di Alessandro Russo

Con sentenza n. 148/2018 del 13 luglio 2018 la Corte dei conti Lombardia condanna un ex dipendente di un comune alle porte di Milano, macchiatosi del reato di corruzione, al risarcimento del danno all’immagine, quantificato in 20.000. La vicenda inizia nel febbraio 2010 quando la Direzione investigativa antimafia arrestava politici, funzionari pubblici ed esponenti della criminalità organizzata calabrese che avevano dato vita a un sistema corruttivo consolidato, funzionale all’ottenimento da parte delle imprese edili in odore di ‘ndrangheta di favori, autorizzazioni, concessioni, fino a incarichi di consulenza alla stessa pubblica amministrazione. Nella sentenza penale di condanna era stato accertato che l’ex dipendente otteneva da una società facente capo ai corrotti la ristrutturazione di un immobile di sua proprietà, consapevole di non aver la possibilità di sostenerne le spese, ma offrendo in cambio al corruttore la modifica delle conclusioni di una relazione idrogeologica di un piano di lottizzazione.

Il procuratore contabile chiedeva l’applicazione del comma 62 della legge 190/2012 (cd: Anticorruzione), che quantifica l’entità del danno all’immagine causato alla pubblica amministrazione dall’attività corruttiva nel doppio della provvista percepita dal corrotto pubblico ufficiale. La Corte non accettava la richiesta, valutando insormontabile il principio di irretroattività delle leggi penali sfavorevoli. Tuttavia il giudice considerava provato il pretium sceleris dell’attività corruttiva, concretizzatosi nell’utilità della ristrutturazione dell’unità immobiliare di proprietà del corrotto. Aggiungeva però che la circostanza che gli fosse stata confiscata una somma addirittura superiore e che il convenuto avesse restituito all’impresa parte del corrispettivo dei lavori, consentiva di quantificare il danno all’immagine arrecato al comune in 20.000 euro.

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