Le responsabilità penali del collegio sindacale

di a cura di Luciano De Angelis e Christina Feriozzi

1) PREMESSA

Negli ultimi mesi numerose sentenze della Cassazione hanno riguardato membri del collegio sindacale coinvolti in concorso di reati con gli amministratori di società.

In via teorica tale coinvolgimento può spaziare in molteplici ambiti che vanno dai reati societari, in cui i sindaci sono direttamente richiamati, qualificati come «reati propri» (false comunicazioni sociali, ostacolo all’esercizio delle funzioni dell’autorità pubbliche di vigilanza, corruzione fra privati, rivelazione di segreto professionale), a quelli in cui i sindaci possono concorrere (indebita restituzione dei conferimenti, illegale ripartizione degli utili e delle riserve, illecite operazioni sulle azioni o quote sociali, operazioni in pregiudizio dei creditori, formazione fittizia del capitale, infedeltà patrimoniale, illecita influenza sull’assemblea, aggiotaggio).

Essi possono, poi, essere chiamati in causa anche per concorso in reati comuni, come la truffa, il riciclaggio, nonché i reati di carattere tributario.

Nonostante tale ampio spettro dei reati in cui i sindaci (o il sindaco unico) possono essere coinvolti, l’esperienza giurisprudenziale degli ultimi anni dimostra inequivocabilmente che i maggiori rischi penali per i sindaci vanno a determinarsi nell’ambito dei reati fallimentari.

In particolare, le ipotesi più rilevanti, per i componenti dell’organo di controllo (o il sindaco unico) sono, quelle della bancarotta fraudolenta per distrazione (art. 216 comma 1, n. 1 L. fall.) e della bancarotta preferenziale (art. 216, comma 3, L. fall.).

2) Ipotesi di coin–vol–gimento dei membri del collegio sindacale

A livello penale i membri del collegio sindacale o il sindaco unico, sono chiamati in causa sia nei cd. reati propri, che cioè possono essere commessi soltanto da soggetti che rivestono deter–mi–nate qua–lifiche sia in reati comuni, che vedono i sindaci coinvolti, a titolo di concorso in illeciti commessi da altri soggetti. Tali soggetti attivi di reato, sono gli amministratori, direttori generali, dirigenti preposti alla redazione dei docu–men–ti contabili e societari e liquidatori. Nella prassi operativa, i reati ascrivibili ai controllori ben ra–ra–mente possono prescindere da quelli degli altri soggetti. Nella realtà dunque i sindaci sono chiamati a rispondere a ti–tolo di concorso, secondo la regola generale di cui all’art. 110 c.p. nei reati propri degli al–tri soggetti qualificati nell’ambito della società; concorso che, come già accennato in premessa può riguardare anche reati comuni commessi, ad esempio, dagli amministratori nell’eser–cizio dell’impresa (co–me il delitto di cui all’art. 640-bis «Truffa aggravata per il con–seguimento di eroga–zioni pubbliche» si veda a riguardo Cass. pen. 18/1/2006 n. 7205 che ha chiamato in causa i membri del collegio sindacale in un concorso in peculato).

La responsabilità penale concorsuale dei sindaci può derivare, da un lato, da un ac––cordo criminoso (generalmente) con gli amministratori per commettere un deter–mi–nato reato di natura dolosa, oppure da un comportamento omissivo, nel mancato a–dempimento nella funzione istituzionale di controllo sull’amministra–zio–ne, ex art. 2403 c.c.

Mentre nel primo caso non si rinvengono particolari problematicità sull’evi–den–te corresponsabilità dell’organo di controllo, la seconda potenziale ipotesi cri–minosa ri–sulta molto più articolata e non agevole da provare. La fonte della re–sponsabilità con––––corsuale del sindaco può ravvisarsi, in questa seconda ipotesi di reato, nella pre–visione dell’art. 40 cpv. c.p., ai sensi del quale «non im–pedire un evento che si ha l’ob–bligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo».

È opportuno evidenziare che, secondo le comuni regole sul «concorso di per–sone nel reato» di cui all’art. 110 c.p., la compartecipazione nel reato può rea–liz–zarsi sot–to forma sia di concorso materiale che di concorso morale mediante deter–mi–na–zione, istigazione o rafforzamento dell’altrui proposito criminoso.

Nel caso in cui l’omesso controllo del sindaco sia colposo, cioè, dovuto a negli–genza, imperizia o inosservanza di leggi (ad esempio, degli artt. 2403 e 2408 c.c.), re–golamenti, ordini o discipline (fra cui, ad esempio, le norme di comportamento del Collegio sindacale), è configurabile una responsabilità concorsuale nei soli ca–si di reati contravvenzionali o di delitti colposi commessi dagli amministratori (tut–tavia, l’unica ipotesi di delitto colposo ipotizzabile è quella di bancarotta sem–plice documentale di cui all’art. 217, comma 2 L. fall.).

La cooperazione colposa dei sindaci in un delitto degli amministratori punibile esclusivamente a titolo di dolo è, invece, da escludere, in quanto non è confi–gu–rabile, nel nostro ordinamento, il concorso colposo in un delitto doloso.

Ne deriva, nei fatti, che il coinvolgimento dei membri del collegio sindacale nei reati degli amministratori non possa prescindere dall’intenzionalità, cioè dal dolo (sia esso specifico che come si vedrà anche eventuale) da comprovarsi in capo ai singoli membri dell’organo di controllo.

