Alla fine del 2018, il valore delle attività finanziarie degli italiani è sceso a 4.070 miliardi di euro, 163 in meno di dicembre 2017. Oltre la difficoltà di accantonare nuovo risparmio, la ricchezza ha sofferto le tensioni politiche, come la guerra dei tassi, e finanziarie emerse sui mercati nella seconda parte dell’anno.
Nel 2018, il rendimento del portafoglio finanziario delle famiglie è divenuto negativo: da un guadagno medio annuo superiore al 2,5% ottenuto tra il 2012 e il 2017, si è passati a una perdita maggiore del 4,5%.
I mutamenti
Nel corso degli anni, la composizione della ricchezza degli italiani è cambiata profondamente. I titoli obbligazionari, sia pubblici che privati, hanno perso importanza, arrivando ad assorbire circa il 7% del totale, da oltre il 20% del 2011. Le obbligazioni bancarie sono quasi scomparse dal portafoglio, mentre ai titoli pubblici viene destinato solo il 3% della ricchezza. Il peso dei depositi è, invece, cresciuto, superando il 30%.
Nonostante l’andamento sfavorevole dei mercati, la quota delle azioni e partecipazioni si è mantenuta al di sopra del 20%, con una forte concentrazione nel comparto delle imprese non quotate.
La maggiore complessità dello scenario ha portato gli italiani sempre più verso il risparmio gestito, con fondi comuni e prodotti assicurativi che rappresentano più di un terzo del patrimonio.
Una storia che sembra raccontare la costante ricerca di un complesso equilibrio tra sicurezza e rendimento. La realtà è, però, differente. Una recente elaborazione della Banca d’Italia mostra, infatti, quanto cambi la composizione del risparmio degli italiani nel momento in cui l’investimento in fondi comuni e prodotti assicurativi viene distribuito tra le diverse tipologie di prodotti sottostanti. Nonostante non tutti i 1.500 miliardi di euro del risparmio gestito possano essere riassegnati, si ottengono indicazioni utili per una corretta valutazione del profilo di rischio.
Una volta riclassificato, il portafoglio delle famiglie italiane appare più internazionalizzato. Il valore delle attività estere è pari a quasi 1.000 miliardi di euro, un quarto della ricchezza complessiva, con i fondi comuni intorno ai 480 miliardi. I titoli di debito, concentrati sulle obbligazioni di società non finanziarie estere, si avvicinano ai 350 miliardi, l’8,5% dell’investimento totale.
Passando alle attività italiane, colpisce il peso dei titoli di debito, che, considerando anche quelli contenuti nei fondi comuni e nei prodotti assicurativi e previdenziali, sale al 15%, circa 600 miliardi di euro di valore.
La consapevolezza
In maniera quasi inconsapevole, le famiglie italiane, investendo gran parte delle loro risorse nel risparmio gestito, destinano quindi circa 480 miliardi ai titoli di Stato. La quota del debito pubblico nel portafoglio cresce in questo modo al 12%, un livello sostanzialmente invariato negli ultimi anni.
Viene, invece, confermata la profonda disaffezione per le obbligazioni bancarie: il peso sulla ricchezza complessiva aumenta, ma rimane intorno al 2%, vale a dire circa cinque punti percentuali in meno rispetto al 2014.
Alla fine dello scorso anno, il valore dell’insieme dei depositi, dei titoli di debito, comprensivi della componente pubblica, e dei prodotti assicurativi, detenuti dagli italiani sia direttamente che indirettamente, superava i 2.500 miliardi di euro, più del 60 per cento del portafoglio.
Escludendo dal totale della ricchezza le azioni e partecipazioni non quotate, che non sono un vero e proprio investimento finanziario, quanto piuttosto una rappresentazione della partecipazione dell’imprenditore nel capitale aziendale, la quota di risparmio destinata ad attività a minore rischio si avvicina all’80%.
Una rappresentazione delle famiglie italiane che ne esalta la prudenza nella gestione del risparmio, preferendo la sicurezza al rischio, anche a evidente scapito del rendimento. Una prudenza forse eccessiva.
*Servizio Studi BNL
Gruppo BNP Paribas

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