di Anna Messia
A volte può essere un semplice nome a fare la differenza. Diciassette casse previdenziali delle 20 che operano in Italia hanno approvato un documento che fissa le regole dei propri investimenti, ma solo sei di queste hanno sottoposto il fascicolo all’approvazione dei ministeri competenti, ovvero Lavoro ed Economia. Il motivo? La differenza, appunto, la può fare il nome. Basta sostituire l’appellativo di «regolamento sulla politica degli investimenti» per esempio con la parola «manuale» si può evitare il passaggio ministeriale. Un dettaglio che può fare la differenza e che fa capire come oggi la situazione delle casse previdenziali che operano in Italia, e che amministrano complessivamente l’enorme patrimonio di 80 miliardi di euro, sia molto variegata. A scattare la fotografia è stata la Covip nella sua ultima relazione sulle casse appena pubblicata aggiornata con i bilanci 2016. Un’analisi dalla quale emerge che gli enti previdenziali continuano a essere fortemente investiti in immobili per un ammontare di 19,1 miliardi, che rappresenta il 23,8% del loro patrimonio, nonostante la riduzione degli ultimi anni (la percentuale nel 2012 era del 32,6%). Se agli immobili, quasi tutti in Italia (e addirittura per il 66,5% a Roma) si aggiungono gli investimenti in titoli di Stato e in altri titoli di emittenti italiani emerge che l’esposizione delle Casse verso gli investimenti domestici è pari oggi al 41,1%, decisamente più alta del 32,5% dei fondi pensione.

Un assetto che sembra lasciare decisamente poco spazio ad un ulteriore impegno delle casse a sostegno delle imprese italiane, come chiesto spesso nel dibattito pubblico. «La capacità delle Casse di investire nelle imprese italiane è indubbiamente condizionata dalla già forte presenza degli investimenti nel sistema economico italiano», osserva il presidente di Covip, Mario Padula. Come dire che, per riuscire a sostenere le imprese del Paese con i loro investimenti e mantenere un asset allocation sufficientemente diversificata, gli enti previdenziali dovrebbero prima tagliare con più forza la presenza nel mattone. In questi anni hanno invece puntato molto sui conferimenti degli immobili all’interno dei fondi, di cui sono in genere l’unico quotista. Operazioni che hanno fatto venire alla luce cospicue plusvalenze «senza tuttavia dar luogo a proventi monetari effettivi e, quindi, a nuove risorse», si legge nella relazione Covip. La commissione che controlla i fondi pensione sei anni fa è stata chiamata dal legislatore a vigilare anche sugli investimenti delle casse, e a trasmettere la documentazione ai ministeri vigilanti. È da allora che il settore attende un regolamento che definisca le regole d’investimento, i conflitti d’interesse e le norme di banca depositaria di enti ma, rinvio dopo rinvio, ogni cassa si è mossa in autonomia. Una situazione di incertezza che inevitabilmente complica il lavoro di Covip. «C’è chi ha seguito più da vicino il modello offerto dalle norme sugli investimenti sui fondi pensione, ma la situazione resta piuttosto variegata», aggiunge Padula.

Le diversità tra le varie casse sono lampanti anche se si guarda alla governance. Non solo in riferimento al regolamento per la politica degli investimenti. Dall’analisi della commissione risulta che sedici Casse prevedono uno o più organismi consultivi in materia di investimenti. Ma solo cinque di loro hanno creato commissioni distinte per la componente mobiliare e per quella immobiliare, e quest’ultima in genere è chiamata solo a verificare che i canoni di locazione e i prezzi di compravendita siano congrui. Tutte le Casse hanno poi una struttura interna predisposta per gli investimenti. Ma anche da questo punto di vista ci sono marcate differenze tra i vari enti. «In diversi casi la struttura interna preposta agli investimenti è stata costituita in tempi recenti e quindi non è ancora pienamente implementata», aggiunge il presidente Covip. Tutte le Casse hanno poi fatto ricorso a uno (otto enti) o più advisor (i restanti 12) che sono stati chiamati in campo per supportare l’organo di amministrazione e le strutture operative interne nell’attività di controllo della gestione finanziaria e in qualche caso anche per il controllo della gestione finanziaria. Solo 14 Casse hanno poi utilizzato meccanismi specifici per l’analisi delle attività e delle passività (il cosiddetto asset liability management) che sono stati messi a punto dagli advisor. Si tratta di valutazioni molto importanti per enti previdenziali perché consentono in pratica di verificare che la scadenza degli impegni, quindi le pensioni, sia allineata a quella degli investimenti. Ma come emerge dall’analisi Covip sono ancora sei le casse che non hanno usato questo strumento per la definizione delle proprie politiche di investimento.

L’emanazione del tanto atteso regolamento consentirebbe di rendere il settore più omogeneo e più stabile. Le Casse del resto a oggi sono gli unici investitori istituzionali affrancati da una regolamentazione unitaria in materia. «Continuiamo a svolgere il nostro lavoro anche in un quadro complesso», conclude Padula, sottolineando che l’azione di controllo è quotidiana. L’anno scorso gli uomini della commissione hanno fatto sei ispezioni in altrettanti enti e c’è una continua e approfondita vigilanza cartolare. Lavoro che Covip svolge nonostante le Casse, a differenza dei fondi pensione, non siano obbligate dalla legge a finanziare l’autorità con una percentuale sui contributi incassati, come avviene per tutti gli altri soggetti controllati. Il mancato incasso per Covip è di circa 4 milioni l’anno e oggi di fatto è la previdenza complementare che finanzia i controlli sulla casse. «Una situazione che poteva essere considerata transitoria sei anni fa ma ora, vista l’importanza delle funzioni di controllo su enti che amministrano ingenti patrimoni, c’è urgente bisogno di una regolarizzazione», conclude Padula. (riproduzione riservata)
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