di Paola Valentini
La strada è tracciata, si tratta ora di vedere chi la percorrerà per prima. D’altra parte oggi, con i tassi ai minimi e la crescita economica che latita, due elementi che riducono i margini, anche nell’asset management occorre avere una certa dimensione per sopravvivere e essere redditizi. E’ questo, non a caso, il senso dell’operazione conclusa il 26 agosto da CheBanca (gruppo Mediobanca ) che ha rilevato un ramo d’azienda retail di Barclays Italia. Un’acquisizione che ha permesso alla banca guidata dall’ad Gianluca Sichel, che non ha escluso altre acquisizioni, di raddoppiare le proprie dimensioni e superare quota 20 miliardi di totale raccolta, oltre a raggiungere quota 800 mila clienti, avvicinando un big di settore come Finecobank , che di clienti ne ha oltre 1 milione. La banca del gruppo Unicredit ha però un patrimonio ben superiore, 47,7 miliardi a fine giugno, poco sopra gli asset di Banca Generali , pari a 43,5 miliardi (dati Assoreti). E si vocifera di un’unione proprio tra questi due gruppi. Si creerebbe un big nella gestione e raccolta del risparmio di quasi 100 miliardi. Un deal che, secondo alcuni analisti, avrebbe senso dal punto di vista strategico, anche se non manca chi è dubbioso. In ogni caso sul mercato circolano rumors che ipotizzano nozze tra queste due banche-reti, anche considerando il piano di cessioni a cui sta lavorando l’ad di Unicredit Jean-Pierre Mustier. Il quale, dopo aver realizzato a luglio un collocamento lampo del 10% di Fineco e della polacca Pekao, per la quale sarebbero in corso trattative per la cessione, ha sul tavolo anche il dossier Pioneer, la controllata del risparmio gestito con masse totali di 220 miliardi di euro di cui 124 miliardi riferiti al mercato italiano, un dato che la pone al terzo posto in Italia alle spalle del Gruppo Generali , che grazie alle gestioni assicurative, ha il primato con 402 miliardi di masse, e di Intesa Sanpaolo forte di 290 miliardi (dati Assogestioni a fine giugno). La banca guidata dal ceo Carlo Messina ha due poli di gestione del risparmio: Eurizon Capital con 227 miliardi e Fideuram con 62,8 miliardi.
Numeri che però sono modesti nel confronto internazionale. Ad esempio un big come Blackrock, primo per dimensioni a livello internazionale, ha un patrimonio gestito totale di oltre 4.350 miliardi di euro (al 30 giugno), mentre un altro colosso del calibro di Fidelity Investments ha masse globali per 1870 miliardi di euro. Tutti insieme i primi tre player italiani (Generali , Intesa Sanpaolo e Pioneer) arrivano alla metà di quanto ha Fidelity Investments. E se fino a pochi anni fa l’urgenza di avere una taglia extra large non era così impellente, oggi la situazione di mercato impone di pensare in grande.
E’ questo il motivo per cui le Poste stanno guardando Pioneer. le cui masse consentirebbero al gruppo guidato dall’ad Francesco Caio di fare il salto dimensionale nel business della gestione del risparmio. Dopo aver acquistato venerdì 16 settembre il 14,85% di Sia (piattaforme di pagamento) il gruppo è pronto a presentare un’offerta in cordata con Cdp e Anima (di cui detiene il 10%). «Il settore della digitalizzazione di pagamenti è uno degli assi portanti del gruppo, insieme ai servizi postali e logistici e all’attività assicurativa e di asset management», ha detto Caio dopo l’acquisizione della quota di Sia. Mentre la scadenza per la presentazione delle offerte per Pioneer è fissata per lunedì 19 settembre, poi ci sarà l’asta competitiva, dato che in corsa ci sarebbero anche Allianz , Banca Generali e Amundi. Nel risparmio gestito Poste oggi ha masse per 75 miliardi, con rilevanti potenzialità di ulteriore crescita della raccolta vista la capillare rete distributiva degli uffici postali che tra l’altro è in via di potenziamento proprio sul fronte della consulenza finanziaria. A partire da ottobre il gruppo lancerà una piattaforma di consulenza guidata e potenzierà il numero di angoli dedicati alla consulenza nei suoi 12.800 uffici postali, oltre a rinforzare la rete di promotori finanziari. L’obiettivo di Poste, come enunciato nel piano industriale presentato in occasione dell’ipo nell’ottobre 2015, è quello di raggiungere i 500 miliardi di raccolta diretta e indiretta entro il 2020, dai 488 del giugno 2016. Da ricordare che Poste ha un’alleanza con Anima che è diventata la sua fabbrica prodotto per i fondi dopo aver rilevato lo scorso anno una quota di minoranza. «Pensiamo anche che Poste non sia interessata a tutta Pioneer ma solo agli asset distribuiti in italia», affermano gli analisti di Equita, che sul titolo ha un prezzo obiettivo di 8,6 euro (a fronte di una quotazione attorno ai 6,2 euro) con raccomandazione buy. Pioneer infatti ha attività ramificate a livello mondiale a partire dagli Stati Uniti, dove ha sede il nucleo della società che era stata acquistata dall’ex ad Alessandro Profumo, che poi ne aveva utilizzato il marchio per ridenominare il polo di gestioni del gruppo Unicredit .
