Il Ssn compie 40 anni ed è ai vertici o al fondo delle classifiche a seconda degli indicatori

Pagine a cura di Sabrina Iadarola
La salute, in Italia, vive in un continuo saliscendi: quarta posizione per l’aspettativa di vita alla nascita, ma in fondo alla classifica per mortalità cerebrovascolare (25°) e tumore (26°) e per basso peso alla nascita (29°). Insomma, va bene per quanto riguarda aspettativa di vita, o qualità delle cure e tempi di attesa per molte prestazioni. Invece, va peggio su altri fronti. Se paragonata ai sistemi del resto del mondo, tra le emergenze più sentite in sanità, dall’ultimo Report dell’Osservatorio Gimbe (settembre 2018) emerge in Italia una forte carenza di personale. Il nostro paese si colloca infatti sotto la media Ocse per la maggior parte degli indicatori, occupando il fondo della classifica per percentuale di medici al di sotto dei 55 anni (30°), per numero di laureati in scienze infermieristiche (31°) e per rapporto medici/infermieri (35°). Allo stesso tempo, come anticipato, per quanto riguarda l’accesso alle cure, siamo ai primi posti per tempi di attesa per intervento di cataratta (2°), protesi di ginocchio (3°) e d’anca (4°); al 20° posto per incidenza della spesa sanitaria privata, out-of-pocket, sui consumi totali delle famiglie. Ma quindi cosa incide nella valutazione delle nostre performance nel paradigma internazionale? Tutto dipende dagli indicatori.

La sanità italiana nel panorama internazionale. Le classifiche internazionali sono condizionate da numerose variabili, che spaziano dalla tipologia di sistema sanitario al numero di paesi inclusi; dalla tipologia di indicatori alle dimensioni della performance (sicurezza, efficacia, appropriatezza, equità, partecipazione di cittadini e pazienti, efficienza, e così via). Ed ecco che la posizione di ciascun sistema sanitario oscilla in maniera rilevante nelle varie classifiche: il nostro Ssn, per esempio, dal podio di Bloomberg (1° posto in Europa, 3° nel mondo) precipita alla 20ª posizione di Euro health consumer index. Quest’ultimo (a differenza dell’altro che valuta stili di vita e fattori «congeniti» alla nostra popolazione, come la tendenza alla longevità e all’aumento delle aspettative di vita), posizionando il Ssn italiano al 20° posto su 35 paesi europei (nel 2006 era 11° su 26 paesi), ne fotografa la grande eterogeneità. «L’Italia è il paese europeo», si legge nell’Ehci, «con la più grande differenza tra regioni di pil pro capite, che nella regione più povera è solo 1/3 di quello della più ricca. Anche se il servizio sanitario è formalmente governato dal ministero della salute, il punteggio complessivo dell’Italia è giallo (livello intermedio), in quanto risulta da un mix tra verde (livello alto) da Roma in su e rosso (livello più basso) nelle regioni meridionali».

Come funziona il nostro Sistema sanitario nazionale. Il nostro «giovane» Ssn (40 anni, quest’anno) ha la caratteristica di rientrare nel modello universalistico a cui tutti possono accedere gratuitamente. È strutturato su tre diversi livelli: il primo riguarda il governo centrale, il secondo i 20 governi regionali e infine il terzo le aziende locali (Asl) assieme agli ospedali indipendenti (IHS). Ovviamente, come tutti i sistemi, si basa su regole, principi e diritti che dovrebbero essere sempre rispettati. Il principio fondante è, come già detto, quello per cui tutti hanno diritto a essere curati gratuitamente, indipendentemente dal reddito e dalla provenienza, basandosi quindi sulla solidarietà, sull’equità e sulla universalità. Almeno nel principio. Perché se da un lato esiste il principio di gratuità rivolgendosi alla sanità pubblica, non tutto è mutuabile. O talvolta ci si rivolge alla sanità privata anche solo per accelerare tempi e superare liste d’attesa. Di fatto, ogni italiano in media paga un quarto di tasca propria (quello che viene definito «out of pocket») per cura e servizi sanitari e gli altri tre quarti restano a carico del Sistema sanitario nazionale.
A quanto ammonta la spesa sanitaria. La risposta arriva dalla Corte dei conti. Nel rapporto sulla sanità dello scorso luglio, la spesa sanitaria complessiva sul piano nazionale nel 2017 ha toccato quota 113,6 mld. Nei documenti programmatici, la spesa corrente era stimata a raggiungere i 114,1 miliardi. Un risultato quindi migliore di quello previsto. In termini di pil, a consuntivo la spesa si è attestata nel 2017 al 6,6% del pil, ma su un livello assoluto di spesa inferiore di oltre 6 miliardi. Il governo della spesa in campo sanitario si è rivelato più efficace rispetto al complesso della p.a.: la quota della sanità della spesa corrente primaria si riduce dal 16,6% nel 2013 al 16% nel 2017 (dal 15,7 al 14,8% il peso sulla primaria complessiva). Nel quadro tendenziale è prevista una ulteriore riduzione dell’incidenza della spesa su pil che si aggira intorno al 6,3% nella previsione al 2020, un livello registrato a inizio anni 2000.

Sul fronte della gestione della spesa, la scorsa legislatura ha registrato risultati significativi nella gestione del sistema sanitario. Tutto ciò, nonostante gli stretti margini di operatività imposti da un crescente vincolo finanziario. Con il Patto della salute si è definito un percorso comune tra Stato e Regioni, abbandonando la logica dei tagli lineari e assumendo l’impegno comune ad avviare operazioni di efficientamento con l’obiettivo di liberare risorse per il settore; sono stati rivisti i Lea ed è stato definito un nuovo nomenclatore; è stato predisposto il programma per le liste d’attesa, il piano nazionale cronicità e quello nazionale per la prevenzione vaccinale; ha preso corpo l’attuazione del dm n. 70 del 2015 con il riordino del sistema di assistenza ospedaliera e i Piani di rientro per gli ospedali e aziende sanitarie; sono stati potenziati gli strumenti di gestione del sistema informativo sanitario; è stato approvato il provvedimento in tema di responsabilità professionale e la legge 3/2018 con rilevanti misure su ordini professionali e sicurezza alimentare.
Detto ciò, farmaci e ticket sono fronti ancora aperti. Da rivedere ci sarebbero: gli strumenti a disposizione per garantire la sostenibilità della spesa a partire dal payback e dagli strumenti di negoziazione del prezzo dei farmaci; le procedure di approvazione dei nuovi farmaci da velocizzare; le compartecipazioni alla spesa, di cui occorre rivedere modalità di funzionamento e ragioni; i rinnovi contrattuali e lo sblocco del turnover; l’integrazione tra assistenza sociale e sanitaria, per poter affrontare al meglio la questione dell’invecchiamento della popolazione e dell’insufficienza dell’assistenza domiciliare; l’attuazione dei piani regionali delle cronicità. La lunga lista delle cose fatte e da fare ma, soprattutto, la consapevolezza dell’impossibilità di trovare solo all’interno del settore la risposta a esigenze crescenti spingono a guardare alle scelte da assumere non limitandosi al solo settore sanità, ma in stretto rapporto con le altre aree dell’intervento pubblico.
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