di Luca Gualtieri

La debolezza del margine di interesse è un problema strutturale su cui le banche italiane si stanno arrovellando da tempo. Per fortuna degli azionisti ci sono attività che riescono a puntellare i conti economici, dando un contributo significativo ai ricavi.
È il caso del collocamento di prodotti assicurativi (soprattutto per il ramo vita e il previdenziale), un’attività certamente non inedita per gli istituti di credito ma cresciuta a ritmi significativi negli ultimi cinque anni. Dai bilanci delle nove principali banche quotate si evince che le
commissioni di natura assicurativa sono balzate del 65,2% a 2,5 miliardi e rappresentano oggi il 5,2% dei ricavi complessivi.
Non stupisce insomma l’attenzione che i ceo rivolgono al tema,come testimonia l’ipotesi di un merger tra Intesa e Generali sfumata a inizio anno o la cura con cui Banco Bpm sta selezionando il nuovo partner assicurativo.
«Oggi il prodotto assicurativo consente alle banche di fare margini decisamente più interessanti rispetto al business tradizionale.
Inoltre gli istituti hanno sempre beneficiato di un vantaggio competitivo nel collocamento delle polizze, grazie alla presenza di una forte rete commerciale», spiega a MF-Milano Finanza Pierpaolo Marano, professore di diritto delle assicurazioni presso Università Cattolica. Del resto,
in un periodo in cui gli attivi sono zavorrati dal credito deteriorato, la bancassurance offre garanzie di stabilità, trattandosi di un business tradizionalmente meno legato al ciclo economico.
Senza contare i potenziali margini di crescita del ramo danni: «Se sul vita c’è ormai un concreto rischio di cannibilizzazione, nei prossimi anni gli istituti potrebbero spingere con decisione sul danni non auto che in Italia risulta ancora sottoassicurato», spiega Marano. La strategia tro-
va conferme nei piani di Intesa Sanpaolo, principale player nazionale sul vita e reduce per l’appunto di un fallito tentativo di aggregazione con Generali: «Stiamo iniziando ad assumere agenti per rafforzare le nostre attività assicurative e diventare leader anche nei danni», ha recentemente dichiarato l’ad Carlo Messina. Del resto Intesa è stata la banca che negli ultimi cinque anni ha registrato la maggiore crescita delle commissioni assicurative, con un rialzo del 67,3% a 1,39 miliardi (pari al 7,5% dei ricavi). Un trend che nel 2016 ha compensato il calo delle commissioni di intermediazione e collocamento titoli e delle performance fee derivanti da alcuni prodotti di risparmio gestito. La linea di Intesa del
resto è chiara: da tempo la Ca’ de Sass ha scelto di muoversi con compagnie di proprietà, come fanno Poste, Crédit Agricole, Credem e Mediolanum. Una scelta che permette di attuare una strategia più strutturata rispetto a chi opta per partnership. Questa seconda strada non è necessariamente legata alle dimensioni, se è vero che l’hanno imboccata grandi gruppi come Unicredit. «Entrambe le strategie possono presentare vantaggi
e svantaggi. Ad esempio la scelta di avere una compagnia propria garantisce un controllo più diretto dei processi, ma pesa sui requisiti di solvibilità della banca (problema che non a caso era stato sollevato dagli analisti per Intesa-Generali, ndr) e richiede forti investimenti in
termini di prodotti e personale», spiega Marano. «Viceversa, avendo una o più partnership, è possibile essere particolarmente selettivi, individuando la compagnia più adatta per ogni tipologia di prodotto».
Il docente della Bocconi Andrea Resti comunque precisa: «Nel ramo vita le banche sannno muoversi da sole, e le joint venture hanno talvolta giustificazioni estranee al mero profilo industriale (penso alla banca che vende polizze di una certa compagnia perché quest’ultima entra nel suo capitale, magari per puntellare l’azionista di riferimento). Diverso è il ramo danni, dove la gestione dei sinistri comporta profili operativi
specifici, e la banca può trovare conveniente fare riferimento all’esperienza di un socio già attivo nel settore». E il futuro? Nei
prossimi anni la raccolta premi potrebbe crescere ulteriormente, anche se la crescita dei margini sarà calmierata dai limiti che Idd e Mifid 2 porranno alle provvigioni. Ma di certo le banche continueranno a sfruttare questo prezioso polmone per la redditività, specie finché un ri-
alzo dei tassi non ridarà smalto al margine di interesse. (riproduzione riservata)
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