di Marcello Bussi

«Il danno all’immagine di Volkswagen sarà costoso, non solo negli Usa, ma a livello globale. Conseguentemente, sono minacciati posti di lavoro in Volkswagen e in molti dei suoi fornitori in Germania», ha dichiarato ieri Marcel Fratzscher, presidente del think tank economico Diw, sottolineando come sia cruciale limitare i danni agli altri esportatori tedeschi visto che Volkswagen era finora considerata una sorta di spot pubblicitario per il Made in Germany.

Questo è il vero dramma della più forte economia europea. Ha fatto dell’affidabilità a 360 gradi la sua caratteristica distintiva. E ora che viene messa in dubbio, l’edificio su cui ha costruito il proprio predominio non solo economico ma anche morale sul resto del continente rischia di sbriciolarsi. Difficile che questo accada veramente, almeno in Italia, perché i pregiudizi sono duri a morire. Soprattutto in Italia alla parola Germania si associa il concetto di perfezione, che comprende quello di onestà. Come può Berlino dettare l’agenda ai corrotti greci se poi essa stessa ha qualcosa da farsi perdonare? Perché mai un presidente del Consiglio italiano dovrebbe essere felice di aver fatto i compiti a casa che gli ha assegnato Angela Merkel, se la cancelliera a casa sua tollera pratiche ben poco onorevoli? I tedeschi sono consapevoli di avere da sempre un problema di immagine ed è questa la più probabile spiegazione del gesto avventato della Merkel di fronte alla tragedia dei migranti: siamo pronti ad accoglierne 800 mila, a patto che siano siriani. 
La cancelliera, che fino al giorno prima veniva raffigurata come un’arpia pronta a infilare le zampe le mani nelle tasche dei poveri pensionati greci, all’improvviso è diventata una santa, al punto che Der Spiegel l’ha rappresentata in copertina con le sembianze di madre Teresa di Calcutta.

A placare i timori della Merkel c’è il fatto che una marea di scandali precedenti non ha minato la fede degli italiani nelle virtù tedesche. Tanto per dirne una, lo scorso aprile Deutsche Bank ha accettato di pagare un totale di 2,5 miliardi di dollari di ammenda alle autorità statunitensi e britannica per avere manipolato i tassi benchmark Libor, Euribor e Tibor, che tra l’altro fungono da punti di riferimento per il calcolo dei mutui. Clamoroso fu lo scandaloSiemens, scoppiato nel 2006 con dispiegamento in grande stile di bustarelle distribuite in tutto il mondo (molte in Grecia, che combinazione) per aggiudicarsi appalti. Si dimisero il presidente Heinrich von Pierer e l’ad Klaus Kleinfeld.

E alla fine il gruppo dovette ammettere pagamenti in nero per 1,3 miliardi di euro. Quando poi in Italia si guarda ammirati alla serietà dei politici tedeschi, verrebbe da ricordare il clamoroso caso del nuovo aeroporto di Berlino. Parto del sindaco della capitale, Klaus Wowereit, che proprio a causa di questo scandalo alla fine dell’anno scorso si è dovuto dimettere, l’aeroporto avrebbe dovuto aprire nel 2012 ma a oggi non è ancora stato ultimato. Nel frattempo i costi sono saliti da 2,5 a 5,4 miliardi di euro. Si spera che la stessa efficienza non venga applicata ai 14 aeroporti greci, tutti quelli delle isole a maggiore attrazione turistica, venduti il mese scorto alla tedesca Fraport. Ed è meglio non ricordare che anche l’inflessibile ministro delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, qualche problemino l’ha avuto: nel 2000 dovette dimettersi dalla presidenza della Cdu, lasciando così campo libero alla Merkel, perché coinvolto in uno scandalo di finanziamenti illeciti al partito. Schaeuble ammise solo di aver ricevuto una donazione non registrata al partito di 100 mila marchi dal commerciante d’armi Karlheinz Schreiber. Rimase nel limbo qualche anno finché la Merkel non lo riportò sul palcoscenico. Come si fa tra compagni di merende. (riproduzione riservata)