sul tema «Investitori istituzionali italiani: iscritti, risorse e gestori per il 2019», che sarà presentato oggi a Milano e domani a Roma. Certo, si è molto lontani dal Government Pension Fund Global della Norvegia, che da solo gestisce 850 miliardi, ma con oltre 176 miliardi i fondi pensione italiani iniziano a essere un mercato interessante, con flussi annuali pari a circa l’1% del pil. Nonostante le ricorrenti crisi finanziarie degli ultimi anni, il patrimonio degli investitori istituzionali che operano nel welfare contrattuale (fondi pensione negoziali, preesistenti e forme di assistenza sanitaria integrativa), delle casse privatizzate e delle fondazioni di origine bancaria è aumentato dai 142,85 miliardi del 2007 ai 260,68 miliardi del 2019, con un incremento dell’82,5%. Rispetto al pil il patrimonio rappresenta il 14,6% e includendo anche il welfare privato (assicurazioni Vita, fondi aperti e Pip) il rapporto aumenta al 51,3%. Dal punto di vista dei rendimenti, a differenza del precedente annus horribilis, il 2019 è stato poi un anno positivo, ma i dati aggiornati a giugno 2020, almeno per la previdenza complementare, rilevano gli effetti della pandemia: al netto dei costi di gestione e della fiscalità i fondi negoziali hanno perso l’1,1%, mentre i fondi aperti e i Pip di ramo III rispettivamente il 2,3% e il 6,5.% In ogni caso, valutando i rendimenti su orizzonti più propri del risparmio previdenziale, restano nel complesso soddisfacenti nonostante la recente crisi. I fondi sono inoltre sempre più sensibili al sociale: circa la metà degli investitori adotta già una politica di investimento sostenibile e quasi l’88% intende includere o incrementare in futuro una strategia che tenga conto dei fattori Esg. Mentre sta continuando a crescere il sostegno all’economia reale. (riproduzione riservata)

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