Se questa è la situazione dei big, tra le taglie più piccole a fare da apripista, anche questa volta come in altre occasioni è stata Kairos, che per avere spalle più grosse e crescere, tre anni fa si è alleata con il gruppo svizzero Julius Baer che ora ha intenzione di portarla in borsa. I soci fondatori hanno ceduto alla private bank svizzera il controllo della boutique, in due tranche. Nel 2013 Julius Baer aveva comprato il 19,9% del gruppo creato e guidato da Paolo Basilico e poi lo scorso aprile è salita all’80%, quota che scenderà attorno al 50% dopo l’attesa quotazione a Piazza Affari, inizialmente prevista entro metà 2016. Basilico è stato un pioniere nel settore quando ha fondato Kairos 17 anni fa insieme ad altri quattro partner. La società rappresentava un modello di gestione di fondi all’avanguardia per quei tempi: niente promotori o sportelli ma un business basato sulla qualità del servizio che faceva parlare di sè col passaparola. Da allora le masse della boutique di gestione sono cresciute esponenzialmente, con una forte accelerazione negli ultimi tre anni in cui sono quasi raddoppiate, fino appunto agli attuali 8 miliardi. Kairos ha resistito e si è ben sviluppata, ma non a tutti è andata così bene. Nel corso di questi anni sono scomparse diverse strutture più piccole che non hanno retto l’impatto di costi crescenti e anche della concorrenza delle società di gestione estere che si sta facendo sempre più agguerrita.
Si continua ad assistere all’ingresso di asset manager esteri attirati dalla gran riserva di risparmio degli italiani. Le attività finanziarie delle famiglie italiane valgono oltre 4 mila miliardi di euro. E la drastica riduzione dei rendimenti dei titoli di Stato, unita alla spinta commerciale delle banche che hanno trovato nei fondi una miniera d’oro per compensare il calo delle commissioni nell’attività creditizia tradizionale, hanno via via spostato i flussi di risparmio verso strumenti di risparmio gestito, la cui incidenza nel portafoglio delle famiglie ha superato quella delle attività liquide (depositi e circolante), spiega la Banca d’Italia. Per questo motivo fondi e gestioni hanno messo a segno raccolte boom negli ultimi anni (141,7 miliardi ne 2015 e 133,7 miliardi nel 2014), anche se in questo 2016 c’è stato un rallentamento. In sette mesi i flussi netti, in base alle statistiche di Assogestioni presieduta da Tommaso Corcos (ad di Eurizon Capital), sono stati 31,6 miliardi a fronte del dato record di 105 miliardi dello stesso periodo (gennaio-luglio) 2015. L’andamento dei mercati oggi è molto più incerto e ciò sta facendo soffrire i rendimenti. In questo contesto Prometeia stima che la raccolta netta dei soli fondi comuni potrà comunque restare in media sopra i 50 miliardi all’anno anche nel prossimo triennio. E l’obiettivo di 2 mila miliardi per il patrimonio gestito totale, che a fine luglio è salito al massimo storico di 1.895 miliardi, è sempre più vicino. Si tratterà ora di capire in quali mani si concentrerà tutta questa ricchezza. Il m&a è alle porte. Ma questo per i risparmiatori significa anche aver a che fare con strutture di grandi dimensioni. Un bene? . «Non ci sono scorciatoie: bisogna essere più bravi nella conoscenza del cliente, nei servizi offerti, nella qualità, nei tempi di risposta. Fintech, tecnologia applicata alla finanza, ma anche una finanza più etica, dove il cliente non è il pollo da spennare se si vuole riconquistare un rapporto di fiducia. Se il sistema pensa che potrà diventare più solido e riconquistare quote di mercato puntando tutto su banche sempre più grandi, non stupiamoci se in futuro ci troveremo ad affrontare problemi ancora più grandi», avverte Salvatore Gaziano, responsabile della società di consulenza finanziaria SoldiExpert.E dal Rapporto 2016 della Consob sulle scelte di investimento delle famiglie italiane emerge che il principale motivo per cui i consigli dei consulenti non vengono seguiti è la mancanza di fiducia. (riproduzione riservata)
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