In un quadro generale in sostanziale miglioramento con un calo, nell’ultimo decennio, del 20,2% delle vittime causate da incidenti stradali (superiore al valore medio europeo -18,6%) e la sensibile riduzione della “stragi del sabato sera”, le persone anziane, in prevalenza uomini specie se pedoni e ciclisti, sono oggi le vittime “predestinate” negli incidenti.

Nel 2050 l’Italia, in assenza di interventi, sarà il Paese europeo con il maggior numero di morti e feriti in incidenti stradali fra gli over 65.

È quanto emerge dalla ricerca sulla sicurezza stradale “Cambiamo strade” realizzata da Unipolis, la fondazione d’impresa del Gruppo Unipol, e presentata ieri mattina a Bologna presso CUBO (Centro Unipol Bologna), in occasione della Settimana Europea sulla Mobilità. Nel corso dell’evento sono intervenuti: Marisa Parmigiani, direttrice di Unipolis, Fausto Sacchelli, responsabile del progetto Sicurstrada, Gianluigi Bovini, statistico, Afro Salsi, geriatra, e Paolo Perego, Unità di Ricerca in Psicologia del Traffico (Università Cattolica del Sacro Cuore).

In Italia, nell’arco degli ultimi due decenni, in particolare dal 2001, data di inizio del Programma d’azione europeo per la sicurezza stradale, un numero sempre minore di persone ha perso la vita o è rimasta ferita a causa di un incidente stradale. Dal 2001 al 2010, i morti sono passati da 7.096 a 4.090 (-42,4%) e i feriti da 373.286 a 302.735 (-18,9%), parallelamente ad una diminuzione degli incidenti del 19,6% (da 263.100 a 211.404).

Un trend positivo che è proseguito nell’ultimo decennio: in Italia si è registrato un calo dei morti rispetto al 2010 del 20,2%, più alto del valore medio europeo (-18,6%). In sintesi, i dati sull’incidentalità stradale nel nostro Paese nel 2016 (3.283 morti e 249.175 feriti), sono indubbiamente positivi. Tuttavia le cifre evidenziano un ritardo rispetto all’obiettivo fissato per il 2020 dalla strategia europea, che prevede una riduzione del 50% dei morti rispetto al 2010.

Un’analisi dei dati relativi alle diverse fasce d’età mostra, in relazione al numero di under 24 anni morti o feriti in incidenti stradali, un significativo miglioramento nonostante l’incidentalità stradale continui a essere la principale causa di morte dei giovani. Al punto che si può affermare come le cosiddette “stragi del sabato sera”, che insanguinavano le notti dei fine settimana, si siano sensibilmente ridotte.

Trend positivi che, però, non valgono per i cittadini con almeno 65 anni: per questi la variazione del numero di morti tra il 2010 e il 2016 è quasi inesistente (si è passati dai 1.059 morti del 2010 i 1.045 del 2016) e, proprio nel 2016, circa un terzo dei morti totali sulle strade avevano 65 anni o più. E non è il dato più impressionante se si considera che, per ogni milione di abitanti, ci sono stati 47 morti tra gli under 65 mentre sono stati ben 224 tra gli uomini con oltre 80 anni. Questo significa che non è stato affrontato il tema dell’invecchiamento della popolazione e delle sue conseguenze sociali.

Oggi le vittime designate degli incidenti stradali sono, dunque, gli anziani, in prevalenza uomini, specie se pedoni e ciclisti.
Se si proiettano gli attuali dati sulla mortalità stradale fino ai prossimi trent’anni e si confrontano gli stessi con le tendenze demografiche emerge uno scenario in cui i morti in incidenti con più di 65 anni aumenteranno del 50%, con punte altissime fra le persone di 80 anni e oltre che avranno percentuali raddoppiate.

In un contesto futuro caratterizzato dall’aumento della vita media, da città abitate da quasi la metà della popolazione mondiale, da aree urbane in cui si verificano i tre quarti degli incidenti stradali e quindi di una conseguente maggior presenza di anziani su strade e marciapiedi, va dunque ripensata l’organizzazione degli spazi nei centri urbani.

In particolare, alcune possibili soluzioni sono il ridurre l’utilizzo di auto private in favore dei mezzi pubblici, usare auto meno inquinanti, incrementare le strade a velocità limitata e gli spazi verdi, aumentare le piste pedonali e ciclabili protette, adottare misure per favorire car pooling, car e bike sharing nonché agevolare sistemi tecnologici di regolazione del traffico.
Più in generale, occorre però pensare a un diverso paradigma dello sviluppo in cui la mobilità urbana diventi sinonimo di mobilità sostenibile: una mobilità che dia nuovo ritmo alle comunità urbane, con una rinnovata qualità della vita, più sicura e più in sintonia con l’ambiente. Non a caso le 14 città metropolitane che hanno iniziato a sviluppare un tipo di mobilità sostenibile che dai centri storici si sta diffondendo alle aree più periferiche, hanno già avuto benefici con meno vittime con una riduzione media dei morti tra il 2010-16 del 23% rispetto a quella nazionale del 20,2%. Basti ricordare che nel 2016 il costo sociale per gli incidenti stradali con lesioni alle persone è stato pari a 17 miliardi di euro, ovvero l’1,1% del Pil nazionale.