1 lavoratore su 3 (32%), tra quelli che hanno fatto ritorno al luogo di lavoro afferma che il rientro rappresenta motivo di paura e spaesamento. È quanto emerge dal nuovo approfondimento dell’Osservatorio Nomisma The World After Lockdown[1] che monitora le reazioni degli italiani al lockdown, commissionato da UniSalute e che ha indagato il sentiment dei lavoratori italiani al rientro in ufficio.

Sentimento di tensione che accomuna anche coloro che tuttora lavorano esclusivamente da casa in telelavoro o smartworking: per il 46% di questi, infatti, l’idea del rientro sul luogo di lavoro è causa di timori.

Che sia la paura che i colleghi non rispettino i protocolli di sicurezza (45%) o il timore di essere infettati mentre ci si reca al lavoro (31%), tornare in ufficio o in fabbrica rappresenta ancora una preoccupazione diffusa.

Ma quali sono, secondo i lavoratori italiani, le misure che dovrebbero applicare aziende per garantire al meglio la salute dei lavoratori? Oltre alla garanzia del rispetto dei protocolli nazionali di sicurezza (68%) più della metà dei lavoratori italiani (58%) pone l’accento sull’importanza di poter eseguire in tempi rapidi il test sierologico, una quota simile (57%) vorrebbe usufruire di iter semplici per effettuare i tamponi. Inoltre, il 46% degli intervistati pensa che dovrebbe essere messo a disposizione dei lavoratori un servizio di teleconsulto medico per poter ricevere chiarimenti e consigli sul Covid-19, mentre il 43% si sofferma sull’importanza giocata dalla possibilità di accedere al servizio di consegna a domicilio dei farmaci in caso di malattia.

Richieste, queste, che secondo quanto emerge dalla ricerca di Nomisma non sono state ancora intercettate dalle aziende: solo 1 lavoratore su 4 (27%) è occupato in un’azienda che ha offerto la possibilità di eseguire il test sierologico in tempi rapidi. Percentuale analoga (26%) per quanto riguarda la somministrazione dei tamponi diagnostici. Il dato non migliora quando si parla di videoconsulto e teleconsulto medico in ambito Covid-19, che sono stati garantiti rispettivamente al 21% e 20% del campione, mentre solo 1 lavoratore su 5 (19%) dichiara di avere la possibilità di accedere a servizi di consegna domiciliare dei farmaci.

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