Pertanto, prendendo ad esempio, il caso di un amministratore che commetta il de–litto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture false a fini di evasio–ne fiscale, di cui all’art. 2 del dlgs 74/2000, non è configurabile alcuna respon–sa–bilità concorsuale dei sindaci per omesso impedimento di tale reato – salvo, ov–via–mente, che vi sia stato un accordo criminoso tra amministratore e sindaci – per–ché il reato stesso è di natura dolosa.

3) Il Nuovo reato di false comunicazioni sociali

La legge 27/5/2015 n. 69, in vigore dl 14/6/2015 ha riformulato in maniera sostanziale le disposizioni in tema di false comunicazioni sociali che, fra l’altro disciplina il reato più rilevante in ambito societario vale a dire il fal–so in bilancio. Il reato rimane contemplato nell’ambito del nuovo art. 2621 c.c., la cui rubrica è rimasta immutata. Vi si legge: «Fuori dai casi previsti dall’articolo 2622, gli am–mi–nistratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei docu–men–ti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, i quali, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comu–ni–cazioni sociali dirette ai soci o al pubblico, previste dalla legge, consapevolmente espongono fatti materiali rilevanti non ri–spondenti al vero ovvero omettono fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione eco–no–mica, patrimoniale o finanziaria della società o del grup–po al quale la stessa appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore, so–no puniti con la pena della reclusione da uno a cinque anni.

La stessa pena si applica anche se le falsità o le omissioni riguardano beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi».

Le innovazioni più significative sono rappresentate dalla configurazione come delitto di tutte le ipotesi di false comunicazioni sociali, con conseguente inaspri–men–to del trattamento sanzionatorio, dall’eliminazione delle soglie di non punibi–lità e dalla trasformazione del falso in bilancio di società quotate da reato di dan–no a semplice reato di pericolo e, in entrambe le fattispecie, il reato è perseguibile d’uf–ficio.

In relazione alle espresse previsioni dell’art. 2621 c.c. può costituire omissione di fatti materiali la cui comunicazione è imposta dalla legge la mancata indi–ca–zio–ne di taluna delle voci espressamente previste per la redazione del bilancio e nelle altre relazioni previste dalla legge (nel Conto economico, Stato patrimoniale, Nota integrativa, relazione sulla gestione e relazione dei sindaci/revisori).

Non è invece più penalmente rilevante l’omissione delle «informazioni comple–men–tari» richieste dall’art. 2423, comma 3 c.c., dato che la tipologia di condotta omis–si–va incriminata consiste esclusivamente nell’omettere «fatti materiali rilevanti», con conseguente esclusione dall’ambito applicativo delle norme incriminatrici delle informazioni.

Da tenere inoltre presente che nell’attuale formulazione della norma incrimi–na–trice, rilevando ai fini penali soltanto le «comunicazioni sociali dirette ai soci o al pub–blico, previste dalla legge», l’area delle omissioni incriminabili è alquanto ridotta.

Sono, infatti, pacificamente escluse dall’ambito di applicabilità delle norme in–cri–minatrici in oggetto le comunicazioni interorganiche, intraorganiche e quelle di–rette ad un unico destinatario, privato o pubblico. Per cui è da ritenersi che la richiesta di informazioni da parte del socio, alla quale non sia correlato uno spe–cifico obbligo positivo di informazione a carico degli amministratori, non possa dar luogo, in caso di inottemperanza, ad un’ipotesi di false comunicazioni sociali per omissione. Altresì non passibili di reato ai sensi dell’art. 2621, risultano le eventuali false informazioni di bilancio eventualmente prodotte dagli amministratori agli istituti di credito.

La pena prevista per l’ipotesi di «false comunicazioni sociali» di cui all’art. 2621 c.c. è la reclusione da uno a cinque anni. Inoltre, come per ogni reato societario, in caso di condanna, o anche di applicazione della pena su richiesta delle parti, è di–sposta la confisca del pro–dotto o del profitto del reato e dei beni utilizzati per com–metterlo (art. 2641 c.c.). Qua–lora, tuttavia, non fosse possibile l’individuazio–ne o l’apprensione dei beni, la confisca dovrà avere per oggetto una somma di de–naro o beni di valore equivalente.

A fronte della scomparsa delle soglie minime di punibilità è stata, pre–vista nell’art. 2621-bis, comma 1 c.c. un’ipotesi attenuata per i «fatti di lieve entità» con ri–duzione della pena edittale da sei mesi a tre anni di reclusione. La stessa pena è applicabile anche nei confronti delle società non fallibili, ai sensi del medesimo art. 2621-bis, comma 2.

È stata altresì riconosciuta, a norma dell’art. 2621-ter c.c., l’estensione al reato in questione della «non punibilità per particolare tenuità del fatto», recentemente intro–dotta nell’ordinamento dal nuovo art. 131-bis c.p.

La condotta illecita del reato di false comunicazioni sociali di cui all’art. 2621 c.c., concernente le società non quotate, è articolata in due diverse tipologie, com–missiva ed omissiva:

la prima consiste nell’esporre consapevolmente, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico, previste dalla legge, fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero;

la seconda nell’omettere fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è im–posta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria del–la società o del gruppo al quale la stessa appartiene.

