A cura di AIG e Studio studio Satta Romano & Associati – Anna Romana e Raffaele
Nei tempi attuali la protezione dell’ambiente non si esaurisce nel rilascio dei titoli autorizzativi, quali, ad esempio, quelli che consentono ad un determinato soggetto di installare un impianto o di esercitare una precisa attività potenzialmente pericolosa per l’ambiente. La tutela dell’ambiente, invero, investe anche la fase successiva al rilascio dell’autorizzazione: penetranti poteri di vigilanza e controllo, nonché numerose prescrizioni a carico del gestore assicurano che l’attività autorizzata sia svolta nel rispetto dell’ecosistema, senza pericoli, né danni per l’ambiente. E’ questo il caso, ad esempio, dell’art. 29 sexies, co. 9 quinquies, del D.lgs. n.152/06, che impone al gestore una serie di obblighi di precauzione di vario contenuto: fra questi, la lettera c), prevede l’adozione delle “misure necessarie” per eliminare l’ inquinamento esistente al momento della cessazione dell’attività.
In tale contesto, si inserisce l’obbligo di garanzia previsto dall’art. 29 sexies, co. 9 septies, del D.lgs. n.152/06, come modificato dal D.Lgs. 46/2014, secondo cui “A garanzia degli obblighi di cui alla lettera c del comma 9-quinquies, l’autorizzazione integrata ambientale prevede adeguate garanzie finanziarie, da prestare entro 12 mesi dal rilascio in favore della regione o della provincia autonoma territorialmente competente. Con uno o più decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare sono stabiliti criteri che l’autorità competente dovrà tenere in conto nel determinare l’importo di tali garanzie finanziarie”.

L’obbligo di garanzia è imposto in funzione della successiva cessazione dell’attività autorizzata. Se al termine dell’attività il sito risulta inquinato, è obbligo del gestore, ai sensi dell’art. 29 sexies, co. 9 quinquies cit., provvedere al ripristino; diversamente, l’Amministrazione potrà escutere la garanzia prestata.
La garanzia di cui al citato art. 29 sexies, dunque, copre il rischio di inadempimento del gestore. Detto in altre parole, essa assicura che i costi di risanamento siano sostenuti dall’autore dell’inquinamento e non – come più volte è accaduto – dalla finanza pubblica. Per l’effetto, i costi di ripristino entrano nel bilancio delle imprese, quali costi di impresa, che il gestore può essere chiamato a sostenere per elidere i danni cagionati all’ecosistema.
L’art. 29 sexies cit. lascia insoluti due problemi. Il primo è lo strumento attraverso cui la garanzia deve essere prestata; il secondo è l’ammontare della garanzia, il quantum. In proposito, invero, la norma rinvia a uno o più decreti del Ministero dell’Ambiente. Ad oggi, tali profili sono stati disciplinati dal D.M. n. 141 del 26 maggio 2016, recentemente modificato, come si dirà, dal D.M del 28 aprile 2017, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 3 luglio 2017.
Con riferimento al primo profilo, il decreto n. 141/2016 riconosce l’esistenza di molteplici strumenti di garanzia, ciascuno dei quali connotato da un diverso margine di rischio quanto a tempi e ad escussione della garanzia. Il decreto circoscrive il proprio ambito applicativo alle sole garanzie “a prima richiesta e senza eccezioni”, stante la sostanziale astrazione dal rapporto garantito. Ad ogni modo, il decreto consente anche il ricorso a garanzie non aventi “un’efficacia paragonabile a quelle a prima richiesta e senza eccezioni“, precisando però che, in tal caso, l’importo garantito, stante la maggiore alea, deve essere almeno raddoppiato.
Un profilo al riguardo ci sembra di particolare interesse. A titolo meramente esemplificativo, il decreto richiama le garanzie di cui all’articolo 1 della l. 10 giugno 1982, n. 348, fra cui, come è noto, vi rientrano la cauzione, la fideiussione bancaria e la polizza assicurativa. Orbene, il decreto equipara questi strumenti, senza esprimere alcuna preferenza, nonostante essi offrano gradi e forme di tutela differenti. Mentre infatti le garanzia finanziarie c.d. pure, quali le cauzioni e le fideiussioni, garantiscono solo un ristoro monetario, limitato all’importo garantito, la polizza assicurativa fornisce servizi accessori che consentono un’integrale ed effettiva riparazione del danno ambientale. Di questa differenza, tuttavia, il decreto non tiene conto.
Quanto all’ammontare della garanzia, il decreto richiama una serie di elementi quali: i) le categorie di attività condotte nell’installazione, ii) l’estensione del sito dell’installazione, la pericolosità e le quantità delle sostanze pericolose pertinenti; iii) il tipo di garanzia prestata; iv) nonché il periodo residuo di vita utile dell’installazione.
Per ciascuno di questi elementi, l’allegato A del decreto prevede alcuni specifici coefficienti di valore, la cui combinazione consente di determinare l’entità del rischio e, per l’effetto, l’importo della garanzia. Come accennato, il decreto è stato recentemente modificato dal D.M. del 28 aprile 2017, che ha sostituito il sopracitato allegato A, chiarendo le modalità di applicazione dei criteri e modificando altresì i coefficienti di calcolo, a seguito di più specifici approfondimenti tecnici svolti “anche sulla base delle esperienze relative alla bonifica dei siti di interesse nazionale”.
In definitiva, l’obbligo di garanzia di cui all’art. l’art. 29 sexies appare espressione di due principi fondamentali in tema di tutela ambientale. Il primo è quello cardine ovvero “chi inquina paga”. L’art. 29 sexies pone certamente l’Italia in una posizione di avanguardia rispetto ad altri Paesi, che non hanno ancora previsto strumenti o misure simili; al fine di renderla ancora più effettiva, tale tutela potrebbe essere ancorata a strumenti di garanzia idonei ad assicurare una riparazione totale del danno più che un mero risarcimento monetario. Il secondo principio è quello di proporzionalità: la previsione di specifici criteri e coefficienti di calcolo assicura che la garanzia sia direttamente proporzionale al rischio di esposizione al pericolo.