di Stefania Peveraro
Due notizie buone e una cattiva sono state date alla nutrita platea di operatori del fintech, ieri riunita a Milano per l’inaugurazione del Fintech District, il nuovo spazio di coworking e aggregazione per le start-up del settore nato per iniziativa di StartLab del gruppo Banca Sella e del gestore di spazi di lavoro Copernico. Evento cui hanno partecipato il ceo del gruppo bancario, Pietro Sella, il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, e il coordinatore dell’indagine conoscitiva sul fintech, ancora in corso presso la Commissione Finanze della Camera, Sebastiano Barbanti.

Una notizia buona l’ha data il ministro dell’Economia e delle Finanze, Pier Carlo Padoan, che a chiusura del suo intervento ha così rassicurato gli uditori: «l’Agenzia delle Entrate sta risolvendo la questione del codice fiscale per gli utenti stranieri delle società fintech». Sinora alle società fintech italiane non era permesso servire dall’Italia anche gli utenti stranieri. Chiunque infatti sottoscriva un contratto di natura patrimoniale in Italia deve dare un codice fiscale italiano al fornitore, il che non è impossibile ma richiede un impegno da parte dell’utente il quale spesso, data l’immediatezza di internet, perde interesse all’operazione.

E questo è uno dei motivi per cuialcune start-up hanno deciso di aprire una filiale all’estero a Londra, come Satispay, oppure trasferirvi la sede centrale, come Moneyfarm. In quest’ultimo caso, peraltro, Paolo Galvani, tra i fondatori della start-up, nel suo intervento alla tavola rotonda della mattinata moderata da Paola Bonomo, ex global marketing solutions director Southern Europe di Facebook e oggi attiva business angel, ha spiegato che la decisione di migrare a Londra si spiega con il fatto che «in Italia non è ancora possibile trovare i capitali di rischio sufficienti a fare il passo ulteriore dopo la prima fase di sviluppo. Aziende come la nostra hanno bisogno di investimenti importanti per periodi prolungati, ancor prima di raggiungere l’equilibrio finanziario e quindi abbiamo bisogno di investitori importanti». Moneyfarm dal lancio ha raccolto parecchi capitali: ora è a 23 milioni di euro, dopo l’ultimo investimento di Allianz circa un anno fa.

La notizia cattiva l’ha data il vicedirettore generale di Banca d’Italia, Fabio Panetta, il quale ha chiarito che «va garantita la parità di condizioni tra operatori tradizionali e nuovi, per stimolare una concorrenza sana, basata sul principio secondo cui a rischi uguali si applicano norme uguali. In tale quadro, regole ad hoc per le fintech non risponderebbero a criteri di efficacia, in quanto le imprese innovative svolgono funzioni diverse tra loro e riconducibili ad attività già disciplinate da norme specifiche. (…) Nel settore dei pagamenti il legislatore ha già aperto il mercato ad altri intermediari (Istituti di Pagamento e Moneta Elettronica), prevedendo per questi dei requisiti normativi coerenti con i rischi assunti, quali un capitale iniziale inferiore a quello stabilito per le banche e un regime semplificato per il calcolo dei fondi propri».

Insomma la sandbox, cioè uno spazio protetto a regolamentazione limitata perché la start-up fintech possa testare i propri servizi, sembra una possibilità remota, con buona pace delle start-up che per partire hanno spesso bisogno di capitali importanti, proprio per rispettare le norme. «Abbiamo dovuto fare investimenti importanti per ottenere l’autorizzazione a operare come intermediario iscritto all’albo», ha detto Ignazio Rocco di Torrepadula, cofondatore di Credimi, società che acquista online fatture commerciali dalle aziende, le cartolarizza e le rivende a investitori istituzionali. Credimi ha raccolto 8 milioni di euro per dotarsi dei capitali necessari a far partire la piattaforma e per potersi presentare alla Banca d’Italia con i numeri a posto, mentre, «un nostro concorrente estero, da anni sul mercato e con un intermediato molto importante, solo da poco ha ottenuto l’autorizzazione definitiva nel Regno Unito.

Sinora ha operato con autorizzazioni provvisorie più volte rinnovate». Rocco di Torrepadula parla di Funding Circle, tra i big europei. Detto questo, Panetta ha comunque voluto mostrare apertura al fintech, dando l’altra buona notizia: «Per facilitare la sperimentazione di soluzioni innovative abbiamo con gli operatori un dialogo continuo, che ora ha un suo rilievo nel Piano Strategico 2017-19 di Banca d’Italia. Nei prossimi giorni daremo avvio al Canale Fintech, spazio dedicato a questi temi, facilmente accessibile proprio per favorire in Italia l’innovazione». Il tutto, ha aggiunto Panetta, tenuto conto che «è essenziale lo stretto coordinamento fra autorità nazionali ed estere: l’integrazione dei mercati europei richiede, specie per attività cross-border, regole comuni da applicare con criteri omogenei. A tale scopo Banca d’Italia partecipa ai comitati internazionali sull’innovazione finanziaria». Stesso approccio di Consob, il cui vice dg, Giuseppe D’Agostino, ha detto che l’Authority sta verificando con 12 università se la normativa italiana sul fintech sia in linea con quella prevalente in Europa o ci siano correttivi da apportare.
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