La condotta, inoltre, deve essere concretamente idonea ad indurre altri in er–rore. L’elemento psicologico, identico in tutte le fattispecie, è il dolo specifico rap–pre–sentato dal fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, mentre è ve–nuto meno qualsiasi riferimento al dolo intenzionale di ingannare i soci o il pubblico contemplato dalla normativa previgente.

Dopo alcuni orientamenti ondivaghi, peraltro (Cass. pen. 30/7/2015 n. 33774; Cass. pen. 12/1/2016 n. 890; Cass. pen. 22/2/2016 n. 6916), in merito alla rilevanza o meno a livello penale delle false valutazioni, dubbio sollevato in relazione all’espunzione nel nuovo dettato normativo dopo il richiamo ai fatti rilevanti della locuzione «an–corchè oggetto di valutazioni», espressamente contemplata nella vecchia norma di cui al dlgs n. 61/2002), sono intervenute recentemente le Sezioni unite (Cass. Ss.uu. del 27 maggio 2016, n. 22474). Esse, attraverso una sentenza destinata a condizionare incisivamente le future pronunce sul tema, hanno disposto che «Sussiste il delitto di false comunicazioni sociali, con riguardo alla esposizione o alla omissione di fatti oggetto di «valutazione», se in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, l’agente da tali criteri si discosti consapevolmente e senza darne adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni».

Ai sensi dell’art. 157 c.p., il termine di prescrizione per le false comunicazioni sociali di società non quotate è di 6 anni, prolungabile in presenza delle cause interruttive di cui agli artt. 160 e 161 c.p., a 7 anni e 6 mesi, mentre per il reato di false comunicazioni sociali di società quotate è di 8 anni, prolungabile a 10 anni in caso di interruzione.

Infine, con la legge di riforma sono state aumentate le sanzioni pecuniarie am–ministrative a carico degli enti in relazione alla commissione dei reati societari già previste dall’art. 25-ter del dlgs 231/2001. Oltre alle pene detentive per chi com–mette il reato (o per chi concorre in esso), le false comunicazioni sociali configu–rano una responsabilità per l’illecito amministrativo dipendente da reato. In pra–tica, paga la società (pecuniariamente) per gli illeciti posti in essere dai suoi ver–tici. La sanzione comminabile all’ente, in questi casi, è legata all’art. 25-ter lett. a) del dlgs 231/2001, cioè al meccanismo delle quote, il cui valore è parametrato al–la gravità del reato ed alle condizioni economiche e patrimoniali dell’ente.

4) Il ruolo dei sindaci nelle false comunicazioni sociali

In relazione alle disposizioni di cui all’art. 2429, comma 2 c.c. il Collegio sindacale « deve riferire all’assemblea sui risultati dell’esercizio sociale e sull’attività svolta nell’adempimento dei propri doveri e fare le osservazioni e le proposte in ordine al bilancio e alla sua appro–vazione [ ]».

Nel caso in cui ai sindaci sia delegata anche la revisione legale dei conti, ai sen–si dell’art. 14, comma 1, lett. b) del dlgs 39/2010, gli stessi «verificano nel corso dell’eser–cizio la regolare tenuta della contabilità sociale e la corretta rilevazione dei fatti di gestione nelle scritture contabili» e, ai sensi della lett. a) dello stesso comma, «esprimono con apposita relazione un giudizio sul bilancio di esercizio e sul bilancio consolidato se re–datto».

Per i primi il rischio di essere coinvolti nelle false comunicazioni sociali do–vrebbe risultare invero minimale, essendo nominato un diverso soggetto, cioè il re–visore esterno o la società di revisione, delegato ai controlli contabili e di bilan–cio. Diversa risulta, invece, la situazione in cui il controllo legale dei conti venga delegato allo stesso organo sindacale. Tale differenziazione di ruoli, che non può non riverberarsi anche sulle possibili implicazioni in tema di falso in bilancio, ri–sulta lapalissiana anche nelle norme di comportamento, ove viene ribadita la so–stanziale estraneità dei sindaci circa i controlli contabili in presenza di un re–visore (si veda norma 7.1., rubricata «Struttura e contenuto della relazione dei sindaci»), In altri termini, i sindaci con funzioni di revisione legale rivestono, in relazione al bilancio, un ruolo che va ben oltre il mero controllo formale, in quanto gli stessi non devono soltanto verificare la rispondenza del bilancio alle risultanze contabili e l’osservanza dei criteri di valutazione prescritti ma, nella relazione al bilancio di cui al citato art. 2429 c.c., devono altresì fornire un giudizio che involge anche il merito dell’operato degli amministratori, nonché formulare «osser–va–zioni» e «proposte» in ordine al bilancio e alla sua approvazione.

