di Filippo Buraschi e Rebecca Carlino
In pensione a 70 anni con rischio di periodi di disoccupazione e quindi di buchi contributivi, con una speranza di vita che tende verso i 100 anni e un assegno pensionistico che si prospetta molto magro. Questo il futuro che attende il popolo dei millenials e i giovani italiani in generale. Ecco perché è indispensabile correre subito ai ripari, magari con l’aiuto di nonni, genitori e zii, per impostare una strategia di investimento di lunghissimo periodo in grado in prospettiva di integrare la pensione Inps. Anche partendo da un montante minimo di bassa entità. In questi giorni il governo sta studiando una sorta di paracadute per garantire ai giovani, che andranno in pensione integralmente con il sistema contributivo una rete di sicurezza sotto forma di un assegno minimo da 650 euro, in caso i contributi versati non siano sufficienti a raggiungere questa soglia.

Certo, una maggiore flessibilità nel sistema pensionistico italiano è auspicabile, ma non bisogna farsi illusioni. Nonostante gli interventi per andare incontro a chi è risultato più penalizzato dalla riforma Fornero, l’età della pensione è destinata ad allontanarsi e quindi c’è la necessità di costruire un tesoretto per garantirsi un’integrazione all’assegno finale o qualche anno prima di libertà. D’altronde bisogna fare i conti con una speranza di vita che si allunga e un debito pubblico che lascia poca libertà di manovra a chi governa. E non si tratta di un problema solo italiano. Le Nazioni Unite hanno stimato che la popolazione mondiale continuerà a invecchiare e nel 2050 il 15% del totale sarà rappresentato dagli over 65. Si va quindi verso un modello simile a quello che già oggi vive il Giappone. E questo invecchiamento potrà mettere sotto pressione gli attuali sistemi pensionistici. L’Italia in questo senso si è portata avanti, come dimostra la curva di evoluzione del rappporto debito/pil atteso. In base alle previsioni Istat la speranza di vita per gli uomini salirà dai 79,3 anni del 2010 a 85,9 anni del 2060 e per le donne si passerà da 84,3 a 90,8 anni. Eppure dal 2060 il rapporto tra spesa pensionistica e pil sarà in flessione. Questo è possibile grazie al sistema contributivo, ma anche perché con l’adeguamento automatico dei requisiti minimi di pensionamento in funzione della speranza di vita l’addio al lavoro viene posticipato sempre più. Quindi sistema contributivo e innalzamento dell’età pensionabile permettono allo Stato di rendere sostenibile la spesa pensionistica. Come ricorda anche l’ultimo rapporto sulle tendenze di medio lungo periodo del sistema pensionistico e socio sanitario del Mef. Nel commentare il grafico che stima l’evoluzione del rapporto tra spesa pensionistica e pil si spiega come la flessione iniziale e` largamente spiegata dall’aumento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento e dall’applicazione, pro rata, del sistema di calcolo contributivo. La successiva fase di crescita, evidenziata nella parte centrale del periodo di previsione, e` dovuta, invece, all’incremento del rapporto fra numero di pensioni e numero di occupati indotto dalla transizione demografica, solo in parte compensato dall’innalzamento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento. Tale incremento sopravanza l’effetto di contenimento degli importi pensionistici esercitato dalla graduale applicazione del sistema di calcolo contributivo sull’intera vita lavorativa. La rapida riduzione del rapporto fra spesa pensionistica e pil, nella fase finale del periodo di previsione, e` determinata proprio dall’applicazione generalizzata del calcolo contributivo che si accompagna alla stabilizzazione, e successiva inversione di tendenza, del rapporto fra numero di pensioni e numero di occupati. «Tale andamento si spiega sia con la progressiva eliminazione delle generazioni del baby boom sia con l’adeguamento automatico dei requisiti minimi di pensionamento in funzione della speranza di vita», si legge nel rapporto.

