di Rebecca Carlino
L’industria italiana del risparmio gestito continua a marciare a pieno ritmo. Il bilancio del primo semestre elaborato da Assogestioni si è chiuso con una raccolta netta totale di quasi 57 miliardi, il doppio rispetto ai 27,5 miliardi dello stesso periodo 2016. Il patrimonio è arrivato a 2.013 miliardi, di cui 1.013 investiti nei fondi e quasi mille nelle gestioni di portafoglio. A puntare sul business dell’asset management sono i grandi gruppi bancari italiani, ma anche alcuni big esteri che possono contare su accordi di distribuzione con reti di promotori e private bank. D’altronde si tratta di un’industria che offre alle banche ricavi alternativi al margine di interesse e che può contare su solide basi di sviluppo. La ricerca di rendimento da parte dei risparmiatori aiuta questo trend, che sembra destinato a continuare visto che, nonostante la crescita del settore degli ultimi anni, ancora gli italiani restano meno investiti in fondi o polizze rispetto alla media dell’area euro. Lo ricorda anche la relazione di Banca d’Italia: «La dimensione dell’industria del risparmio gestito sul totale delle attivita` finanziarie delle famiglie ha continuato a crescere, pur rimanendo al di sotto della media dei Paesi dell’area dell’euro e di quelli anglosassoni. L’introduzione dei Piani Individuali di Risparmio (…) potra` favorire un aumento della quota del risparmio gestito nel portafoglio delle famiglie». Tale previsione si è rivelata corretta, visto che dalla Mappa di Assogestioni emerge una raccolta netta dei Pir nel primo semestre pari a 5,3 miliardi.

Proprio i Pir rappresentano un prodotto particolarmente interessante per gli asset manager, perché hanno un profilo commissionale medio-alto e un orizzonte temporale di medio-lungo periodo. Infatti trattenere il cliente sarà sempre più importante in vista della Mifid II che entrerà in vigore nel 2018. La direttiva di fatto obbliga le società finanziarie ad agire nel miglior interesse dei clienti anche grazie a una maggiore trasparenza sui costi. Il cliente potrà sapere non solo a quanto ammontano le commissioni ma anche esattamente cosa remunerano. Si avranno quindi a disposizione maggiori informazioni e dati per confrontare i prodotti; e ciò porterà a una maggiore concorrenza. Nella ricerca «L’industria dell’asset management nel 2020» di PwC si ricorda infatti che le principali novita` regolamentari (Mifid II e Mifir) comporteranno una revisione dell’attuale modello di business, con le seguenti implicazioni per il wealth management: maggiori oneri di trasparenza e compliance normativa, con conseguente compressione dei margini e riduzione delle commissioni; possibile pressione regolamentare sulle retrocessioni e maggior complessita` degli accordi distributivi per la richiesta maggiore trasparenza.

Di fronte a ciò c’è chi già inizia a mostrare le carte. È il caso di Allianz Global Investors, che ha comunicato che da inizio 2018 si farò carico (per i fondi registrati e per i mandati gestiti in Europa) dei costi della ricerca esterna (quella dei broker) anziché addebitarli ai clienti. Tobias Pross, head of Emea di Allianz GI, sottolinea: «Sulla base del nostro modello di business, che beneficia di una piattaforma d’investimento integrata a livello globale in cui ricerche e idee di investimento sono condivise, riteniamo che la soluzione più efficiente per tutti i soggetti coinvolti in tale modello sia assorbire internamente i costi delle ricerche esterne. Questo si inserisce appieno nella direzione indicata dalla Mifid II, il cui obiettivo è evitare conflitti di interesse nell’attività di negoziazione dei titoli».

Maggiore trasparenza vorrà dire più concorrenza e una conseguente pressione ad abbassare le commissioni. Da qui la necessità di sviluppare strategie volte a ridurre i costi. E la tecnologia può venire in aiuto, come ricorda lo studio di State Street «A New Climate for Growth: Cultivating Asset Intelligence to Thrive». La ricerca delinea un nuovo modello per la crescita futura che permetterà ai player dell’industria di: competere su larga scala; allineare la tecnologia con gli obiettivi; sviluppare il potenziale legato all’asset intelligence. Dallo studio emerge che i due terzi (66%) dei 507 asset manager globali e dei fondi pensione intervistati ritengono che stia diventando sempre più difficile crescere nell’attuale contesto di mercato. «In tutto questo la digitalizzazione rimane una priorità per affrontare la sfida della crescita, in quanto consente di razionalizzare l’attività operativa, creare efficienza e ottimizzare la gestione di performance e rischi; le istituzioni si stanno sforzando di stare al passo con l’accelerazione del cambiamento, con solo il 43% che afferma di adottare la tecnologia in modo sufficientemente rapido per sostenere le esigenze di crescita aziendale», si legge nello studio. Riccardo Lamanna, country head Italy di State Street Global Services, ricorda: «Il settore finanziario si trova all’inizio di una nuova era digitale. In un mondo dove i dati sono diventati la nuova valuta, le attività supportate dall’intelligence cambieranno il modo in cui le istituzioni cercheranno di raggiungere gli obiettivi di investimento e di gestione dei rischi». (riproduzione riservata)

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