È in virtù di quanto sopra che i sindaci sono considerati dal legislatore autonomi soggetti attivi del reato e, quindi, possibili autori dello stesso, senza che sia necessario ricorrere a una forma di responsabilità penale in concorso con gli am–ministratori per omesso controllo fondata sull’obbligo giuridico di impedire l’evento ex art. 40 cpv. c.p.». Nel caso di sindaco-revisore, a cui sostanzialmente si riferiscono una serie di sen–tenze della Suprema corte, anteriormente al dlgs n. 61/2002, si era af–fermato in giurisprudenza il principio secondo il quale il sindaco non è un extraneus che risponde del reato, solo even–tualmente in concorso con gli amministratori, per il fatto altrui ex art. 40 cpv. c.p., ma anche per il fatto proprio, consistente nell’ aver approvato, in sostanza, la falsa relazione, per averla condivisa, consapevole che non corrisponde al vero (Cass. pen. 19/3/99 n. 3685; conf. Cass. pen, 21/10/99 n. 12018). Sempre in riferimento alla giurisprudenza ante riforma la Cassazione ebbe ad affermare che «un atteggiamento gravemente omissivo e ripetuto nel tempo non può non integrare a carico del sindaco gli estremi di un consapevole contributo causale alla for–mazione e al deposito di bilanci falsi» posto che «l’accettazione della carica di sindaco di una società comporta che si ponga particolare attenzione a quanto avviene nella gestio–ne sociale e non certo che si disinteressi totalmente dei necessari controlli sull’operato del–l’amministratore, ripetutamente facendo ricorso a vuote formule di stile circa la regolarità nella gestione» (Cass. pen. 19/6/2000).

Con la riforma delle false comunicazioni sociali di cui dal dlgs 61/2002, nel corso del 21° secolo il coinvolgimento dei sindaci nel reato di falso in bi–lancio, nel caso in cui la società non sia fallita, risulta nella prassi giudiziaria estremamente raro, essendo richiesta in primo luogo una falsificazione «rilevante» della rappresentazione economica e patrimoniale della società e d’altro canto la sua piena consapevolezza che lo stesso contenga dati palesemente inattendibili e men–daci. In tal senso anche un recentissimo orientamento della suprema Corte secondo la quale «la condotta degli ammini–stratori, dei direttori generali, dei dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, dei sindaci e dei liquidatori descritta all’art. 2621 c.c. non è punibile nel caso in cui le falsità o le omissioni non alterino in modo rilevante la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene» (Cass. pen. 16/9/2015 n. 37570 ).

In merito alla necessità della consapevolezza dei sindaci per il riconoscimento della loro responsabilità penale si è espresso di recente il Trib. di Torino (sentenza n. 1801 del 26/1/2015) che in merito alla non corretta valutazione delle riserve tecniche di una compagnia di assicurazione ritenute corrette dall’attuario della società e da quello della società di revisione ha ritenuto che mancasse la «prova del–la sussistenza di quei segnali d’allarme che sola, avrebbe potuto fondare la valutazione dell’illiceità penale dell’omissione (dolosa) ascrivibile ai sindaci».

Va da sè, che con la riforma del reato di false comunicazioni sociali di cui alla legge 27/5/2015 n. 69, anche la giurisprudenza potrebbe assumere un atteggiamento più rigorista nei confronti dei comprendenti dell’organo di controllo, soprattutto nei casi dei sindaci revisori. Purtuttavia, anche alla luce delle nuove disposizioni una falsificazione «rilevante» della rappresentazione economica e patrimoniale della società e la piena consapevolezza (cioè del dolo) in capo ai componenti l’organo di controllo, che il bilancio contenga dati palesemente inattendibili e men–daci, appaiono elementi ancora incontrovertibili ai fini della possibile incriminazione dei sindaci per il reato in commento.

I reati propri dei sindaci secondo il codiceFalse comunicazioni socialiArt. 2621 c.c.False comunicazioni sociali delle società quotateArt. 2622 c.c.Corruzioni fra privatiArt. 2635 c.c.Ostacolo all’esercizio delle fun–zioni delle autorità pubbliche di vigilanzaArt. 2638 c.c.Rivelazione di segreto profes–sio–naleArt. 622 c.p.

5. Altri illeciti penalmente rilevanti

a) Impedito controllo

Ai sensi dell’art. 2625, commi 1 e 2 c.c.: «Gli amministratori che, occultando docu–menti o con altri idonei artifici, impediscono o comunque ostacolano lo svolgimento delle attività di controllo legalmente attribu–ite ai soci, ad altri organi sociali o alle società di revisione, sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria fino a 10.329 euro.

Se la condotta ha cagionato un danno ai soci, si applica la reclusione fino ad un anno e si procede a querela della persona offesa».

La norma è posta a tutela di tutti gli organi sociali dediti alla vigilanza che vanno dal Collegio sindacale al Comitato di controllo, dal Consiglio di sorveglianza al socio, nonché al revisore esterno ed è finalizzata a far sì che gli amministratori adottino un atteggiamento collabora–tivo e non ostativo nei confronti degli organi di controllo.

L’illecito si perfeziona anche nel sempli–ce osta–colo all’attività di controllo attraverso l’occultamento documen–tale.

Le sanzioni vengono graduate in relazione al danno patrimoniale che dalla condotta può perpetrarsi. Se a seguito dell’im–pedito controllo, infatti, si crea un danno ai soci, gli amministratori ri–schiano la reclusione fino ad 1 anno a querela della persona offesa (ad esempio, i membri del Collegio sindacale) men–tre, in assenza di danno, sugli amministratori potrà essere comminata una sanzio–ne amministra–tiva (fino a 10.329,00 euro).