Non solo. Andare in pensione più tardi vuol dire anche versare più contributi e quindi garantirsi un tasso di sostituzione più alto. Ma se questo è vero per chi può contare su una carriera lavorativa lineare e senza interruzioni, per chi invece ha periodi di buchi contributivi il meccanismo vigente prevede un ulteriore rinvio che rende la pensione quasi un miraggio. Da qui l’ipotesi di modificare le regole previste dalla riforma Fornero per andare incontro a chi ha iniziato a lavorare dopo il 1995 e non sarà riuscito a maturare l’importo minimo per accedere alla pensione normale. Se sarà introdotta questa modifica, coloro che hanno cominciato a lavorare dopo il 1995 e quindi ricadono interamente nel sistema contributivo potranno accedere alla pensione normale (oggi 66 anni e 7 mesi, che saliranno in base alla speranza di vita) se oltre ad avere 20 anni di contributi avranno maturato un importo della pensione pari ad almeno 1,2 volte l’assegno sociale (cioè circa 537 euro attuali), mentre le regole della riforma Fornero fissano la soglia a 1,5 volte.

Questo significa che un numero maggiore di persone con carriere lavorative povere o discontinue potranno accedere alla pensione normale, senza dover aspettare altri quattro anni (oggi la soglia è fissata a 70 anni e 7 mesi, ma salirà anche questa) per prendere la pensione posticipata che spetta, con un minimo di 5 anni di contributi, a coloro appunto che non maturano l’importo minimo per la pensione normale. Inoltre, coloro che non hanno altri redditi, potranno cumulare questa pensione con parte dell’assegno sociale perché la pensione conterà non più per due terzi ai fini dei requisiti di reddito per accedere all’assegno stesso ma il 50%. Secondo i calcoli del governo, i 537 euro della pensione potranno così salire intorno ai 650 euro al mese.

Si tratterebbe di un passo in avanti nel dare maggiore flessibilità al sistema, ma di fatto resta il nodo che la società che invecchia ci accompagnerà in un’era del risparmio, che darà sempre maggiore importanza alle società che aiutano le persone a pianificare, investire e risparmiare per la pensione. Avere accumulato un proprio tesoretto sarà la chiave per integrare l’assegno finale, ma anche per permettersi la possibilità di lasciare prima il lavoro in attesa dell’età giusta per la pensione. E la materia prima per ottenere questo obiettivo in Italia non manca.

Gli italiani da sempre sono un popolo di risparmiatori. In base ai dati Abi gli attivi delle famiglie italiane si attestavano a 4.000 miliardi nel secondo trimestre 2016, di questi il 32% è investito in cash e depositi, 10% in bond (di cui 3% è rappresentato da emissioni di banche italiane), 20% in azioni, 11% in fondi comuni e un 21% tra polizze Vita e fondi pensione. La quota importante ricoperta dalle azioni non è dovuta a un’alta propensione al rischio degli italiani, ma al fatto che molte famiglie hanno investito nella loro azienda. La quota destinata a fondi pensione e polizze è cresciuta rispetto al passato (nel 2014 rappresentavano il 19%, contro il 21% di oggi), ma il confronto con gli altri Paesi europei mostra come ci sia margine di crescita per il business delle polizze vita e dei fondi pensione.

Il confronto con quanto accade nel resto d’Europa indica questa direzione. In Francia a fine 2015 la ricchezza delle famiglie si attestava a 4.869 miliardi, di cui il 28% investito in depositi, l’1% in corporate bond, il 21% in azioni, il 7% in fondi e il 34% in fondi pensione e polizze vita. In Germania sempre a fine 2015 la ricchezza era pari a 5.482 miliardi, di cui 39% in depositi, 3% in corporate bond, 10% in azioni, 10% in fondi comuni e il 31% in fondi pensione e polizze Vita. Si può notare come il differenziale per i prodotti destinati al welfare sia ancora molto ampio e offra una grande opportunità per l’industria in Italia.

Allungare l’orizzonte temporale può anche permettere di puntare su grandi trend che caratterizzeranno i prossimi 30-40 anni anche perché diversificare il proprio portafoglio, puntando su temi secolari può essere una strategia per non farsi guidare dall’emotività. Il Il mondo sta cambiando rapidamente e i temi da individuare, come illustrato a pagina 9, non mancano, dalla robotica, alle sfide demografiche, dalla sicurezza allo sviluppo delle energie rinnovabili. E iniziano a esserci sempre più fondi specializzati ed Etf che cavalcano questi grandi trend. Infine ci sono fondi, polizze, pac e prodotti postali dedicati espressamente ai giovani (vedere servizio alle pagine 10 e 11). Senza trascurare l’opportunità dei Pir.
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