Il cemento illegale ha invaso l’Italia. E poco o nulla viene abbattuto. L’allarme è stato lanciato da Legambiente dopo aver raccolto dai comuni i dati relativi al rapporto tra immobili costruiti illegalmente, numero di ordinanze di demolizione e edifici effettivamente abbattuti. I numeri parlano chiaro. Se è vero, infatti, che tra il 2004 (anno successivo all’ultimo condono edilizio) e il 2018 sono state emesse oltre 71.400 ordinanze di demolizione di immobili abusivi a livello nazionale, solo 14 mila, pari a poco meno del 20%, sono state eseguite con il ripristino dei luoghi e l’abbattimento dell’edificio costruito senza i permessi.

Una situazione a macchia di leopardo così come emersa dalla fotografi a scattata da Legambiente: al fianco di regioni (come il Friuli Venezia Giulia) dove il rapporto tra ordini di demolizione e abbattimenti si attesta al 65%, esistono altre aree del Sud del paese dove la situazione sembra tutt’altro che sotto controllo. In Campania, il tasso di esecuzioni sul totale delle ordinanze di abbattimento non va oltre il 3%. Simbolo di un’Italia a due velocità, frutto dell’alternarsi di condoni edilizi che per decenni hanno rappresentato un bacino di voti imprescindibile per molti politici. «Per lungo tempo, nelle aree del Sud dove si concentra la maggiore illegalità urbanistica e in cui il voto è stato lungamente espressione di pratiche clientelari, fare campagna elettorale sulla speranza degli abusivi di non vedersi togliere e demolire la casa era la norma», hanno sottolineato gli analisti di Legambiente nell’ultimo rapporto sull’abusivismo in Italia.

«Un atteggiamento diffuso, tipico di una classe politica che ha consentito all’abusivismo di crescere in maniera incontrollata per almeno tre decenni». Un fenomeno scaturito dal fallimento del meccanismo su cui si basano le demolizioni. «Bisogna riformare la legge quadro sull’edilizia (dpr 380/2001), andando a sciogliere i nodi che per decenni hanno impedito che si desse seguito alle ordinanze di abbattimento degli abusi», hanno avvertito da Legambiente. «I poteri sostitutivi di regioni e prefetti previsti in caso di inadempienza dei sindaci non hanno prodotto alcun risultato.

Ferme restando le competenze dei comuni in tema di controllo urbanistico del territorio e di repressione dei reati, comprese le ordinanze di demolizione, è necessario che la potestà sanzionatoria, ossia l’abbattimento, faccia capo a un soggetto statale non condizionato da un mandato elettorale. Questo è il punto fondamentale su cui impostare una riforma legislativa». I dati raccolti non fanno che supportare questa necessità. Soltanto in Campania, per esempio, negli ultimi 15 anni le demolizioni lungo il litorale non sono arrivate a toccare nemmeno il 2% del totale degli immobili realizzati in via abusiva.

Peggio hanno fatto soltanto il Molise (fermo a zero) e le Marche dove la percentuale degli immobili frontemare abbattuti non è andata oltre l’1%. Ma con valori assoluti chiaramente diversi da quelli della Campania. A Napoli e dintorni infatti, il numero delle ordinanze emesse per abusi realizzati lungo la costa si è attestato a quota 11.092 tra il 2004 e il 2018. Ma solo 220 sono state quelle eseguite. In Calabria la percentuale costiera sale al 5,2% a fronte del 6,4% della Puglia. Tra le regioni del Sud, fa eccezione soltanto la Sicilia, arrivata a una percentuale del 15% nel rapporto tra il numero di ordinanze di abbattimento emesse per immobili costieri e quelle realmente eseguite.

Ma quali sono i motivi per cui la giustizia ha stentato ad affermarsi? Secondo l’analisi di Legambiente, la questione è esclusivamente di carattere politico: abbattere una casa è un atto politicamente e socialmente impopolare. Per questo, non si fanno rispettare le ordinanze di demolizione e non si esaminano le pratiche ancora giacenti dei condoni edilizi. Lo dimostrano bene i numerosi condoni approvati negli ultimi decenni in Italia (vedi articolo a fi anco, ndr) che hanno consentito di riportare alla legalità diverse centinaia di migliaia di abitazioni costruite senza il benché minimo rispetto della normativa edilizia. Non ultimo, il decreto Genova approvato dal parlamento il 28 settembre del 2018, arrivato ad aiutare il popolo dei condonanti.

Nascosto tra le righe di una legge d’urgenza varata per agevolare il lavoro di ricostruzione del ponte Morandi, la norma ha previsto la regolarizzazione degli edifici realizzati in aree a vincolo paesaggistico, culturale e idrogeologico. A sancire questo diritto, l’articolo 25 che sotto il titolo «Definizione delle procedure di condono», ha esteso le previsioni più generose del condono del 1985 anche alle istanze presentate sulla scorta dei condoni edilizi successivi, quello del 1994 e quello del 2003, senza che ne avessero alcun titolo.

«Ci troviamo di fronte a una pagina vergognosa della storia italiana che ha prodotto e alimentato illegalità e ha cambiato i connotati a intere aree del paese», ha dichiarato Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente. «Non c’è altra soluzione. Contro gli abusi edilizi il migliore deterrente sono le demolizioni e non certo nuovi condoni». Per fare questo, però, secondo Ciafani occorre procedere a una riforma legislativa che passi ai prefetti la competenza delle operazioni di abbattimento, perché non condizionati dal ricatto elettorale, lasciando ai comuni solo il controllo urbanistico del territorio e la repressione dei reati, compresa l’emissione delle ordinanze di demolizione.

«Oggi i comuni agiscono più che altro su sollecitazione della procura della Repubblica, almeno per gli immobili colpiti da ordinanze sancite da sentenza di terzo grado», ha continuato il presidente di Legambiente. «Di fronte all’aut aut dei giudici, i sindaci hanno poche alternative. Gli abusivi lo sanno e, non di rado, decidono di autodemolire, risparmiando migliaia di euro di spese». Secondo la legge 380/2001, se il proprietario di un immobile abusivo non rispetta l’ingiunzione alla demolizione entro 90 giorni, lo stesso viene automaticamente acquisito al patrimonio immobiliare pubblico, inclusa l’area di sedime per un’estensione massima di dieci volte la superficie dell’abuso. Questo significa che il patrimonio edilizio abusivo colpito da ordine di abbattimento non eseguito entro i tempi di legge, è a tutti gli effetti proprietà del comune, che lo demolisce in danno dell’ex proprietario, anticipando le spese che poi dovrà farsi risarcire. Nonostante questo, tuttavia, soltanto il 3,2% degli abusi non demoliti risulta oggetto di acquisizione al patrimonio comunale.

Fonte:
logoitalia oggi7