In re–lazione all’art. 2625 c.c. (che anteriormente alla riforma dei reati societari era pe–raltro rubricato art. 2623 e disciplinava l’impedimento da parte degli ammini–stra–tori del controllo della gestione sociale da parte dei sindaci) la Cassazione è intervenuta alla fine degli anni 90 disponendo che «Il de–litto previsto dall’art. 2623, n. 3, del c.c. è con–figurabile quale reato proprio a forma libera, sia nell’impedimento posto in essere di–rettamen–te nei confronti del Collegio sindacale, nella sua totalità, sia nell’azione impe–di–tiva dell’attività del singolo soggetto, che, in quanto preparatoria e strumentale rispetto a quella del Collegio, è idonea, per contenuto, se non per destinazione, a incidere e, in de–fi–nitiva, a impedire il control–lo collegiale della gestione sociale» (Cass. pen. 7/9/99 n. 10517). L’impedito controllo è un reato tipicamente doloso che richiede la vo–lontarietà e la consapevolezza di osta–colare lo svolgimento delle attività di controllo o revisione da parte dei sog–getti ad esse autorizzati.

b) ostacolo all’esercizio di pubbliche funzioni di autorità pubbliche di vigilanza

Dall’impedito controllo va distinto il reato si ostacolo all’esercizio di pubbliche funzioni di autorità pubbliche di vigilanza di cui all’art. ricordare, infine, che l’art. 2638 c.c. L’articolo di cui si tratta punisce direttamente (con la commi–na–zione della reclusione da 1 a 4 anni) anche i sindaci di società o enti «sottoposti per legge alle autorità pubbliche di vigilanza, o tenuti ad obblighi nei loro confronti, i quali nelle comunicazioni alle predette autorità previste in base alla legge, al fine di ostacolare, espongono fatti materiali non rispondenti al vero, ancorché oggetto di valutazioni, sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria dei sottoposti a vigilanza ovvero, allo stesso fine occultano con altri mezzi fraudolenti, in tutto o in parte fatti che avrebbero do–vuto comunicare, concernenti al situazione medesima». Si tratta di un reato «proprio» dei sindaci che può essere sia di tipo commissivo che omissivo. Le autorità a cui la norma fa riferimento sono la Consob, Banca d’Italia, l’Ivass, la Covip, l’au–torità garante della concorrenza e del mercato, l’Autorità per la garanzia nelle comu–nicazioni, il Garante per la protezione dei dati personali, e l’Uif.

c) Corruzione di amministratori e sindaci

Secondo l’art. 2635, comma 1 c.c. «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, gli am–ministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci, e i liquidatori, che, a seguito della dazione o della promessa di denaro o altra utilità, per sé o per altri, compiono od omettono atti, in violazione degli ob–blighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, cagionando nocumento alla società, sono puniti, con la reclusione da uno a tre anni».

Tale tipo di illecito si identifica in una forma di corruzione privata che prevede la punizione del corruttore e del corrotto; ne consegue che sono destinatari della previsione penale sia i soggetti che partecipano attiva–mente al reato, promettendo o dando una remunerazione per l’atto con–trario ai doveri dell’ufficio, sia i desti–natari della stessa dazione.

La condotta può essere, dunque, sia commissiva che omissiva e consi–ste nel compiere od omettere atti in violazione degli obblighi inerenti al proprio ufficio ed è correlata con la dazione o la promessa di denaro o una qualsiasi cosa (altra utilità). È richiesto il dolo nella forma ordinaria nonché il verificarsi di un danno (anche indiretto es. perdita di prestigio) prodotto alla società.

La pena prevista, sia per il cor–rotto che per il corruttore, è quella della reclusione da 1 a 3 anni, e come per ogni reato societario , ai sensi dell’art. 2641 c.c., in caso di condanna o anche di appli–cazione della pena su richiesta delle parti è disposta la confisca del pro–dotto o del profitto del reato e dei beni utilizzati per commetterlo.

d) Notizie riservate

Si legge nell’art. 622 del codice penale «Chiunque, avendo notizia, per ragione del pro–prio stato o ufficio, o della propria professione o arte, di un segreto, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto può derivare no–cumento, con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 30 a euro 516.

La pena è aggravata se il fatto è commesso da amministratori, direttori generali, diri–genti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, sindaci o liquidatori o se è commesso da chi svolge la revisione contabile della società.

Il delitto è punibile a querela della persona offesa».

Circa il si–gnificato da attribuire alla «notizia sociale ri–ser–vata», non appare dubbio che essa debba essere intesa in senso ampio, in quan–to può essere riferita non solo ad un fatto, ma anche a un documento che even–tualmente incorpori accadimenti, scoperte o nozioni di qual–siasi genere destinate a rimanere segrete e cioè a non essere cono–sciute al di fuori dell’ambito della so–cietà. Sono sanzionate anche le comunicazione a unico destinatario. Essendo di fronte ad una norma di carattere penale il presupposto del reato risiede nella volon–tà (art. 43 cp) di utilizzazione o comunicazione della notizia, con la coscienza della ri–ser–va–tezza della medesima e della possibilità di pregiudizio. La con–creta verifica del pregiudizio non è peraltro richiesta, trattandosi di un reato di pericolo che non esclude la configurazione del tentativo.

e) Altri illeciti commessi dagli amministratori

Il codice civile prevede poi tutta una serie di reati espressamente in capo agli amministratori, nei quali tuttavia il sindaco può essere coinvolto a titolo concorsuale (ex artt. 40 e 110 c.p.). Quanto sopra in relazione al fatto che l’organo sindacale è destinatario dell’obbligo giuridico del con––trollo e vigilanza sancito dall’art. 2403 c.c., e si trova in una posizione di garan–zia finalizzata all’impedimento di azioni illecite da parte degli am–ministratori nel–la gestione della società. Perché il sindaco possa, tutta–via, essere chiamato a ri–spondere per il mancato adempimento al dovere di vigilanza e controllo è sempre necessario dimostrare che l’omissione sia frutto di un accordo con gli ammini–stratori per la commissione del reato stesso e sia quindi configurabile in capo al sindaco il dolo.

