I robo-advisor conquistano i Paperoni. Ma questa, più che una minaccia, è un’opportunità per le private bank. Che oggi per avere la fiducia dei clienti devono aprirsi alle tecnologie online del futuro

di Paola Valentini 

Sarà un robot il promotore finanziario del futuro? Un dato è certo. L’anno scorso nel mondo oltre 900 mila persone sono diventate milionarie per la prima volta. Questi Paperoni, insieme agli altri 13,7 milioni di ricchi che dispongono di un patrimonio finanziario investibile superiore a 1 milione di dollari, si rivolgono sempre più ai consulenti finanziari per gestire i loro patrimoni.

Ed è soprattutto la fascia dei più giovani che, come conferma il World Wealth Report 2015 di CapGemini e Rbc Wealth Management, i private banker devono curare di più data l’influenza che conquisterà nei prossimi anni. «Solo negli Usa si stima che 36 mila miliardi di dollari di ricchezza saranno trasferiti agli eredi entro il 2061», sottolinea il World Wealth Report. Mentre dallo studio Billionaires Report 2015 di Ubs e PwC emerge che più di due terzi dei miliardari globali ha compiuto 60 anni e ha più di un figlio e ciò rende prioritarie le questioni relative alla preservazione e al trasferimento del patrimonio e ai lasciti.

E in Italia? «Le previsioni sui movimenti della ricchezza finanziaria italiana indicano la Generazione Y (i giovani nati tra il 1980 e i primi anni 2000, quindi con un’età compresa tra i 15 e i 35 anni, in letteratura definiti anche Millenials, ndr) come protagonista indiscussa dei prossimi dieci anni: in un decennio il 65% della ricchezza finanziaria del Bel Paese passerà di mano e i principali clienti dei professionisti della consulenza finanziaria saranno gli under 35», afferma Assogestioni che ha commissionato a Demia uno studio proprio sui Millennials.

Una generazione che, secondo l’indagine Gfk Eurisko «Modelli di consumo e di risparmio del futuro», già nel 2015 ha ridotto la propensione al consumo (-13,6%) a vantaggio degli investimenti (+5,3%). «Per la Generazione Y è fondamentale la relazione. Una relazione che però deve essere rispetto al passato paritaria, orizzontale. Non vedono la banca e il professionista del risparmio come una figura superiore, ma come un professionista con cui confrontarsi in maniera aperta e diretta senza troppe riverenze», commenta Nicola Ronchetti di Gfk Eurisko, che continua: «Il tutto ovviamente deve avvenire in tempi rapidi, quasi in tempo reale, e con un nuovo linguaggio. È proprio su questo punto che la Generazione Y manifesta le maggiori criticità verso il mondo delle banche e dei professionisti del risparmio: secondo le nostre analisi sulla capacità di capire il linguaggio degli under 35 il mondo del risparmio è ancora indietro». «La capacità di attrarre nuove generazioni tra i professionisti del risparmio è un passo quindi decisivo per un reale sviluppo dell’industria, in quanto consentirà al contempo di rinnovare la categoria dei promotori finanziari/consulenti, sostituendo con neo-pf coloro che avranno presto raggiunto l’età della pensione, e di attrarre fasce di investitori più difficilmente conquistabili da consulenti oggi troppo anziani per i Millennials, ma anche, a volte, troppo saturi di clienti», afferma Assogestioni. 
In base ai dati dell’Organismo per la Tenuta dell’Albo dei Promotori Finanziari (Apf), i promotori con meno di 30 anni sono solo il 2% del totale (il 14% nel 2002) e quelli tra 30 e 40 anni il 15%. «Uno sbilanciamento che non può restare tale e non è un caso che Apf, Anasf e Assoreti a più riprese abbiano annunciato e stiano avviando progetti per un adeguato passaggio generazionale all’interno della professione, soprattutto se l’industria del risparmio vuole attrarre i futuri investitori della Generazione Y, soggetti che hanno manifestato a più riprese il desiderio di risparmiare», rileva Assogestioni. Ma non è soltanto questione di età. Di dati Assoreti risulta che oggi in media un pf vanta 165 clienti, «una soglia vicinissima al livello massimo gestibile per singolo professionista», avverte Assogestioni. Intanto gli under 35, rileva lo studio Demia, nell’attesa di trovare il financial advisor di fiducia, si rifugiano in famiglia: nel 70% dei casi di fronte ad una decisione per scegliere una forma di risparmio un giovane sotto i 35 anni parlerebbe in primo luogo con la propria famiglia, Infatti, all’opposto dell’opinione comune, proprio dalla nuove generazioni emerge un maggior bisogno di consulenza in campo finanziario. I giovani under 45 «si preoccupano maggiormente rispetto alle generazioni più avanti con gli anni di tutti gli aspetti della gestione delle proprie finanze», rileva lo studio Capgemini-Rbc, «e questo corrisponde a una crescente richiesta di consulenza da parte di esperti».

