In Italia le ricchezze delle famiglie servite dalle private bank hanno raggiunto 774 miliardi di euro. «Prosegue la crescita che osserviamo da molti anni. Nel primo trimestre del 2017, in base agli ultimi dati disponibili, rileviamo un aumento dell’1,6% rispetto a fine 2016, frutto sia di nuova raccolta sia del positivo andamento dei mercati», spiega Antonella Massari, segretario generale di Aipb, l’Associazione italiana del private banking. E le scelte di investimento di queste famiglie (per definizione il private banking in Italia comprende i patrimoni oltre i 500 mila euro) si differenziano molto da quelle delle fasce inferiori (quindi sotto i 500 mila euro). Perché nei portafogli più ricchi c’è molto meno cash a fronte di una maggiore esposizione in azioni e fondi. «Le famiglie più benestanti scelgono di inserire in portafoglio una quota consistente di fondi e gestioni patrimoniali, pari, secondo le nostre ultime stime, al 42%, e hanno una buona componente di azioni che pesa per l’8%. La liquidità di questi portafogli non arriva a coprire più del 13%, mentre per le famiglie appartenenti alla fascia patrimoniale sotto i 500 mila euro il cash ammonta al ben più alto 25% della loro disponibilità totale, con fondi e gestioni che rappresentano il 24%», prosegue il segretario dell’Aipb. E la quota di azioni in portafoglio dei nuclei meno ricchi, rivela ancora Massari, «si attesta intorno al 5%, privilegiando investimenti meno rischiosi come quelli in prodotti assicurativi».
Tutte strategie di investimento, quelle attuate dai vip, tagliate su misura e frutto di scelte prese con il supporto di banker specializzati nella gestione delle esigenze dei Paperoni. «Chi ha patrimoni più elevati è più propenso a lasciarsi guidare dal proprio professionista di riferimento», conferma l’esperta. D’altra parte, sul mercato italiano le private bank stanno puntando sempre di più sulle grandi ricchezze. Dalle analisi dell’Aipb emerge che in Italia il patrimonio per nucleo famigliare si attesta a quota 1,4 milioni di euro. Ma si tratta di una media perché guardando la distribuzione per fasce la realtà è ben diversa. Il 62% dei clienti ha un patrimonio dai 500 mila fino a 5 milioni, mentre il restante 38% supera i 5 milioni. In particolare, tra questi ultimi, c’è una fascia top, il 12,3% del totale, che possiede più di 50 milioni, seguita dal 15,2% tra i 10 e 50 milioni e da un 10,9% che ha tra i 5 e i 10 milioni.
A livello internazionale chi detiene una ricchezza superiore a un milione di dollari è etichettato come High net worth individual (Hnwi) mentre oltre i 30 milioni di dollari si ricade tra gli Ultra high net worth individual (Uhnwi), un target, quest’ultimo, non così rarefatto. Secondo i dati di Wealth-X (World Ultra Wealth Report 2017) in tutto il mondo sono 226.450 gli individui definibili come Uhnwi. Il numero segna una crescita del 3,5% sul 2015, anche se rappresenta comunque lo 0,003% della popolazione globale. Un quarto di questo gruppo esclusivo è in Europa (64.370) dove la Brexit ha avuto un impatto tutto sommato limitato (c’è stato un calo del -0,2% sul 2015). E per quest’anno si prevede un aumento nel numero degli Uhnwi europei grazie allo slancio dell’economia dell’area e alla ripresa dei mercati finanziari. D’altra parte non è un mistero che i Paperoni abbiano resistito meglio alla crisi post 2008 rispetto ai segmenti più bassi e di conseguenza, pur dovendo fare i conti con costi in crescita, il wealth management cresce molto più velocemente rispetto al all’attività retail. Dallo studio di Wealth-X emerge, inoltre, che l’Italia non sfigura nella classifica mondiale dei Paesi con più super ricchi: a fine 2016 è decima al mondo con 5.530 Uhnwi, (+1,8% sul 2015), cui fanno capo 624 miliardi di dollari di masse (+1,7%). Non è un caso, dunque, se anche in Italia sul target più ricco, che è anche il più redditizio per i bilanci degli operatori, si registri un forte aumento della concorrenza tra gli operatori. «Da sempre le banche estere, americane e svizzere in primis, sono attive sulla fascia più alta di clientela, ma ora sono minacciate dal basso dagli istituti di credito italiani e dalle reti di consulenti finanziari che possono contare su una presenza capillare sul territorio e che hanno creato divisioni ad hoc di private banking, e dall’altro dai family office la cui attività è in continua espansione in Italia», spiega Marco Mazzoni, alla guida di Magstat, società di consulenza sul private banking. In risposta i player stranieri si sono spostati su un private banking ancora più esclusivo, «alzando la soglia di accesso o creando al loro interno divisioni ad hoc», aggiunge Mazzoni. Ne è un esempio il Credit Suisse Italy che tre anni fa ha venduto il ramo dedicato ai clienti affluent a Banca Generali .