Da un punto di vista operativo, i reati in discorso attengono:

l’art. 2626 c.c., in particolare, dispone circa la restituzione anche si–mu–lata dei conferimenti ai soci o alla loro indebita liberazione dal–l’obbligo di ese–guir–li. In questi casi, per gli amministratori è prevista la reclusione fino a 1 anno;

l’art. 2627 c.c. sancisce, invece, la punibilità degli amministratori che riparti–sco–no utili o acconti su utili non effettivamente conseguiti o desti–nati per legge a riserva ovvero che distribuiscono riserve anche non costituite (salvo che la restituzione o la ricostituzione delle riserve av–venga prima del termine previsto per l’approvazione del bilancio, nel qual caso si estingue il reato). Il reato prevede l’arresto fino a 1 anno;

l’art. 2628 c.c. punisce penalmente gli amministratori che, al di fuori dei casi con–sentiti dalla legge, acquistano o sottoscrivono azioni o quo–te sociali, cagio–nan–do una lesione all’integrità del capitale sociale o del–le riserve non distribuibili per legge. An–che in que–sto caso, il reato è punito con la reclusione fino a 1 anno, ma tale pena non si applica se il capitale sociale o le riserve sono ricostituiti prima del termine previsto per l’approvazione del bilancio relativo all’esercizio, in relazione al quale è stata posta in essere la condotta;

l’art. 2629 c.c., punisce gli amministratori che, in violazione delle dispo–sizioni di legge a tutela dei creditori, effettuano riduzioni del capitale sociale o fu–sioni con altra società o scissioni, cagionando dan–no ai creditori. La punibilità è a querela della persona offesa.

Le considerazioni di cui sopra sono da ritenersi valide anche ai fini dell’even–tuale implicazione penale dei sindaci negli altri illeciti eventualmente commessi dagli am–ministratori, che vanno dalla formazione fittizia del capitale (art. 2632 c.c.) all’indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori (art. 2633 c.c.), dall’infedeltà patrimoniale (art. 2634 c.c.), all’illecita influenza sull’assemblea al–l’ag–giotaggio (art. 2637 c.c.).

Si tratta di situazioni che nella realtà difficilmente possono coinvolgere i sin–daci (e la pressoché assenza di casistiche giurisprudenziali è testimonianza di ciò) poiché si dovrebbe dimostrare la loro esplicita volontà a concorrere nel reato, nel–le situazioni di specie; prova nella realtà operativa tutt’altro che agevole.

6. Responsabilità fallimentari

I reati di bancarotta

Per i membri del collegio sindacale (e per il sindaco unico) i maggiori rischi di carattere penale intervengono sicuramente nell’ambito del fallimento della società in cui essi sono nominati (o lo sono stati negli ultimi mesi ante procedura)

A riguardo gli articoli della legge fallimentare da prendere a riferi–mento sono il 223 (fatti di bancarotta fraudolenta) e 224 (fatti di bancarotta semplice) che prevedono in capo ai sindaci l’estensione delle responsabilità penali disposte dagli artt. 216 (bancarotta fraudolenta) e 217 (bancarotta semplice) per il fallito. In particolare, i componenti degli organi di controllo vengono compresi fra i soggetti attivi della bancarotta fraudo–lenta e semplice, prospettando a loro carico il reato di bancarotta «impropria». La bancarotta impropria è ipotesi distinta sia in ottica soggettiva rispetto alla bancarotta dell’imprenditore individuale (ban–ca–rotta propria), perché riguarda persone diverse dal fallito, che oggettiva poiché l’oggetto materiale del reato non sono i beni e i libri del fallito, ma i beni e i libri della società soggetta al controllo sindacale.

L’art. 223 L. fall. non si limita, inoltre, ad estendere ai soggetti qualificati in ambito so–cietario (amministratori, direttori generali liquidatori e sindaci) la punibilità per i reati di bancarotta fraudolenta previsti dall’art. 216 L. fall., ma ne estende la tipolo–gia, introducendo due ulteriori specifiche ipotesi di bancarotta fraudolenta (art. 223, comma 2) e cioè:

la bancarotta da reato societario, che sanziona le persone fisiche che hanno fatto parte degli organi della società dichiarata fallita che hanno cagionato o concorso a cagionare il dissesto della società mediante commissione di ta–luni fatti, integranti illeciti societari;

la causazione dolosa del fallimento della società, che concerne amministratori, direttori generali liquidatori e sindaci, i quali hanno cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose il fallimento della società.

L’art. 224 L.f. contempla, invece, la fattispecie di bancarotta semplice societaria, ope–rando un rinvio in merito alla pena applicabile all’art. 217 L. fall.

La bancarotta da reato societario, di cui al punto 1) è una delle maggiori fonti di responsabilità per i sindaci chiamati in causa, in alcune circostanze, post falli–mento, per il reato in commento. Va a riguardo ricordato che essa non costituisce una ipotesi aggravata del reato societario ma una fattispecie autonoma, che, nella pratica spesso si realizza in falsificazioni di bilancio finalizzate all’occultamento di perdite (Cass. pen. 13/10/2014 n. 42811).

