di Giovanni Sabatini*

Nell’attuale fase di forte rallentamento della crescita economica in Europa, il rilancio degli investimenti pubblici e privati è una priorità e, dunque, è analogamente prioritario individuare modalità per convogliare il risparmio verso impieghi produttivi. Nella legge di Bilancio del 2017 fu introdotto uno strumento finanziario volto a favorire l’afflusso di capitale di rischio verso le imprese di medie e piccole dimensioni. Si trattava dei Piani individuali di risparmio (Pir) che offrono incentivi fiscali, sottoforma di detassazione delle plusvalenze, ai sottoscrittori di tali strumenti. La disciplina di favore è rivolta alle persone fisiche residenti in Italia ma tra i soggetti che possono investire in Pir sono stati inclusi anche gli enti di previdenza obbligatoria (casse di previdenza) e le forme di previdenza complementare (fondi pensione). Con la legge di Bilancio del 2019 vennero introdotte alcune modifiche con l’intento di focalizzare ancora di più lo strumento sull’investimento in piccole imprese. In particolare, il legislatore è intervenuto sulle regole concernenti i vincoli di composizione dei Pir, stabilendo che almeno il 3,5% del piano debba essere investito in titoli quotati su mercati di Pmi (per esempio l’Aim) e un altro 3,5% su azioni o fondi di venture capital. Tuttavia, i tempi di emanazione dei decreti attuativi prima e l’eccessiva rigidità del vincolo hanno progressivamente fatto venire meno l’interesse per questo strumento che nel 2019 ha visto diventare negativo il segno della raccolta. Le modifiche introdotte con la legge di Bilancio del 2019 sono soggette a un meccanismo di monitoraggio. In particolare, entro nove mesi dall’attuazione dei decreti, il ministero dello Sviluppo economico deve effettuare una valutazione sull’impatto della nuova normativa sul mercato. Ma anche prima dello scadere dei nove mesi, la predisposizione della legge di Bilancio può essere un’occasione per superare i problemi che si
sono verificati con l’introduzione delle nuove regole. L’Abi ha da tempo indicato le aree di intervento, in particolare la definizione degli strumenti ammissibili che oggi escludono gli strumenti di debito, diversamente dalla prima versione dei Pir. Le limitazioni riguardanti le piattaforme di negoziazione e l’obbligo posto della dichiarazione che deve essere acquisita dai soggetti presso i quali sono costituiti i Pir che attesti che l’impresa in cui si investe non ha ricevuto un ammontare complessivo di risorse finanziarie, a titolo, di qualsiasi misura di aiuto per il finanziamento del rischio superiore a 15 milioni di euro. Lo sviluppo di un mercato dei capitali europei, il progetto che va sotto il nome di Capital Markets Union, deve rimanere un obiettivo prioritario per i legislatori europei ma, nelle more di giungere a questo importante obiettivo, anche il legislatore nazionale può fare la sua parte. Rendere nuovamente funzionante lo strumento dei Pir andrebbe in questa direzione. (riproduzione riservata) *direttore generale Abi

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