Ma da questa fascia di investitori arrivano non solo le maggiori opportunità, ma anche le maggiori minacce per il mondo delle private bank e delle reti di pf perché si tratta di risparmiatori che più degli altri sono attratti dalle nuove formule di consulenza (e lo saranno sempre di più man mano che i nativi digitali diventeranno adulti, ovvero chi è nato dopo gli anni 2000 e sta crescendo a smartphone e tablet).

A partire dai cosiddetti robo-advisor, siti online che offrono consigli finanziari personalizzati sulla base di un’asset allocation guidata da algoritmi. Ma questi sistemi automatizzati, a differenza dei banker in carne e ossa che spaziano su tutti gli asset, utilizzano principalmente fondi passivi o gli altrettanto economici Exchange traded fund (Etf). Un fenomeno che arriva dagli Usa, dove sta esplodendo. I casi più noti di consulenti digitali sono Wealthfront e Betterment, e anche FutureAdvisor, Personal Capital, LearnVest e Nutmeg. Secondo Corporate Insight, nel complesso i robo-advisor detenevano 19 miliardi di dollari a fine 2014, +21% rispetto al luglio precedente e +65% da aprile 2014. Myprivatebanking Research stima che nei prossimi cinque anni questi servizi online toccheranno i 255 miliardi di dollari di masse in consulenza.

 

Un report di Goldman Sachs sottolinea che mentre le private bank della vecchia guardia continuano a scommettere sui clienti multi milionari, i robo-advisor stanno attirando i cosiddetti Henry, sigla che sta per «High Earning, Not Rich Yet», ovvero individui ad alto reddito ma non ancora ricchi. «Questi operatori cavalcano il crescente sviluppo di richiesta di servizi self-service in ambito finanziario che arriva dagli investitori giovani ma non ricchissimi», sottolinea il World Wealth Report. Ma lo studio di Capgemini e Rbc mette anche in guardia: «Mentre i clienti sono attratti dai bassi costi, il loro reale valore deve essere testato anche in un mercato ribassista». Fatto sta che nel frattempo i robo-advisor prendono sempre più piede mentre i consulenti finanziari guardano questi nuovi sistemi con una certa sfiducia. Capgemini e Rbc hanno chiesto ai milionari e (ai miliardari) se affiderebbero una parte dei propri capitali in gestione ai robo-advisor. I risultati del sondaggio, riportati nel World Wealth Report 2015, indicano che il 48,6% dei Paperoni è attirato dai bassi costi e dalla convenienza dei sistemi di consulenza automatici e afferma di essere disponibile a utilizzare i robo-advisor per una porzione del loro portafoglio. Ai consulenti è stato invece chiesto se pensano che i loro clienti siano interessati questi algoritmi. I risultati? Soltanto il 20% dei private banker ritiene che i propri clienti si rivolgerebbero ai robo-advisor.

La propensione a utilizzare i servizi automatizzati è alta nella zona dell’Asia-Pacifico con un 76,3% di risposte positive. Proprio l’area asiatica è quella dove la fascia dei ricchi sta crescendo più velocemente rispetto al resto del mondo. Segue l’America Latina dove il 70,4% dei milionari afferma di essere aperto a queste nuove forme di consulenza. In Europa il 45,8% di chi detiene oltre 1 milione di euro è favorevole mentre soltanto il 15,6% dei consulenti europei afferma che i ricchi sono propensi a farne uso.

«I banker sono scettici nei confronti dei robo-advisor perché ritengono che la relazione personale sia l’unica che possa permette di costruire un rapporto di fiducia e soluzioni su misura», nota lo studio Capgemini-Rbc sottolineando in ogni caso che qualche illuminato top manager che guarda più avanti stia iniziando a riconoscere che i robo-advisor conquisteranno man mano uno spazio nell’industria del wealth management. Non a caso un consulente finanziario citato dallo studio Capgemini-Rbc ha affermato che «nel futuro ogni società dovrà avere un robo-advisor». Da un’analisi di Scorpio Partnership emerge che gli aspetti relativi all’attività su Internet e sui social media sia un fattore più apprezzato dai clienti di fascia alta nella scelta del private banker di fiducia più di quanto lo sia per gli investitori di taglia media.

E qui entra in gioco proprio la fascia degli investitori più giovani. «I sistemi automatizzati di consulenza non sembrano quindi rappresentare una tendenza passeggera, dato il grado di interesse da porte dei giovani ricchi. Coerentemente con le loro preferenze per un’interazione digitale, questo segmento di investitori è molto più incline a trarre vantaggio dai sistemi di consulenza automatizzati rispetto agli over 45», rileva Capgemini-Rbc. Dal cui sondaggio emerge che il 67% degli under 45 sarebbe propenso ad affidare la gestione di parte del patrimonio a un robot, contro il 38% di chi ha più di 45 anni.