Dei reati in commento, amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori possono essere chiamati a rispondere solo nei casi di società dichiarate fallite (artt. 223 e 224 L. fall.).

I rischi penali-fallimentari per il sindaco nella Legge fallimentareBancarotta fraudolenta impropria per distrazione(artt. 216 co. 1 n. 1 e 223 co. 1)Bancarotta fraudolenta impropria documentale(artt. 216 co. 1 n. 2 e 223 co. 1)Bancarotta fraudolenta preferenziale(artt. 216 co. 3 e 223 co. 1)Bancarotta fraudolenta da reato societario(art. 223 co. 2 n. 1)Bancarotta fraudolenta per causazione dolosa del fallimento della società(artt. 216 co. 2 n. 2 e 223 co. 1)Bancarotta semplice(artt. 217 e 224 co. 1 n. )Bancarotta semplice per cagionamento o aggravamento del dissesto(artt. 217 e 224 co. 1 n. 2)

a) La bancarotta fraudolenta

L’art. 223 L. fall. («Fatti di bancarotta fraudolenta») recita: «Si applicano le pene stabilite nell’articolo 216 […] ai sindaci […] di società dichiarate fallite, i quali hanno com–messo alcuni dei fatti preveduti nel suddetto articolo. Si applica alle persone suddette, la pe–na prevista dal primo comma dell’articolo 216, se:

hanno cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto della società commettendo al–cuno dei fatti previsti dagli articoli 2621, 2622, 2626, 2627, 2628, 2629, 2632, 2633 e 2634 del codice civile;

hanno cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose il falli–mento della so–cietà.

Si applica altresì in ogni caso la disposizione dell’ultimo comma del–l’articolo 216».

Si imbatte nel più grave dei reati fallimentari, cioè nel reato di bancarotta frau–dolenta, ai sensi dell’art. 216 L. fall., l’imprenditore che in caso di fallimento, con–cordato preventivo o amministrazione controllata, o durante tali procedure, ha:

distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni, ovvero allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività ine–sistenti;

sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, i libri e le altre scritture con–tabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movi–mento degli affari.

La stessa pena si applica all’imprenditore, dichiarato fallito, che, durante la procedura fal–limentare, commette alcuno dei fatti preveduti dal n. 1 del comma precedente ovvero sottrae, distrugge o falsifica i libri o le altre scritture contabili.

È punito con la reclusione da uno a cinque anni il fallito, che, prima o durante la pro–cedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione.

Salve le altre pene accessorie, di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la con–danna per uno dei fatti previsti nel presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa».

Va evidenziato, a riguardo, che in tutte le ipotesi di bancarotta fraudolenta l’ele–mento soggettivo del reato non può prescindere dal dolo e cioè dalla coscienza e volontà di commettere il fatto nella consapevolezza che il bene appartiene alla so–cietà.

b) Bancarotta per distrazione

È l’ipotesi più frequente di bancarotta patrimoniale (art. 216, comma 1, n. 1 L. fall.) e si verifica a seguito di due tipologie di comportamento:

– l’estromissione di un bene dal patrimonio dell’imprenditore (nel caso di specie della società) senza un’adeguata contropartita (vendite in nero, appropriazione indebita dei beni o de–nari della società ecc.);

– la destinazione di beni a scopi estranei all’impresa. Si tratta di ipotesi più va–riegate che vanno dalla concessione di prestiti senza idonee garanzie, alla stipulazione di un contratto di affitto di azienda, quando quest’ultimo (una delle ipotesi più frequenti di bancarotta) oltre che lasciare l’impresa dissestata nell’impossibilità di eser–citare alcuna attività, contenga clausole suscettibili di ostacolare gli or–ga–ni fallimentari nella liquidazione dell’attivo.

La bancarotta per distrazione è particolarmente rilevante per il Collegio sin–dacale poiché trattasi del reato in cui più frequentemente ricorre il concorso di persone. Il sindaco che nella sua attività di controllo prende atto dell’attività distrattiva degli amministratori ha il dovere di intervenire per impedirne la realizzazione o la prosecuzione.

Qualora esso a ciò non provveda, e si dimostri che non poteva non avere percezione dell’attività delittuosa, lo stesso rischia di essere chiamato in causa per concorso nel reato degli amministratori (Cass. pen. 13/12/2006, n. 17393)

c) Bancarotta documentale

In merito al reato di bancarotta documentale (art. 216, comma 1, n. 2 L. fall.) vanno distinte due ipotesi:

nei casi in cui si è «sottrat–to, distrutto o falsificato, in tutto o in parte [ ] i libri o le scritture contabili», è richiesto in capo all’ amministratore il dolo specifico consistente nello scopo «di procu–rare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori».

Nel–l’ipotesi nella quale, invece, i libri sono stati «tenuti in guisa da non rendere possibile la ri–costruzione del patrimonio o del movi–mento degli affari» (c.d. «tenuta caotica»), sarà suf–ficiente il dolo generico, rappresentato dalla consapevolezza degli ammini–stra–tori che la disordinata tenuta di contabilità possa ostacolare l’attività degli organi della procedura.

