di Francesco Ninfole

La multa per riciclaggio che la banca olandese Ing ha accettato di pagare per la cifra monstre di 775 milioni di euro dovrebbe ricordare la principale lezione di Lehman Brothers, che invece è stata perlopiù dimenticata. Il caso del gruppo americano ha scatenato riflessioni in molti ambiti, ma quella centrale è la meno considerata: riguarda i danni che possono essere provocati da attività finanziarie spericolate, in un contesto di controlli insufficienti. Il fallimento di Lehman ha innescato conseguenze mai viste prima per il sistema finanziario e l’economia globale (non da ultimo europea). Perciò, da un punto di vista logico, ci si sarebbe aspettati che in questi anni fossero monitorati soprattutto i rischi di mercato e operativi (connessi tra l’altro al riciclaggio). Invece l’Europa, dove la vigilanza bancaria è stata unificata ma gli interessi dei Paesi hanno continuato a divergere, è andata in tutt’altra direzione, concentrandosi in modo ossessivo sul credito. Nel frattempo sono stati dimenticati e messi in un cassetto, come se non esistessero, gli altri rischi finanziari. Su pressione della Germania e dei Paesi del Nord che avevano salvato dal collasso le banche nazionali con centinaia di miliardi di euro, si è guardato in modo preponderante agli Stati del Sud e in particolare a quello che più spaventa per l’alto debito, ovvero l’Italia, il cui settore bancario ha pagato in alcuni casi problemi specifici (Mps , venete, Etruria, Marche, Chieti, Ferrara) ma per il resto ha subito le conseguenze della recessione. Tutto questo mentre tutte le grandi banche d’investimento continuavano a essere multate per i subprime, per le truffe su Libor e Euribor (con effetti sui tassi pagati da milioni di persone per mutui e prestiti variabili) e per riciclaggio. Viene da chiedersi quale sarebbe stato l’effetto, per l’opinione pubblica e per i regolatori, se casi simili fossero accaduti in Italia. Tra costi di litigation, rimborsi e multe gli istituti Ue hanno pagato 111 miliardi di euro tra il 2011 e il 2017, più di quelli americani che si sono fermati a 84 miliardi, secondo R&S Mediobanca . In questi giorni Ing ha ammesso carenze generalizzate, strutturali e protratte per anni sui controlli per il riciclaggio.

Lo scandalo ha portato ieri alle dimissioni del cfo Koos Timmermans. La vicenda riapre la questione dei modelli di business delle banche, in particolare di quelle che non si occupano di fare prestiti. Le banche d’investimento hanno un ruolo fondamentale e ancora di più l’avranno in futuro. Portare le imprese sui mercati del debito e dei capitali sarà un passaggio chiave per l’economia europea e italiana. Inoltre alcune attività colpite dalla crisi, come le cartolarizzazioni, non vanno demonizzate a priori: possono dare maggiori risorse alle banche per prestare. Ma restano ampi spazi nella finanza ancora privi di controlli e trasparenza. Eppure si continua a parlare a livello regolamentare dei titoli di Stato, che sono i più liquidi e monitorati: le esposizioni sono pubbliche ed eventuali perdite di valore si riflettono in immediate svalutazioni di capitale, come si è visto nei bilanci semestrali in Italia. Si sa invece ancora troppo poco dei 6.800 miliardi di attivi e passivi illiquidi (livello 2 e 3). Non tutti sono rischiosi, ma basterebbe che una piccola parte lo fosse per creare effetti sistemici. Una svalutazione del 5% ridurrebbe il capitale delle banche tedesche e francesi in modo significativo. Le difficoltà di Deutsche Bank e Commerzbank , non legate all’attività creditizia, sono tali da obbligarle alla fusione, come ha scritto Der Spiegel, che ha parlato di «matrimonio per paura della morte». Perciò serve che continui il lavoro della Bce (iniziato tardivamente) sui titoli illiquidi e sui modelli interni che ancora consentono un trattamento privilegiato alle banche esposte sui rischi di mercato e operativi. Ricordando anche quanto accaduto a Lehman Brothers.

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