di Antonella Massari – segretario generale Aipb – Associazione Italiana Private Banking

Le novità Mifid II in tema di «fornitura di ricerca finanziaria» offrono l’occasione per una riflessione più ampia sull’evoluzione del mercato dei capitali italiano e su quella dei servizi di gestione e consulenza finanziaria evoluta. La ricerca finanziaria è infatti centrale nella selezione e nella gestione professionale degli investimenti. L’efficiente valutazione delle possibili opportunità d’investimento è strettamente connessa con la qualità e la pluralità delle informazioni disponibili e il mercato dei capitali italiano, caratterizzato da un tessuto di Pmi, risente ancora dei limiti rilevati nella disponibilità di informazioni sugli emittenti.

La vera domanda è se, anche grazie all’evoluzione normativa, si stiano aprendo spazi di mercato per la ricerca più ampi rispetto al passato. Nonostante un boost del mercato borsistico italiano degli ultimi anni, stimolato anche dalle iniziative messe in campo dal legislatore, la copertura di ricerca sulle emittenti minori sembra essere ancora bassa, in particolare sulle Pmi. Di conseguenza, non stupisce una presenza diretta di titoli italiani ancora molto contenuta sia nei portafogli delle famiglie italiane nel loro complesso che in quelli della clientela Private (presenti mediamente 100 delle 360 emittenti quotate nei vari segmenti di Borsa Italiana).
Certo, investire in Italia presenta alcune criticità. Le motivazioni principali rilevate da una recente survey Aipb presso i propri associati rivela che si tratta di criticità sia di natura strutturale (dimensioni ridotte delle imprese) che congiunturali (instabilità politica), ma le opportunità di rendimento per gli investitori sembrano non mancare. Sempre secondo la survey, le novità Mifid II sulla fornitura di ricerca intendono valorizzare un servizio prima occultato, il cui potenziale sembra non essere ancora sufficientemente percepito dagli operatori.

La maggiore visibilità dell’utilizzo di ricerca nei servizi di investimento portata dalla trasparenza non è infatti considerato uno stimolo per aggiungere valore alla consulenza evoluta e alla gestione individuale. Le soluzioni dichiarate al momento dagli operatori mostrano quindi una scarsa propensione a trasferire i costi della ricerca sulla clientela a fronte di una maggiore selezione dei provider di ricerca e un incremento dei costi da sostenere per l’acquisto (+25%). Sui mercati dei capitali, sono attesi impatti che ipotizzano una diminuzione della ricerca sui titoli meno liquidi. Eppure, è comprovata la relazione tra quantità degli studi disponibili e gli andamenti dei prezzi di mercato.
Una diminuzione della copertura in termini di ricerca finanziaria delle realtà più piccole potrebbe determinare la contrazione della liquidità del mercato con conseguenze in termini di capacità delle Pmi di finanziare investimenti per la crescita. Ma la missione del Private Banking è intercettare opportunità per i suoi clienti e l’universo osservato dai servizi Private deve contraddistinguersi per ampiezza ed eccellenza e il mercato italiano delle Pmi non può essere fuori dal presidio del settore. La ricerca finanziaria rappresenta quindi uno strumento fondamentale per il Private Banking, purché mantenga elevati standard di qualità e ampia copertura anche su mercati di nicchia.
L’inversione del trend descritto deve quindi passare dalla formazione del cliente per il riconoscimento del valore della ricerca. Andrebbe colta, sia dai fornitori di ricerca che dai consulenti che la utilizzano, l’opportunità offerta dalla trasparenza che rende esplicito il valore della ricerca per i servizi ad alto valore aggiunto prevedendone l’utilizzo negli incontri con i clienti Private e valorizzandone la rilevanza nella valutazione delle opportunità d’investimento in Pmi. (riproduzione riservata)

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