Circa la condotta incriminata, essa può realizzarsi in quattro forme:

sottrazione: si verifica quando le scritture contabili sono state occultate o trasferite in luogo diverso da quello ordinario di tenuta, sconosciuto agli or–gani fallimentari;

distruzione: è l’eliminazione fisica del supporto della scrittura sia esso cartaceo o informatico;

falsificazione: può essere materiale o ideologica. La materiale è attuata contraffacendo ex novo documenti o registri ovvero alterando le scritture già esistenti con aggiunte, scoloriture, cancellature, abrasioni, ecc.; quella ideologica mediante la predisposizione di documenti contabili contenenti dati non rispondenti al vero, idonei a fornire una falsa rappresentazione del–le situazione economica, patrimoniale e finanziaria dell’impresa;

tenuta caotica: è rappresentata dalla situazione in cui pur esistendo la conta–bilità, essa è stata tenuta talmente male da non rendere possibile la rico–stru–zione del patrimonio o del volume di affari dell’impresa.

d) Bancarotta preferenziale

Prevista dall’art. 216, comma 3 L. fall. si realizza quando prima o durante la pro–ce–dura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, l’amministratore esegue pagamenti o si–mula titoli di prelazione.

Trattasi di una ipotesi autonoma di reato rispetto alla bancarotta fraudolenta pa–trimoniale e documentale sia per la diversa pena prevista sia perché risponde, ri–spetto alle prime, alla diversa esigenza di tutelare il principio della «par condicio cre–ditorum» sancito dall’art. 2741 c.c., ai sensi del quale «i creditori hanno eguale di–ritto di essere soddisfatti sui beni del debitore, salve cause legittime di prelazione».

La condotta consiste nella esecuzione di pagamenti destinati a estinguere un de–bito scaduto liquido ed esigibile.

La casistica è assai variegata e va dalla indebita restituzione del finanziamento soci (ipotesi particolarmente rilevante per il Collegio sindacale) alle indebite compensazioni.

e) Bancarotta semplice

Ai sensi dell’art. 224 L.f.: «Si applicano le pene stabilite nell’art. 217 […] ai sindaci […] di società dichiarate fallite, i quali:

hanno commesso alcuno dei fatti preveduti nel suddetto articolo;

hanno concorso a cagionare od aggravare il dissesto della società con inosservanza degli obblighi ad essi imposti dalla legge».

Si tratta delle situazioni previste dall’art. 217 L. fall., ai sensi del quale: «È pu–ni–to con la reclusione da sei mesi a due anni, se è dichiarato fallito l’imprenditore che fuori dai casi [di bancarotta fraudolenta, n.d.a.]:

ha fatto spese personali o per la famiglia eccessive rispetto alla sua condizione e–conomica;

ha consumato una notevole parte del suo patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti;

ha compiuto operazioni di grande imprudenza per ritardare il falli–mento;

ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichia–razione del proprio fallimento o con altra grave colpa;

non ha soddisfatto le obbligazioni assunte in un precedente concor–dato preventivo o fallimentare.

La stessa pena si applica al fallito che, durante i tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento ovvero dall’inizio dell’impresa, se questa ha avuto una minore durata, non ha tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritti dalla legge o li ha tenuti in maniera irregolare o incompleta.

Salve le altre pene accessorie di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la con–danna importa l’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e l’incapacità ad eser–citare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a due anni».

Anche la bancarotta semplice, quindi si distingue in tre tipi e cioè quella patri–mo–niale, quella documentale e quella impropria, relativa alle società. Di norma, in questi casi, l’elemento soggettivo di riferimento (soprattutto nelle prime quattro ipo–tesi) può essere costituito sia dalla colpa che dal dolo (Cass. pen. 14/6/2004 n. 26647).

In merito a tale reato, le ipotesi rilevanti per i sindaci appaiono quelle dei punti 3 e 4 e cioè quelle di operazioni di grande imprudenza da parte dell’ammini–stra–tore per ritardare il dissesto e soprattutto l’aggravamento dello stesso per non aver chiesto il fallimento.

Una tipica ipotesi di aggravamento del dissesto, che potrebbe coinvolgere anche i membri del collegio sindacale, risiede nel mancato rispetto dell’obbligo di convocare l’assemblea dei soci in presenza di una ridu–zione del capi–tale sociale al di sotto del limite legale» (Cass. pen. 5/1/2006 n. 154).

Da rilevare che sia nella bancarotta fraudolenta che il quella semplice la legge fallimentare prevede circostanze aggravanti e attenuanti.

Circostanze aggravanti dei suddetti reati sono: aver cagionato un «danno patri–moniale di rilevante gravità» (art. 219, comma1); avere commesso «più fatti» tra quelli pre––visti dagli artt. 216 e 217 o aver esercitato una impresa commerciale che per di–vieto di legge non poteva essere esercitata (art. 219, comma 2). Le circostanze aggra–vanti comportano l’aumento della pena fino alla metà.

Circostanza attenuante, parimenti applicabile a tutte le fattispecie considerate, è invece l’aver cagionato un danno patrimoniale di speciale tenuità (art. 219, comma 3) In questo caso la pena è ridotta fino a un terzo.

7) Le Posizioni della Cassazione circa l’imputabilità dei reati fallimentari ai sindaci

Come si è anticipato i reati che con maggiore frequenza vedono coinvolti i membri del collegio sindacale sono quelli di tipo fallimentare. La prassi giudiziaria degli ultimi anni, infatti, in molteplici situazioni ha visto i sindaci chiamati a rispondere dei reati di bancarotta (più frequentemente di tipo fraudolento) in concorso con gli amministratori.
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