In Italia si sono conquistate un posto di primo piamo nel robo-advisor made in Italy MoneyFarm, Advise Only e SoldiExpert (che ha un modello di business un po’ diverso dai primi due). «Non credo che i robo-advisor sostituiranno mai i consulenti in carne e ossa. Ritengo, però, che l’industria che verrà colpita maggiormente, nel bene e nel male, dell’avvento di queste sofisticate piattaforme di gestione online sia quella del private banking», afferma Serena Torielli, presidente di Advise Only. Secondo Torielli sono cinque i motivi per cui i nuovi servizi di wealth management online, almeno all’inizio, saranno utilizzati prevalentemente dagli investitori di fascia più alta. «Innanzitutto i patrimoni importanti spesso comprendono strumenti finanziari sofisticati che richiedono una gestione basata su algoritmi e sistemi di risk management all’avanguardia. Inoltre molti robo-advisor si concentrano sull’efficienza operativa ottenibile attraverso l’automazione dell’esecuzione degli ordini e sull’uso di prodotti a basso costo», In secondo luogo i ricchi sono più attenti alle novità perché amano arrivarci prima. Inoltre «i clienti private spesso amano gestire in prima persona la parte più liquida del patrimonio mobiliare», afferma Torielli. C’è anche un tema di trasparenza. «In un contesto dove le persone si interessano sempre più ai propri risparmi e sono abituate a sempre maggiore e migliore informazione sul web, il livello di trasparenza verso il cliente offerto dai servizi di private banking è scarso e la reportistica spesso vecchia e inadeguata», avverte Torielli. Quinto e ultimo motivo: «La marginalità del private banking rispetto alla parte mobiliare del patrimonio, che potrebbe essere gestita con l’ausilio di piattaforme a elevato contenuto tecnologico, è decisamente più bassa dei margini che le banche realizzano sui clienti più piccoli, sia per ragioni di volumi sia di potere contrattuale dei clienti», conclude Torielli.

Le reti e le private bank tradizionali che pensano quindi che i robo-advisor non esercitino un certo fascino su Paperoni e che non rappresentino una minaccia per il proprio business cadono in errore. Non a caso a inizio 2015 il broker Usa Charles Schwab ha lanciato una piattaforma di costruzione di portafogli a basso costo. Mentre questa estate BlackRock ha detto di essere in procinto di acquistare FutureAdvisor, società di robo-advisory con più di 600 milioni di dollari di asset in gestione di San Francisco. BlackRock punta a vendere i suoi servizi di consulenza automatizzati a banche, società di intermediazione e imprese di assicurazione che sono clienti di BlackRock Solutions. Una scelta che si inserisce nella strategia di BlackRock di attrarre i cosiddetti Millennials. «Crediamo che la consulenza finanziaria online e anche il nuovo filone del robo-advisoring cambieranno molto il mondo del risparmio anche in Italia e siamo solo all’inizio di una rivoluzione già in atto», afferma Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie d’investimento di SoldiExpert citando Albert Einstein: «I computer sono incredibilmente veloci, accurati e stupidi. Gli uomini sono incredibilmente lenti, inaccurati e intelligenti. Insieme sono una potenza che supera l’immaginazione». Per Gaziano «nel tempo crediamo che assisteremo a una crescente convergenza dei due modelli poiché sia dal rapporto fisico con i clienti, soprattutto per esigenze finanziarie più complesse, sia dalla consulenza e fornitura di soluzioni e strategie di valore online è possibile offrire la migliore combinazione. E per questo motivo non credo che chi fa il promotore finanziario sia veramente minacciato da questo cambiamento in atto se saprà offrire un servizio adeguato». E questo elemento diventerà sempre più importante anche in vista della Mifid II, che metterà maggiore trasparenza sui costi pagati dai risparmiatori. E l’esempio inglese è illuminante. Dal 1° gennaio 2012 in Gran Bretagna è scattato il divieto per i consulenti finanziari di ricevere retrocessioni dalle case di gestione, come accade invece in Italia. L’unica forma di remunerazione è la consulenza a parcella, come quando si va dal medico. In Gran Bretagna questa novità ha messo in crisi la professione di promotore (secondo stime un terzo dei pf è uscito dal mercato e sono rimasti i due terzi in media più qualificati) perché «molti risparmiatori hanno abbandonato la figura del promotore e preferito altre strade, compreso il fai-da-te o la consulenza finanziaria online», avverte Gaziano, «ed è significativo che l’inglese Schroders, il secondo asset manager in Europa, abbia acquisito di recente una quota di Nutmeg, sito di consulenza online in Gran Bretagna sul modello robo-advisor». (riproduzione riservata)