È il premio a guidare l’esenzione
di Valerio Stroppa

In caso di liquidazione del capitale per morte dell’assicurato, anche le polizze con prestazioni ricorrenti seguono le regole generali. L’esenzione Irpef a favore dei beneficiari opera solo sulla parte legata al rischio demografico, ossia alla copertura vera e propria dalla possibilità di decesso.

I rendimenti finanziari, invece, devono essere tassati. E per distinguere le due componenti la compagnia assicurativa, chiamata a operare la ritenuta, deve seguire un preciso criterio: se il premio unico iniziale versato dall’assicurato è «divisibile» tra rischio demografico e investimento finanziario l’esenzione va riconosciuta pro-quota. Viceversa, qualora non sia possibile attribuire il premio a ciascuna delle due voci, il reddito imponibile va calcolato con il metodo proporzionale già illustrato con la circolare n. 8/E del 2016, cioè replicando il peso delle due componenti sul valore della prestazione finale. È quanto chiarisce l’Agenzia delle entrate con la risoluzione n. 76/E di ieri.

L’amministrazione finanziaria torna a occuparsi di fiscalità delle polizze vita, a seguito del quesito proposto da un’associazione di categoria del settore assicurativo. La legge n. 190/2014, infatti, ha modificato sensibilmente il trattamento fiscale dei capitali riscossi a seguito di morte dell’assicurato, in forza di contratti di assicurazione sulla vita a contenuto finanziario (polizze miste).

Fino al 31 dicembre 2014 le somme liquidate ai beneficiari del de cuius erano versate dalle compagnie in esenzione totale di imposta. Anche se parte di tali importi erano rivenienti da rendimenti finanziari attribuiti annualmente al contratto. Dal 1° gennaio 2015, invece, l’esenzione opera solo sulla parte di capitale legata al rischio demografico. Ossia quella pagata alla compagnia a fronte di uno specifico premio (che, in caso di mancato decesso nel periodo di validità del contratto, viene acquisito definitivamente dall’impresa e non incrementa il valore di riscatto). Quando è possibile suddividere i premi, la differenza tra il valore di riscatto che sarebbe stato riconosciuto all’assicurato in caso di vita e l’ammontare dei premi pagati (al netto di quelli corrisposti per la copertura del rischio morte) viene perciò assoggettata a Irpef come reddito di capitale.

Il quesito affrontato ieri riguardava le polizze sulla vita con prestazioni ricorrenti. Secondo l’associazione, il criterio di attribuzione proporzionale del reddito tra prestazione caso vita (comprensiva delle cedole) e prestazione caso morte avrebbe dovuto trovare applicazione solo per quei contratti nei quali la componente finanziaria e quella demografica non fossero state distinguibili. A parere dell’Agenzia, il meccanismo dell’attribuzione proporzionale dei premi soccombe sempre di fronte all’ipotesi in cui è «quantificabile, sulla base di dati certi, la ripartizione dei premi fra le due componenti della prestazione erogata in relazione al caso morte». Non rileva il fatto che il contratto preveda cedole periodiche.

Se pertanto le compagnie assicurative possiedono le informazioni per imputare i premi a ciascuna delle due componenti (demografica e finanziaria) «devono utilizzarli nella determinazione del reddito imponibile». Diversamente, dovranno applicare il criterio proporzionale, in linea con le istruzioni fornite nella circolare n. 8/2016. Stesse considerazioni, chiosano le Entrate, valide peraltro per il caso di polizze vita senza prestazioni ricorrenti qualora non sia possibile, sulla base di dati certi, la ripartizione analitica dei premi versati.

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