Nonostante tutto, i contendenti del mercato dei super Paperoni restano ancora in numero limitato. Tra i più attivi ci sono i colossi elvetici Ubs e Credit Suisse (cui si aggiunge anche Julius Baer che ha rilevato Kairos). Nel frattempo le realtà anglosassoni e americane hanno via via abbandonato la piazza italiana. Una tendenza che si è accentuata a seguito della Brexit, come segnala il caso di Schroders che ha appena venduto il private banking al gruppo Banca Sella. Ma ci sono alcune eccezioni. A partire da JP Morgan Private Bank, che in Italia è guidata da Riccardo Pironti di Campagna. Un’unica sede, a Milano, e 12 banker, sono i tratti distintivi dell’offerta della banca statunitense in Italia. Che, in base ai dati Magstat, ha una soglia di accesso di 15 milioni di dollari. Poi c’è Citi, che però ha spostato già da qualche anno a Londra le attività sull’Italia. Ma il gruppo è l’unico che si concentra sulle ricchezze oltre i 50 milioni in asset liquidi. A guidare il mercato italiano del private banking di Citi c’è Francesco Lombardo di San Chirico (si veda intervista in basso). Un altro big estero che presidia l’alto di gamma è Goldman Sachs. La divisione Private Wealth Management guidata in Italia da Alberto Cirillo, co-head del Sud Europa, si rivolge al segmento Hnwi con una soglia personalizzata. Anche il Credit Suisse Italy, come si accennava, ha scelto di puntare alto. Se il biglietto di ingresso minimo è di 1 milione di euro, il gruppo ha al suo interno il team Ultra high net worth individuals, con ticket di accesso di 50 milioni, diretto da Roberto Coletta, ex capo dei Key clients di Bnp Paribas. Mentre nel complesso le attività di private banking del Credit Suisse Italy, che ha sei sedi in Italia e un centinaio di advisor, sono guidate dal 2015 da Stefano Vecchi, ex manager di Ubs Italia. Anche quest’ultima, peraltro, ha costituito una divisione specifica dedicata al business Uhnwi (mentre la taglia di base per l’accesso ai servizi della banca è di 500 mila euro). In totale sul mercato italiano Ubs ha 12 filiali con 191 banker e le attività sono guidate da Fabio Innocenzi, che è anche presidente dell’Aipb.
Tra gli altri gruppi esteri più attivi in Italia, sempre secondo i dati di Magstat, ci sono anche Bnl Bnp Paribas e Deutsche Bank. In particolare il gruppo francese ha due hub dedicati al wealth management: la struttura Grandi patrimoni e quella dei Key clients. Le sedi sono a Milano e a Roma con due avamposti a Bologna e Napoli e i banker in totale sono 26. Con patrimoni dai 5 ai 25 milioni si accede al servizio Grandi patrimoni e oltre 25 milioni ci sono i Key clients. Dal canto suo Deutsche Bank Wealth Management ha una soglia di accesso di 2 milioni, conta su sette sedi (Milano, Lecco, Torino, Verona, Firenze, Roma e Napoli) e 27 advisor per oltre 800 clienti. Nel frattempo anche le italiane stanno sviluppando modelli di business che si avvicinano a quelli delle più blasonate banche estere. A partire da Fideuram Intesa Sanpaolo private banking con il Service Hub Hnwi, lanciato nel 2015. Il servizio è dedicato alla clientela con asset finanziari superiori ai 10 milioni con filiali a Roma, Bologna, Padova, Milano e Torino. Negli ultimi mesi è proseguito il potenziamento dell’hub con l’ingresso di nuovi banker e con lo sviluppo di un’offerta dedicata e articolata rispetto al tradizionale private banking (dalla strutturazione e protezione del patrimonio complessivo, il cosiddetto wealth advisory, ai servizi per le esigenze legate all’azienda di famiglia, anche in un’ottica di passaggio generazionale).
Senza dimenticare Mediobanca che a breve incorporerà Banca Esperia da cui nascerà la divisione Mediobanca Private Banking con target sopra i 5 milioni.

Ma accanto alla formula di Citi, JP Morgan e Goldman Sachs, che si concentrano soltanto sulle ricchezze di maxi taglia, e al modello di Intesa Sanpaolo , Deutsche Bank, Bnl Bnp Paribas, Ubs, Credit Suisse e Mediobanca , dove la clientela top è affidata a strutture specializzate all’interno del private banking, c’è una terza via. Quella scelta da Unicredit che ha creato un brand ad hoc. Si tratta di Cordusio sim attiva dai 5 milioni in su. La sim, guidata dall’ad Paolo Langè, è operativa da un anno ed è nata con una ricca dote (23,8 miliardi di asset relativi 3.800 famiglie) avendo ereditato le masse del private banking top del gruppo Unicredit . Il team è composto da oltre 100 banker che operano in una ventina di sedi. Cordusio offre servizi di corporate advisory, in collaborazione con la divisione corporate e investment banking della capogruppo, e consulenza anche in ambiti non strettamente finanziari, quali real estate, arte e collezionismo, passaggi generazionali, asset protection e, attività innovativa in Italia, anche la filantropia. Una gamma ampia di servizi che tipicamente è quella dei family office.
Si ispira al loro modello anche il servizio sviluppato da Banca Mps (con Franco Innocenti alla guida) che conta su sette centri e 40 banker.
D’altra parte i family office sono una tipologia di operatori che da sempre si rivolge al target altissimo, ma senza una soglia di accesso ben precisa perché si tratta di strutture che nascono per gestire le ricchezze di una o poche famiglie. I pionieri sono stati gli imprenditori (dagli Zambon, ai Branca, ai Manuli), che hanno creato in casa i propri family office per custodire beni e segreti di casa. E via via si sono aperti sempre più anche a terzi, ma sempre per servire nuclei con patrimoni molto alti e complessi. Gli stessi che oggi sono entrati nei radar delle maggiori banche e reti di consulenti, oltre che di boutique indipendenti, come ad esempio Banor Sim, Edmond de Rothschild o Pictet. (riproduzione riservata)

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